La Corte di Cassazione sezione lavoro con la sentenza n. 24341 depositata il 29 ottobre 2013 intervenendo in tema di risoluzione di rapporto di lavoro ha statuito che le dimissioni del dipendente pubblico, in seguito revocate, sono valide anche se manca l’accettazione dell’amministrazione.
Per i giudici di legittimità “le dimissioni del lavoratore costituiscono un negozio unilaterale recettizio, idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui venga a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo di accettarle, sicché non necessitano più, per divenire efficaci, di un provvedimento di accettazione da parte della pubblica amministrazione (Cass. n. 5413 del 05/03/2013; Cass. n. 9575 del 29/04/2011 ; Cass. n. 57 del 07/01/2009; Cass n. 20787 del 04/10/2007).”
Il caso ha visto un dipendente di un’azienda ospedaliera pubblica che, dopo un periodo di malattia, aveva rassegnato le dimissioni, revocandole in seguito e mettendosi a disposizione per rientrare a lavoro. Il dipendente conveniva in giudizio innanzi al Tribunale l’Azienda Ospedaliera chiedendo accertamento dell’illegittimità del provvedimento e la reintegra nel posto di lavoro, con ogni consequenziale statuizione di ordine giuridico ed economico. Il Tribunale adito rigettava la domanda del lavoratore. Avverso la decisione del giudice di prime cure, il lavoratore, propose ricorso alla Corte di Appello. I giudici territoriali confermarono la decisione di primo grado. In particolare la Corte distrettuale “rilevava che l’art. 124 DPR n. 3/1957 non era applicabile in quanto l’art. 37 lett. b) del CCNL di comparto 1994 -1997 aveva nuovamente regolamentato l’istituto delle dimissioni che erano, ormai, un atto unilaterale e non necessitavano di essere accettate per produrre l’effetto risolutivo del rapporto.”
Il dipendente contro la decisione del giudice di appello proponeva ricorso, basandolo su quattro motivi di doglianza.
I giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso del dipendente e rilevato che la disciplina giuridica del pubblico impiego è stata modificata dal d.lgs 165/01, che «ha determinato una delegificazione del rapporto di lavoro pubblico con la sostituzione delle norme pubblicistiche con quelle previste dalla contrattazione collettiva».
Per cui per la Corte Suprema ha puntualizzato che l’articolo 124 del Dpr 3, al quale il lavoratore si era aggrappato, in virtù della riforma, è inapplicabile «a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994-1997 ed ha cessato di produrre effetti dal momento della sottoscrizione del Ccnl del quadriennio 1998-2001».
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