CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 marzo 2018, n. 4890
Personale del comparto sanità – Inquadramento professionale – Equiparazione economica con riguardo a tutte le voci stipendiali
Fatto e motivi
1. A.F., dipendente dell’Università degli Studi di Roma, “L.S.” con inquadramento C2, area Amministrativa, in servizio presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Umberto I di Roma (anche Azienda, di seguito), equiparato ai sensi dell’art. 31 del D.P. R. n. 761 del 1979, alla categoria D6, profilo di collaboratore Amministrativo del CCNL Comparto Sanità, aveva convenuto in giudizio l’Azienda per ottenerne la condanna al pagamento della indennità per la posizione organizzativa di cui agli artt. 20 e 21 del CCNL Comparto Sanità con decorrenza dall’ottobre 2004.
2. La Corte di Appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda proposta dal F..
3. Essa ha ritenuto che l’equiparazione, prevista dall’art. 31 del D.P.R. n. 761 del 1979, è limitata al solo trattamento economico complessivo, e che l’equiparazione dell’inquadramento del F., C2, alla qualifica D6 del CCNL comparto sanità non comportava alcun mutamento di qualifica, perché disposta ai soli fini della integrazione economica prevista nel citato articolo 31. Ha, poi, negato il diritto del F. alla indennità di posizione per la mancanza dei presupposti di cui artt. 20 e 21 del CCNL del Comparto Sanità.
4. Avverso questa sentenza A.F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da successiva memoria, al quale ha resistito con controricorso la Azienda Policlinico Umberto I di Roma.
5. Sintesi dei motivi
6. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 761 del 1979 e dell’art. 32 del Comparto Sanità del 1998/2001. Richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato e la sentenza n. 136 del 1997 della Corte Costituzionale e sostiene che l’articolo 31 del D.P.R. n. 761 del 1979 e le clausole della contrattazione collettiva del Comparto Sanità (artt. 20, 21, 32 e 36) prevedono che la equiparazione economica opera con riguardo a tutte le voci stipendiali e, quindi, anche con riguardo alla indennità di posizione organizzativa. Evidenzia che questa è inclusa tra le voci fisse e continuative del trattamento economico (art. 32 del CCNL Comparto Sanità 1998-2001).
7. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 761 del 1979, degli artt. 20 e 21 del CCNL Comparto sanità 1998-2001, dell’art. 28 del CCNL Comparto Università 2002-2005 e degli artt. 115, 116, e 416 c.p.c. Assume che l’equiparazione del suo inquadramento alla categoria D6, risultante anche dagli attestati di servizio, questi assunti come trascurati in violazione degli artt. 115, 116 e 416 c.p.c., avrebbe consolidato il requisito soggettivo richiesto dall’art. 21 del CCNL comparto Sanità 1998-2001 (appartenenza alla qualifica D).
8. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 2697 c.c., degli artt. 115, 116, 416 c.p.c. degli artt. 20 e 21 del CCNL Comparto sanità. Deduce che dalla documentazione prodotta emergeva che l’Azienda aveva individuato le singole posizioni organizzative, aveva provveduto alla valutazione delle medesime, alla attribuzione del punteggio anche ad esso ricorrente, ed all’inserimento del suo nominativo nell’elenco del personale universitario avente diritto alla correlata indennità.
9. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 1218, 1223, e 1988 c.c. e degli artt. 112, 115, 116 c.p.c. Sostiene che la Corte territoriale aveva omesso di pronunciare sulla domanda proposta nel ricorso di primo grado con la quale era stato dedotto l’inadempimento dell’Azienda all’obbligo di provvedere al compimento del procedimento di cui agli artt. 20 e 21 del CCNL. Addebita, poi, alla Corte territoriale di non avere considerato, in violazione degli artt. 115 e 116c.p.c., la nota del Rettore n. 004293 del 24.1.2008 che aveva sollecitato il Direttore Generale dell’Azienda a dare corso alle trattative sindacali in ordine al problema delle posizioni organizzative.
10. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., illogica e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Assume che non vi sarebbe alcuna logica ragione per escludere in capo ad esso ricorrente il diritto al pagamento della indennità perché essa era stata corrisposta al personale ospedaliero nonostante la mancanza di provvedimenti di istituzione e di attribuzione delle posizioni organizzative.
11. Esame dei motivi
12. Il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo da esaminarsi congiuntamente per la connessione tra le argomentazioni che li sorreggono, devono essere rigettati.
13. Sono infondate le censure che imputano alla Corte territoriale violazione e /o falsa applicazione dell’art. 32 del CCNL Comparto Sanità 1998-2001 (primo motivo), degli artt. 20 e 21 dello stesso CCNL (secondo motivo), dell’art. 28 del CCNL Comparto Sanità 2002-2005 (secondo motivo).
14. Questa Corte ha più volte affermato che il diritto del pubblico dipendente a percepire l’indennità di posizione sorge solo se la P.A. datrice di lavoro ha istituito la relativa posizione. Tanto sul rilievo che l’istituzione delle posizioni organizzative rientra nell’attività organizzativa della Amministrazione la quale, a prescindere dalle previsioni contrattuali, deve tener conto delle proprie esigenze e soprattutto dei vincoli di bilancio, che, altrimenti, non risulterebbero rispettati laddove si dovesse pervenire all’affermazione di un indiscriminato obbligo di istituzione (Cass. 12556/2017, 11198/2015).
15. L’esclusiva rilevanza da attribuire all’atto costitutivo delle posizioni organizzative adottato discrezionalmente comporta che è da escludere che prima dell’adozione di tale atto sia configurabile un danno da perdita di “chance” per il dipendente che assuma l’elevata probabilità di esserne destinatario e l’irrilevanza, ai suddetti fini, di eventuali atti preparatori endo-procedimentali e l’espletamento di fatto di mansioni assimilabili a quelle della posizione non istituita (Cass. 28085/2017, 12556/2017, 25550/2015, 8297/2012).
16. Con riguardo all’art. 20, comma 1, del CCNL 1998-2001 del Comparto Sanità cit. e dal relativo coordinamento con le disposizioni dei successivi commi 2 e 3 nonché con i commi 1 e 2 del successivo art. 21, questa Corte ha affermato che queste clausole negoziali, nel prevedere l’istituzione delle posizioni organizzative, non impongono alle Aziende e agli Enti di Comparto un obbligo incondizionato, ma concedono loro un ampio margine di apprezzamento e che le decisioni assunte dai suddetti enti al riguardo non sono meramente ricognitive, ma esplicano una funzione costitutiva.
17. E’ stato rilevato che ritenere che la disposizione contenuta nell’art. 20, comma 1, del CCNL del Comparto Sanità 1998-2001 possa essere fonte di un obbligo incondizionato e a contenuto determinato, soltanto perché in essa si afferma che le aziende “istituiranno” posizioni organizzative, “costituisce una lettura evidentemente riduttiva del testo contrattuale”, visto che l’istituzione di dette posizioni e la loro concreta determinazione sono chiaramente correlate alle esigenze di servizio individuate sulla base di valutazioni largamente rimesse alle Aziende. Nel contempo è stata evidenziata la scarsa persuasività e la non corrispondenza al dato testuale del contratto della tesi che patrocina la natura essenzialmente ricognitiva delle operazioni demandate alle Aziende, perché chiaramente incompatibile con il significato da attribuire al termine “istituire”, che deve essere inteso nel senso di evocare un obbligo, il cui contenuto, nei limiti e con le precisazioni indicati, è quello di dar vita ad atti aventi tipicamente funzione costitutiva (Cass. 28085/2017, 12556/2017, 14639/2016, 8297/2012, 18248/2011). Analoghe considerazioni si rinvengono nella giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, decisione n. 815 del 2010).
18. Il Collegio ritiene di dare continuità ai principi affermati nelle sentenze sopra richiamate perché ne condivide le ragioni esposte e perché il ricorrente nel ricorso e nella memoria ex art. 380 bis c.p.c. non apporta argomenti decisivi per rimeditare l’orientamento giurisprudenziale innanzi richiamato. Va osservato che, diversamente da quanto opina il ricorrente, dall’art. 28 del CCNL di Comparto 2002-2005 non si ricava alcun elemento che conforti le sue prospettazioni difensive. La clausola collettiva, infatti, si limita a rideterminare il valore economico dell’indennità professionale specifica.
19. Questi principi sono stati correttamente applicati alla fattispecie in esame dalla Corte territoriale.
20. Essa, infatti, dopo avere precisato che l’equiparazione, prevista dall’art. 31 del D.P.R. n. 761 del 1979, è limitata al solo trattamento economico complessivo, e che l’equiparazione dell’inquadramento del F., C2, alla qualifica D6 del CCNL comparto sanità non comportava alcun mutamento di qualifica, ha negato il diritto del F. alla indennità di posizione per la mancanza dei presupposti di cui artt. 20 e 21 del CCNL del Comparto Sanità. Tanto sul rilievo che la documentazione allegata dal F. non provava affatto che fosse stata posta in essere la procedura prevista dagli artt. 20 e 21 del CCNL Comparto Sanità, ma, di contro, dimostrava che l’Azienda, senza adottare alcun provvedimento istitutivo e costitutivo delle posizioni organizzative, si era limitata ad effettuare una valutazione ed una graduazione in via provvisoria in relazione agli Uffici già esistenti e ad attribuire un altrettanto provvisorio punteggio al personale, tra cui anche al F..
21. Sono, del pari infondate, le censure che addebitano alla sentenza impugnata la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (secondo, terzo e quarto motivo), dell’art. 416 c.p.c.(secondo e terzo motivo) 2697 c.c. (terzo motivo).
22. L’art. 116 c.p.c. attribuisce al giudice del merito il potere di scegliere le risultanze istruttorie ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, e di dare liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla (ex plurimis Cass. SS.UU. 5802/1998 e 2418/2013; Cass. 18119/2008, 1014/2006, 15355/2004, 1892/2002).
23. Ebbene, il ricorrente non ha chiarito a quale risultanza probatoria la Corte territoriale abbia attribuito valore diverso da quello attribuito dall’ordinamento e in quali termini e perché la regola del prudente apprezzamento sia stata violata.
24. Non è ravvisabile la violazione dell’art. 115 c.p.c., perché non è stato contestato che la Corte territoriale abbia fondato la sua decisione sul materiale probatorio acquisito nel corso del giudizio, nei termini offerti dalle parti.
25. Non sussiste la violazione dei principi di ripartizione dell’onere probatorio perché la Corte territoriale ha correttamente posto a carico del ricorrente l’onere di provare la sussistenza dei provvedimenti di istituzione e di graduazione delle posizioni organizzative e di attribuzione della posizione organizzativa al ricorrente, trattandosi, di elementi costitutivi del diritto ad ottenere la correlata indennità economica.
26. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 416 c.p.c., va osservato che l’onere di contestazione concerne le sole allegazioni in punto di fatto della controparte e non anche i documenti da essa prodotti, rispetto ai quali vi è soltanto l’onere di eventuale disconoscimento, nei casi e modi di cui all’art. 214 c.p.c. o di proporre – ove occorra – querela di falso, restando in ogni momento la loro significatività o valenza probatoria oggetto di discussione tra le parti e suscettibile di autonoma valutazione da parte del giudice (Cass. 12748/2016; Ord. 6606/2016).
27. Le censure in esame sono inammissibili nella parte in cui, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione della legge processuale e dei principi in tema di onere probatorio, sollecitano una nuova, inammissibile, lettura del materiale istruttorio (Cass. SSU 24148/2013, 8054/2014; Cass. 1541/2016, 15208/2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007; 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005).
28. La censura che addebita alla Corte territoriale violazione dell’art. 112 c.p.c. (quarto motivo) per non avere la Corte territoriale pronunciato “sullo specifico titolo di responsabilità dedotto…nel ricorso introduttivo, relativo all’inadempimento dell’azienda Ospedaliera all’obbligo di provvedere al compimento del procedimento di cui agli artt. 20 e 21 del CCNL del Comparto Sanità teso all’erogazione dell’indennità di posizione” è infondata, perché la Corte territoriale si è pronunciata ed ha escluso la configurabilità di condotte inadempienti. Essa ha ritenuto che l’istituzione della posizione organizzativa compete ai poteri decisionali della P.A. alla quale è rimesso il vaglio delle esigenze organizzative e che le clausole collettive dettano a mero titolo esemplificativo i criteri generali da seguire per la individuazione delle posizioni organizzative.
29. Sono infondate le censure con le quali è denunciata la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 761 del 1979 (primo e secondo motivo).
30. Con riguardo all’applicazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979, questa Corte ha affermato che la “corrispondenza con il personale di pari qualifica e mansione del ruolo sanitario (…) deve essere determinata in base all’inquadramento del personale universitario nelle aree funzionali, nelle qualifiche e per profili professionali secondo le mansioni svolte ed i compiti assegnati” e che “le mansioni di riferimento per accertare la corrispondenza sono quelle ricomprese nella qualifica professionale di appartenenza poiché il raffronto è, appunto, fra le funzioni proprie di determinate qualifiche. Se quello che rileva è, dunque, il dato formale quale risultato di una valutazione in termini di equivalenza, quest’ultima va, allora, ricercata all’interno della qualifica di appartenenza”.
31. Con la sentenza Cass., n. 13382 del 2015 è stato precisato che la corresponsione dell’indennità perequativa di cui all’art. 31 del d.P.R. 10 dicembre 1979, n. 761 è dovuta ai collaboratori o funzionari tecnici, che, a parità di funzioni, mansioni e anzianità, ed a prescindere dall’elemento formale del titolo di studio posseduto, sono equiparati, sulla base delle tabelle allegate al D.I. 9 novembre 1982, alle figure dirigenziali dei ruoli sanitari ordinari, senza che rilevi la sopravvenuta perdita di efficacia del citato decreto, posto che la contrattazione collettiva successivamente intervenuta ha avuto l’effetto di comportare l’adeguamento della suddetta indennità di perequazione.
32. Da ultimo, le Sezioni Unite con la sentenza n. 9279 del 2016 (alla quale è seguita Cass., n. 14036 del 2016) hanno statuito che l’indennità di perequazione spettante al personale universitario non docente in servizio presso strutture sanitarie deve essere determinata senza includere automaticamente nel criterio di computo la retribuzione di posizione dei dirigenti del comparto sanità, la quale può essere riconosciuta solo se collegata all’effettivo conferimento di un incarico direttivo.
33. L’assenza dei presupposti oggettivi per il consolidamento del diritto alla indennità di posizione organizzativa è, dunque, decisiva per escludere che il ricorrente possa giovarsi della perequazione prevista dall’art. 31 del D.P.R. n. 761 del 1979 perché essa non ha alcun carattere automatico in quanto non è correlata alla qualifica rivestita dal personale ospedaliero ma spetta, ai sensi degli artt. 20 e 21 del richiamato CCNL comparto sanità, per quanto innanzi osservato, unicamente nei casi in cui l’Azienda abbia istituito e graduato le singole posizioni organizzative e ove al lavoratore sia stata attribuita con provvedimento scritto e motivato la posizione organizzativa (Cass. 19190 del 2013, che richiama Cass. SSUU 6104 e 6105 del 2012, riprese dalla successiva sentenza n. 8521 del 2012; Cass. 28086/ 2017, 28085/2017).
34. Non può trarsi alcun argomento che conforti la tesi del ricorrente, diversamente da quanto dallo stesso opinato (primo motivo), dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 136 del 1997. Con questa sentenza la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale proposte dalle ordinanze in epigrafe concernono gli artt. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213, 31 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 e 102 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, nella parte in cui, non prevedendo un qualche compenso per la maggiore attività svolta dai docenti universitari medici in servizio presso cliniche o istituti convenzionati, impediscono anche la corresponsione dell’indennità prevista, quando, come accade attualmente per i docenti medici al vertice della carriera universitaria, il loro livello retributivo abbia raggiunto e superato quello dell’omologo profilo ospedaliero, violando cosi i principi di cui agli artt. 3 e 36 della Costituzione) ed ha affermato che il meccanismo perequativo di cui all’art. 31 D.P.R. n. 761 del 19871 (ndrart. 31 D.P.R. n. 761 del 1979) riguarda, oltre ai docenti universitari medici, tutto il restante personale universitario, che presta servizio presso le cliniche e gli istituti universitari, equiparandolo, per quanto concerne non solo il trattamento economico complessivo, ma anche i compensi per lavoro straordinario e le altre indennità previste dall’accordo nazionale unico, al personale delle unità sanitarie locali di pari funzioni, mansioni ed anzianità.
35. Il quinto motivo è infondato perché la Corte territoriale ha spiegato in maniera chiara ed esaustiva e per niente perplessa e contraddittoria le ragioni per le quali non fosse configurabile alcuna disparità di trattamento, neanche ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 761 del 1979, ed ha evidenziato che il trattamento era stato attribuito ad alcuni colleghi del ricorrente in provvisoriamente e senza alcun carattere di definitività.
36. Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso va rigettato.
1. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente in applicazione dell’art. 91 c.p.c.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere all’Azienda Policlinico Umberto I di Roma le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfetarie, oltre IVA e CPA.
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