Nel 2012 è stata modificata la normativa del Testo Unico Maternità. La norma vigente al fine di fornire dei chiarimenti, agli uffici preposti alla valutazione delle domande di interdizione anticipata dal lavoro devono gestire le domande, è stata oggetto di un recente intervento ministeriale nota 753 del 29 aprile 2013.
Per rendere omogenea l’attività degli uffici di cui sopra il Ministero a fornito ulteriori chiarimenti in merito al contenuto di cui all’art. 17 del Testo Unico Maternità (d.lgs. n. 151 del 2001) come risulta dopo le modifiche intervenute nel corso del 2012.
Ricorda che l’art. 17 e la norma che disciplina la materia relativa all’anticipazione del divieto di adibire al lavoro la donna a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all’avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli. Tali lavori sono determinati con d.m.; fino all’emanazione del primo decreto ministeriale, l’anticipazione del divieto di lavoro è disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio.
L’interdizione è concessa:
- nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di persistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza; in questo caso interviene la ASL;
- quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
- quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e 12.
Nei casi 1) e 2) interviene la Direzione Territoriale del Lavoro sia direttamente oppure su istanza della lavoratrice, qualora nel corso della propria attività di vigilanza emerga l’esistenza delle condizioni che danno luogo all’astensione medesima.
Premesso quanto sopra scritto il Ministero ha precisato e chiarito che:
La nominatività del provvedimento è contemplata dal contenuto dell’art. 17, 2° comma del D.Lgs n. 151/2001 laddove ricorrano i presupposti di fatto e di diritto costituti dalle seguenti condizioni:
- che l’attività svolta dalla lavoratrice rientri nelle previsioni di cui all’art. 7 commi 1 e 2;
- che sia verificata l’impossibilità di spostamento ad altre mansioni.
Inoltre il Ministero in riferimento all’art. 7 puntualizza:
- che per esso valgono le disposizioni, ancora vigenti, del D.P.R. n. 1026/76 quale regolamento di attuazione della Legge 1204/1971 ed in particolare dell’art. 3 della medesima legge testualmente riportato nel corpo dell’art. 7 del D.Lg 151/2001;
- che ai commi 1 e 2 dell’art. 7 sono individuati i lavori vietati per i quali è prescritto lo spostamento ad altre mansioni. In relazione alle suddette previsioni risultano contemperate due ipotesi: il divieto fino a sette mesi dopo il parto, per lavori pericolosi ed insalubri a causa dell’esposizione ad agenti e situazioni che possano risultare pregiudizievoli per un organismo in fase di recupero delle energie fisiche e psichiche perdute nel parto e nell’eventuale allattamento e il divieto fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro, per le prestazioni che comportano nocumento limitatamente all’andamento della gravidanza;
- il quarto comma ha per oggetto l’attività dell’Ispettorato del lavoro (attuali DTL) con riferimento ai compiti ad esso attribuiti, consistenti nell’ordinare lo spostamento della lavoratrice ad altre mansioni quando condizioni di lavoro o ambientali non rientranti nel divieto di cui ai commi precedenti determinino una situazione ugualmente pregiudizievole per la salute.
Nelle suindicate ipotesi i provvedimenti delle Direzioni Territoriali del Lavoro devono essere adottati sulla base di un giudizio che tenga conto contestualmente delle condizioni obiettive dell’ambiente, del lavoro e dello stato di salute delle lavoratrice.
Pertanto la differenziazione operata dall’art. 17, comma 2 nelle due condizioni di lett. b) e lett. c) opera nella diversificazione sopra richiamata.
Aspetti temporali del provvedimento interdittivo. Precisa il Ministero che lo stesso opera per il periodo fino all’astensione di cui alla lettera a), comma 1, dell’articolo 16 ovvero per il periodo di cui all’art. 7, comma 6, (sette mesi dopo il parto).
Condizioni di rischio evidenziate nel documento di valutazione del rischio. Si precisa che le condizioni che possano portare all’emanazione del provvedimento, laddove non ricorrano le previsioni di cui all’allegato A e B, sono riconducibili anche a condizioni di rischio evidenziate dal datore di lavoro nell’ambito della valutazione del rischio (a norma dell’art. 11 del D.Lgs 151/01) a fronte di uno specifico rischio riscontrato il ddl deve indicare anche le misure per l’eliminazione del suddetto avvero l’impossibilità di adottarle. In sintesi, il Ministero precisa che di fatto la valutazione del rischio fatta dal datore di lavoro costituisce il presupposto sulla base del quale deve essere emesso il provvedimento di interdizione fuori dai casi di cui all’art.7 commi 1 e 2. Il comportamento degli uffici ministeriali dovrà quindi tener conto sia delle situazioni di rischio individuati dal datore di lavoro sia delle misure adottate dallo stesso in linea con quanto previsto dall’art. 12 del Dlgs 151/01.In proposito occorre sottolineare che in tale sede non appare assolutamente opportuno entrare nel merito della valutazione del rischio effettuata dal datore di lavoro.
Interessamento della ASL. In casi del tutto eccezionali, ove emergano vistose contraddittorietà, assoluta carenza di adeguati criteri valutativi e assoluta genericità delle risultanze della valutazione, si potrà valutare l’opportunità di interessare la competente azienda sanitaria locale per l’attivazione di una verifica di carattere ispettiva in ordine all’adeguatezza del documento. Indipendentemente da tale evenienza l’ufficio provvedere a rilasciare il richiesto provvedimento interdittivo.
Impossibilità di spostamento. Si tratta della ulteriore condizione unitamente connessa alle condizioni di pregiudizio sopra richiamate per l’adozione del provvedimento. In relazione alle previsioni sopra richiamate si afferma in linea di principio un potere “esclusivo” del datore di lavoro di valutare la fattibilità dello spostamento tenuto che egli è l’unico soggetto in grado di conoscere, in quanto da lui stesso definita in ragione del ruolo rivestito, l’effettiva organizzazione aziendale. Quanto sopra trova conferma nelle previsioni di cui all’art. 12 comma 2 laddove espressamente prevede “… ove la modifica delle condizioni o dell’orario di lavoro non sia possibile per motivi organizzativi e produttivi, il datore di lavoro applica quanto stabilito dall’articolo 7, commi 3, 4 e 5“.La norma attribuisce in particolare agli uffici territoriali una “facoltà”, che va distinta dall’”obbligo”, di procedere a successivi accertamenti.La facoltà che consiste appunto nel disporre l’accertamento, deve essere motivata dall’esigenza di verificare la veridicità di quanto asserito dal datore di lavoro. Pertanto tale esercizio non assume carattere generalizzato ma è dipendente dalla particolarità delle singole fattispecie.Inoltre si sottolinea che il legislatore individua anche l’impossibilità di spostamento dagli elementi attinenti l’organizzazione aziendale.A tale proposito si osserva che la valutazione operata dagli uffici sugli elementi tecnici attinenti ai fattori organizzativi aziendali trova la sua evidente limitazione nel principio sancito dall’art 2082 del C.C. che definisce imprenditore colui che “esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi“.L’organizzazione aziendale è pertanto finalizzata ad uno scopo economico dell’imprenditore e conseguentemente la valutazione relativa alla possibilità di spostamento deve tener conto che il mutamento delle mansioni o l’adibizione a mansioni diverse assicuri comunque condizioni tali da garantire l’efficienza dell’organizzazione aziendale e non comprometta le finalità economiche dell’impresa. Dall’esame dei dati forniti si evidenzia una rilevante presenza di lavoratrici del settore terziario e la categoria che prevalentemente assume rilievo è la forma cooperativa il cui scopo è di natura mutualistica. In tal caso, pur non trattandosi attività d’impresa in senso stretto, trova applicazione quanto sopra evidenziato e le valutazioni di carattere organizzativo devono tener conto della finalità della struttura e della dimensione aziendale.Ciò comporta che una collocazione in attività diversa da quella normalmente svolta, in linea teorica possibile anche il relazione a quanto previsto dall’art 7 comma 5, deve garantire il raggiungimento delle finalità aziendali nonché l’impiego utile della lavoratrice evitando uno spostamento della lavoratrice puramente “collocativo” che non consentirebbe di raggiungere lo scopo per il quale l’azienda è stata costituita.Quanto sopra richiamato costituisce elemento di riferimento a cui le amministrazioni dovranno uniformarsi per l’emanazione dei provvedimenti interdittivi in argomento.
Condizioni di diniego del provvedimento. Le medesime possono, sulla base di quanto sopra esposto, individuarsi o nella mancanza di condizioni di rischio per la salute della lavoratrice in ragione del periodo tutelato (gestazione, o sette mesi dopo il parto) ovvero nella possibilità di spostamento della lavoratrice ad altre mansioni.
La motivazione nel provvedimento amministrativo deve, pertanto, far espresso riferimento o alla non sussistenza delle condizioni di cui all’allegato A e B ovvero all’esito della valutazione del rischio nel suo complesso, sia per quanto attiene l’individuazione del rischio che per le misure organizzative e tecniche adottate per la salvaguardia della salute della lavoratrice comprensive dell’eventuale spostamento ad altre mansioni.
Nel caso in cui l’ufficio ritenga sussistente, contrariamente a quanto asserito dal datore di lavoro nel DVR, la possibilità di spostamento ad altra mansione tale evenienza deve costituire la motivazione del provvedimento di diniego ed essere oggetto di esplicita argomentazione a supporto della motivazione e nel rispetto dei principi richiamati nella presente nota circa le limitazioni oggettive delle scelte del datore di lavoro.
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