La Corte di Cassazione con la sentenza n. 7522 del 23 marzo 2017 intervenendo in tema di licenziamento ha affermato che l’azienda può licenziare il dipendente che ha un rendimento scarso solo se ciò dipende da una sua colpa e danneggia la produzione.
La vicenda ha riguardato un dipendente con mansioni di autista che veniva licenziato per “scarso rendimento e palese insufficienza nell’adempimento delle funzioni del proprio grado”. Il dipendente impugnava il provvedimento aziendale in sede giudiziaria. Il giudice di primo grado, adito, accoglieva le doglianze del lavoratore dichiarando il licenziamento illegittimo. La società proponeva ricorso alla Corte di Appello, i cui giudici confermavano la decisione di primo grado. Per i giudici di appello la decisione impugnata ha correttamente fatto applicazione dell’articolo 7 L. 300/1970, con cui aveva escluso la rilevanza delle sanzioni disciplinari risalenti a più due anni rispetto all’ultima contestazione. Inoltre per i giudici di secondo grado lo scarso rendimento al pari della “palese insufficienza imputabile” (quest’ultima posta comunque a base del recesso) doveva essere sorretto dalla imputabilità della condotta e non valutato sul piano esclusivamente oggettivo.
In assenza di una norma speciale del RD 148/1931, doveva trovare applicazione l’articolo 7 co ultimo L. 300/1970; tale disposizione sarebbe stata applicabile anche a voler ritenere prevalente il carattere oggettivo dello scarso rendimento, in quanto espressione di un principio di carattere generale.
La società datrice impugnava la decisione della Corte di Appello proponendo ricorso in cassazione fondato su quattro motivi
Gli Ermellini, rigettano il ricorso, hanno confermato l’orientamento secondo cui “la nozione di “scarso rendimento” di cui all’articolo 27 lett. d) del regolamento allegato A al RD 148/1931 è stata legata – piuttosto che al dato obiettivo della inidoneità della prestazione al conseguimento degli obiettivi aziendali – ad un inadempimento del lavoratore che abbia carattere notevole e sia a lui imputabile”
La sentenza in commento ha ribadito il principio già affermato in passato per cui è possibile licenziare per scarso rendimento a condizione che sussistano tali presupposti:
- il rendimento del lavoratore deve essere inferiore alla media (circostanza che deve dimostrare l’azienda per poter affermare la legittimità del licenziamento: in altri termini, il datore deve dare prova del grado di efficienza «media» raggiunto dai colleghi del licenziato nonché dello standard produttivo inizialmente concordato con il dipendente). In altre parole lo scarso rendimento deve essere di «notevole importanza»;
- la diminuzione del rendimento del lavoratore deve essere causata da colpa del lavoratore (non sarebbe così, ad esempio, se questi dovesse aver contratto una malattia o se questi non è messo nelle condizioni fisiche e organizzative di lavorare in modo proficuo);
- lo scarso rendimento deve avere, infine, ricadute negative sulla produzione.
Solo se sussistono queste tre condizioni può scattare il licenziamento per scarso rendimento.
Inoltre, lo scarso rendimento non può essere dimostrato dai precedenti disciplinari del lavoratore, posto che ciò costituirebbe «un’indiretta duplicazione degli effetti di condotte ormai esaurite». Sarebbe come sanzionare due volte lo stesso comportamento. Dunque, se già in passato il dipendente è stato bacchettato e punito per non aver prodotto a sufficienza e aver “dormito sulla sedia” questi fatti non possono essere disseppelliti di nuovo in futuro. Come dire che il datore non può giustificarsi sostenendo che il licenziamento è stato determinato dalla «goccia che ha fatto traboccare il vaso».
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