La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29427 depositata il 24 ottobre 2023, intervenendo in tema si sanzioni amministrativi previste dal regolamento Comunale, ha ribadito il principio di diritto secondo, estendendolo anche ai singoli condomini, cui “… l’amministratore condominiale non è responsabile, in via solidale con i singoli condomini, della violazione del regolamento comunale concernente l’irregolare conferimento dei rifiuti all’interno dei contenitori destinati alla raccolta differenziata collocati all’interno di luoghi di proprietà condominiale, potendo egli essere chiamato a rispondere verso terzi esclusivamente per gli atti propri, omissivi e commissivi, non potendosi fondare tale responsabilità neanche sul disposto di cui all’art. 6, della l. n. 689 del 1981, avendo egli la mera gestione dei beni comuni, ma non anche la relativa disponibilità in senso materiale (Sez. 2 – , Sentenza n. 4561 del 14/02/2023, Rv. 666879 – 01). …”
La vicenda ha riguardato un condomino che veniva sanzionato dagli degli ispettori AMA sia in proprio che in qualità di legale rappresentante di una società a responsabilità limitata, che amministrava il condominio, per la violazione degli artt. 18 e 60 della delibera comunale n. 105 del 2005, costituente il regolamento per la gestione dei rifiuti urbani, per avere gli ispettori AIMA verificato l’erroneo inserimento nei mastelli dei rifiuti differenziati. Avverso tale provvedimento il sanzionato lo impugnò innanzi ala Giudice di pace, che però lo rigetto. Avverso la decisione di primo grado i soccombenti proposero impugnazione, che il Tribunale disattese. Avverso la decisione d’appello i sanzionati proposero ricorso in cassazione fondato su quattro motivi.
Gli Ermellini decidendo sul ricorso, e nel merito, cassano la sentenza impugnata.
I giudici di legittimità dando continuità ai propri orientamenti evidenziano che “… «L’art. 1 l. n. 689 del 1981, avendo recepito anche per le sanzioni amministrative il principio di legalità, impedisce che sanzioni siffatte possano essere direttamente comminate da disposizioni contenute in fonti normative subordinate, quale un regolamento comunale o un’ordinanza del indaco. È stato chiarito che il principio di legalità fissato dall’art. 1 della l. 24 novembre 1981, n. 689 si concreta in un regime di “riserva assoluta” di legge, ma l’efficacia di tale riserva – a differenza della riserva di legge assoluta prevista con riguardo all’illecito penale direttamente dall’art. 25 Cost. – non è di rango costituzionale in quanto la materia delle sanzioni amministrative sul piano costituzionale è riconducibile all’art. 23 Cost., che stabilisce solo una riserva di legge di natura relativa; essa opera sul piano della forza di legge ordinaria, con l’effetto che senza una legge che deroghi al suddetto art. 1 non è possibile l’introduzione di sanzioni amministrative mediante fonti secondarie, mentre questa possibilità ben può essere ammessa da una legge ordinaria, che la preveda in via generale o per singoli settori (Sez. 1, n. 12367 del 6 novembre 1999). Come affermato di recente dalla Corte costituzionale, con sentenza del 18 gennaio 2021, n. 5, e con sentenza n. 134 del 2019, il potere sanzionatorio amministrativo – che il legislatore regionale ben può esercitare, nelle materie di propria competenza – resta comunque soggetto alla riserva di legge relativa [di cui] all’art. 23 Cost. in quanto anche rispetto al diritto sanzionatorio amministrativo – di fonte statale o regionale che sia – si pone, in effetti, un’esigenza di predeterminazione legislativa dei presupposti dell’esercizio del potere sanzionatorio, con riferimento sia alla configurazione della norma di condotta la cui inosservanza è soggetta a sanzione, sia alla tipologia e al quantum della sanzione stessa, sia – ancora – alla struttura di eventuali cause esimenti. E ciò per ragioni analoghe a quelle sottese al principio di legalità che vige per il diritto penale in senso stretto, trattandosi, pure in questo caso, di assicurare al consociato tutela contro possibili abusi da parte della pubblica autorità (sent. n. 32 del 2020, punto 4.3.1 del “considerato in diritto”): abusi che possono radicarsi tanto nell’arbitrario esercizio del potere sanzionatorio, quanto nel suo arbitrario non esercizio. Questa esigenza è stata, del resto, già posta in evidenza da una risalente pronuncia del giudice delle leggi, che ha altresì ricollegato espressamente la ratio della necessaria «prefissione ex lege di rigorosi criteri di esercizio del potere relativo all’applicazione (o alla non applicazione)» delle sanzioni amministrative al principio di imparzialità dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost., oltre che alla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. (sent. n. 447 del 1988).
Tutto ciò impone che a predeterminare i presupposti dell’esercizio del potere sanzionatorio sia l’organo legislativo (statale o regionale), il quale rappresenta l’intero corpo sociale, consentendo anche alle minoranze, nell’ambito di un procedimento pubblico e trasparente, la più ampia partecipazione al processo di formazione della legge (sent. n. 230 del 2012); mentre tale esigenza non può ritenersi soddisfatta laddove questi presupposti siano nella loro sostanza fissati da un atto amministrativo, sia pure ancora di carattere generale.
D’altra parte, la natura di riserva relativa di legge «non può costituire giustificazione sufficiente per un rapporto con gli atti amministrativi concreti ridotto al mero richiamo formale ad una prescrizione normativa “in bianco” […], senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell’azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini» (Corte cost., sent. n. 115 del 2011, e numerosi precedenti ivi richiamati).
Tale principio implica dunque che – laddove la legge rinvii a un successivo provvedimento amministrativo generale o ad un regolamento – sia comunque la legge stessa a definire i criteri direttivi destinati a orientare la discrezionalità dell’amministrazione (sent. n. 174 del 2017; in senso analogo, sentt. n. 83 del 2015 e n. 435 del 2001) (Sezione II civile, n. 19696 del 17 giugno 2022). …”
Il Supremo consesso pone in risalto come “… il principio di tipicità e di riserva di legge fissato in materia delle sanzioni amministrative dall’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, impedisce che l’illecito amministrativo e la relativa sanzione siano introdotti direttamente da fonti normative secondarie, senza tuttavia escludere che i precetti della legge, sufficientemente individuati, siano etero- integrati da norme regolamentari, in virtù della particolare tecnicità della dimensione in cui le fonti secondarie sono destinate ad operare.
In altri termini il rispetto del principio di tipicità e legalità nell’ambito dell’illecito amministrativo comporta che la fattispecie dell’illecito e la relativa sanzione non possono essere introdotti direttamente da fonti normative secondarie, pur ammettendosi che i precetti della legge, se sufficientemente individuati, possano essere integrati da norme regolamentari, in virtù della particolare tecnicità della dimensione in cui le fonti secondarie sono destinate ad operare (Sez. 2, n. 7371/2009). …”
In conclusione vigendo il principio di legalità per le sanzioni amministrative il regolamento Comunale o le norme secondarie, in mancanza di una norma primaria, non possono essere comminate direttamente dal regolamento comunale, il quale costituisce pur sempre una fonte normativa subordinata. Inoltre non sussiste alcuna responsabilità solidale dell’amministratore con i singoli condomini delle violazioni.
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