Corte di Cassazione sentenza n. 6575 depositata il 16 marzo 2018
FALLIMENTO – EFFETTI SUGLI ATTI PREGIUDIZIEVOLI AI CREDITORI – AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE – ATTI A TITOLO ONEROSO, PAGAMENTI E GARANZIE – STATO DI INSOLVENZA NEL PERIODO SOSPETTO – PRESUNZIONE ASSOLUTA – CONSEGUENZE – PROVA DELL’ELEMENTO SOGGETTIVO DELL’AZIONE – ACCERTAMENTO DELLA MANIFESTAZIONE ESTERNA DEL DISSESTO E DELLA SUA PERCEZIONE COME TALE IN CAPO ALL'”ACCIPIENS” – SUSSISTENZA
RILEVATO
CHE:
La Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Fallimento di (OMISSIS) (di seguito (OMISSIS)) s.p.a. contro la sentenza di primo grado, ha dichiarato inefficaci nei confronti dei creditori concorsuali, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, i versamenti solutori per complessivi Euro 2.526.231,58 eseguiti dalla società poi fallita, nel c.d. periodo sospetto (luglio 2001/luglio 2002), sui conti correnti intrattenuti presso la Banca Commerciale Italiana (Comit) s.p.a ed ha condannato Intesa San Paolo s.p.a. (già Banca Intesa s.p.a.), succeduta a Comit nella titolarità del rapporto controverso, a pagare all’attore/appellante la somma predetta, maggiorata degli interessi legali dalla data della domanda.
La corte territoriale ha ritenuto provata la scientia decoctionis di Comit rilevando: che già due anni prima del fallimento, questa aveva segnalato la posizione di rischio di (OMISSIS) alla Centrale Rischi della Banca d’Italia; che le informazioni fornite da detta Centrale davano conto della criticità della situazione finanziaria della società, fortemente esposta anche nei confronti di altri istituti di credito per affidamenti “a scadenza” ed “a revoca”; che, inoltre, i conti correnti accesi da (OMISSIS) presso l’agenzia di (OMISSIS) della banca presentavano un andamento grandemente negativo, per saldi costantemente scoperti e mai ripianati; che, infine, Comit aveva sicuramente acquisito il penultimo bilancio di esercizio (relativo all’anno 2000) pubblicato da (OMISSIS), che riportava perdite per 4 milioni e mezzo di Euro.
Quanto all’ammontare effettivo delle rimesse solutorie, il giudice del merito ha ritenuto superfluo disporre la ctu contabile richiesta dalle parti, in quanto, non avendo Intesa San Paolo fornito la prova che (OMISSIS) godesse di aperture di credito in conto corrente, tutte le rimesse affluite sui conti scoperti, ivi comprese quelle derivanti da giroconti, costituivano versamenti solutori, il cui ammontare era stato correttamente calcolato dal ctp del Fallimento.
La corte capitolina ha, da ultimo, dichiarato inammissibile, perche’ formulata per la prima volta in appello, la domanda del Fallimento di riconoscimento della rivalutazione monetaria ed ha respinto l’ulteriore domanda dell’appellante, di restituzione delle somme corrisposte alla banca appellata a titolo di spese del giudizio di primo grado, per mancanza di prova del pagamento.
La sentenza, pubblicata il 16.7.2012, e’ stata impugnata da Intesa San Paolo s.p.a. con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Il Fallimento di (OMISSIS) ha resistito con controricorso, con il quale ha proposto ricorso incidentale per tre motivi, l’ultimo dei quali condizionato.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
CHE:
1) Con il primo motivo del ricorso principale, che denuncia violazione della L. Fall., art. 67, comma 2, artt. 115 e 116 c.p.c. oltre che vizio di motivazione, Intesa San Paolo contesta che il Fallimento abbia fornito prova della ricorrenza del presupposto soggettivo dell’azione.
Assume al riguardo che la corte del merito – ritenendo erroneamente che la qualità di una banca, di operatore economico altamente qualificato, comporti una sorta di inversione dell’onere della prova, che libera il curatore dal dovere di allegare i fatti sintomatici dello stato di insolvenza conosciuti dal creditore – non avrebbe verificato: se (OMISSIS) versasse in stato di insolvenza sin dal 17 luglio 2001; se, sempre a partire da tale data, Comit fosse a conoscenza di fatti rivelatori dell’incapacità della società di far fronte con mezzi normali alle proprie obbligazioni; se gli elementi indiziari offerti dal Fallimento a sostegno della propria tesi difensiva rivestissero, nel loro insieme, i tratti della gravità, della precisione e della concordanza.
Piu’ specificamente, la ricorrente lamenta che l’indagine in ordine al primo punto sia stata totalmente omessa e che il giudice a quo abbia sostanzialmente travisato le risultanze della Centrale Rischi della Banca di Italia prodotte dalla controparte, le quali, a suo dire, davano conto unicamente di sconfinamenti parziali di (OMISSIS), comunque contenuti entro l’affidamento complessivo concessole, senza che fosse mai stata registrata una partita “a sofferenza” anteriore all’ultima delle rimesse oggetto di revocatoria, e che pertanto non denotavano alcuna anormalità della situazione finanziaria della società, ma, semmai, dimostravano la fiducia ancora nutrita dal ceto bancario nei suoi confronti.
Secondo la ricorrente, inoltre, la corte del merito avrebbe sopravvalutato il dato della segnalazione da parte della stessa Comit dell’esistenza di una posizione della debitrice “a rischio” – che costituiva mero compimento di un atto cui la banca era obbligata ai sensi del T.U.B. e della Delib. CICR 29 marzo 1994 – ed avrebbe ritenuto costantemente scoperti i conti accesi da (OMISSIS) in quanto avrebbe operato un’indebita confusione fra il conto corrente ordinario, che, proprio in base agli estratti allegati dal Fallimento, evidenziava un andamento del tutto regolare (nonche’ privo di sconfinamenti, sino al marzo 2002, dall’affidamento di L. 300 milioni di cui la società godeva), ed i conti d’appoggio, che costituivano mere evidenze contabili delle anticipazioni su fatture e su crediti concesse alla debitrice.
Intesa San Paolo rileva, infine, che il giudice del merito ha fondato la decisione sui dati del bilancio di esercizio del 2000 di (OMISSIS), peraltro non prodotto in causa dal Fallimento, senza accertare se, ed in quale epoca, Comit lo avesse effettivamente acquisito e senza chiarire perche’ le perdite rilevate costituissero segno inequivoco dell’insolvenza della società.
2) Col secondo motivo, che denuncia violazione della L. Fall., art. 67, comma 2, artt. 61, 101, 115, 116 e 191 c.p.c., artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. nonche’ ulteriore vizio di motivazione, la ricorrente principale lamenta l’errata quantificazione delle rimesse solutorie.
Contesta, in primo luogo, che il giudice d’appello potesse fondare l’accertamento su un atto di parte, omettendo di disporre sul punto una ctu contabile, richiesta anche dal Fallimento.
Assume, inoltre, di aver fornito prova documentale degli affidamenti per cassa di cui (OMISSIS) godeva presso la Comit, peraltro emergenti anche dalle schede della Centrale Rischi, e deduce che i versamenti solutori non potevano essere calcolati sommando a quelli annotati sul conto corrente ordinario quelli annotati sui conti anticipi, e senza tener conto se, alla data dei singoli versamenti, il conto risultasse meramente passivo o scoperto.
Rileva, ancora, che non potevano essere dichiarate inefficaci le operazioni di giroconto dal conto anticipi al conto corrente ordinario, allorche’ quest’ultimo già presentava un saldo passivo, ed altre operazioni che costituivano mere evidenze contabili, alle quali non corrispondeva un effettivo movimento di denaro.
Assume, infine, che la corte del merito avrebbe ignorato l’esistenza di operazioni bilanciate, notoriamente irrevocabili, ed avrebbe scorrettamente tenuto conto, ai fini della determinazione dello scoperto, della data valuta degli assegni versati sul conto anziche’ di quella del loro effettivo incasso.
3) Con il primo motivo del ricorso incidentale il Fallimento denuncia l’error in procedendo compiuto dalla corte territoriale, per aver ritenuto nuova, e pertanto inammissibile, la domanda di riconoscimento della rivalutazione monetaria, che era stata proposta con l’atto di citazione.
4) Col secondo motivo il ricorrente incidentale lamenta il rigetto della domanda di restituzione delle somme corrisposte alla banca a titolo di rimborso delle spese del giudizio di primo grado, il cui pagamento risultava documentato.
5) In via incidentale condizionata il Fallimento si duole, infine, del mancato espletamento della ctu contabile richiesta.
6) Il primo motivo del ricorso principale non merita accoglimento.
Esso muove dall’assunto, palesemente infondato, secondo cui l’indagine concernente la prova del presupposto soggettivo dell’azione L. Fall., ex art. 67, comma 2 richieda innanzitutto la verifica della ricorrenza dello stato di insolvenza dell’imprenditore fallito nell’anno anteriore alla sentenza dichiarativa.
In contrario va ribadito, in adesione ad un principio giurisprudenziale già ripetutamente enunciato da questa Corte (Cass. nn. 4559/011, 5953/85, 5334/83), che lo stato di insolvenza del debitore nel c.d. periodo sospetto e’ oggetto di una presunzione iuris et de iure, derivante dalla stessa apertura della procedura concorsuale, cosicche’, ai fini della prova in questione, il giudice del merito e’ tenuto unicamente ad accertare se nel medesimo periodo, e con specifico riguardo al tempo degli atti revocandi, i sintomi del dissesto si fossero manifestati all’esterno e come tali fossero stati percepiti dall’accipiens.
Ugualmente infondata e’ l’affermazione della sostanziale inversione dell’onere della prova operata dalla corte del merito, la quale, lungi dal ritenere che la scientia decoctionis della banca potesse desumersi dalla mera sua qualità di operatore economico qualificato, ha basato il proprio accertamento su una serie di documenti, ritenuti indicativi della situazione di dissesto di (OMISSIS), o provenienti dalla stessa Comit (la segnalazione della posizione di rischio della società; gli estratti dei conti correnti) o a sua sicura, diretta conoscenza (le informazioni della Centrale Rischi; il bilancio dell’esercizio 2000 della cliente, acquisito nel giugno di quell’anno, al fine di verificare se il finanziamento dalla stessa richiesto potesse esserle erogato).
Una volta escluso che possa imputarsi al giudice d’appello di aver violato le regole dettate in tema di onere e di valutazione della prova, le censure della ricorrente si risolvono nella pretesa di un completo riesame dei documenti sui quali la decisione si fonda, o nella generica deduzione della loro irrilevanza o del loro travisamento, e dunque nella richiesta, inammissibile nella presente sede di legittimità, di un’interpretazione delle risultanze processuali difforme da quella operata dal giudice del merito.
7) Le censure illustrate nel secondo motivo del ricorso principale sono invece parzialmente fondate, nei termini che di seguito si precisano.
La corte d’appello, nell’operare il calcolo delle rimesse solutorie, non ha tenuto conto che, secondo quanto risultava proprio dalla documentazione prodotta dal Fallimento (schede Centrale Rischi della Banca d’Italia), e secondo quanto da essa stessa implicitamente accertato in sede di esame della ricorrenza del presupposto soggettivo dell’azione, (OMISSIS) godeva presso Comit di affidamenti in conto corrente.
Nella sentenza impugnata si legge infatti che Comit non solo aveva istruito nel 2000 una pratica per la concessione alla società poi fallita di un finanziamento, ma aveva segnalato alla Centrale Rischi della Banca d’Italia la posizione di rischio della propria correntista: il giudice del merito, oltre ad ignorare il dato documentale inequivoco emergente dalle schede di cui s’e’ appena detto, ha dunque omesso di considerare che, in assenza di affidamenti, la banca non sarebbe stata tenuta ad alcuna segnalazione, ne’ sarebbe stata destinataria di quelle periodiche della Centrale Rischi, la quale, per l’appunto, attraverso lo scambio delle informazioni provenienti dagli istituti di credito affidanti, pone in grado gli stessi di conoscere la posizione globale di rischio del cliente affidato.
Dall’omessa verifica della sussistenza degli affidamenti deriva l’errore metodologico compiuto dal giudice a quo, che ha calcolato fra le rimesse solutorie anche quelle in “avere” annotate sui c.d. conti collaterali.
I conti in questione, infatti, non sono normalmente operativi, ma rappresentano un mera evidenza contabile dei finanziamenti per anticipazioni su crediti concessi dalla banca al cliente. Su di essi, in sostanza, l’istituto annota in “dare” al correntista l’importo di dette anticipazioni, di volta in volta erogate in occasione della presentazione di effetti o della c.d. carta commerciale, e glielo riannota in “avere” una volta che abbia provveduto a riscuotere il credito sottostante (in virtu’ del mandato all’incasso usualmente conferitogli): attraverso l’annotazione del rientro delle somme anticipate, il cliente puo’ dunque tornare ad usufruire di nuove anticipazioni, sino al limite dell’affidamento concessogli.
Ne consegue che (quantomeno sino alla data di definitiva chiusura, ove questa intervenga prima della dichiarazione di fallimento) il saldo passivo di tali conti non e’ indicativo di uno scoperto e che gli accrediti in essi annotati non costituiscono rimesse solutorie.
Il rapporto di debito/credito fra la banca e il correntista e’ invece rappresentato, in ogni momento, dal saldo del conto corrente ordinario, sul quale le anticipazioni affluiscono, mediante “giroconto”, ed al s.b.f., alla stregua di ogni altro versamento eseguito da terzi e, nel momento in cui vengono accreditate al correntista, rappresentano anch’esse rimesse revocabili nei limiti in cui hanno contribuito a ridurre od eliminare lo scoperto.
Infatti, poiche’ in presenza di un affidamento per anticipi al s.b.f., il soggetto finanziato conferisce alla banca finanziatrice l’incarico di riscuotere i suoi crediti e di destinarne il ricavo all’estinzione dei suoi debiti, l’effetto (eventualmente) solutorio si realizza attraverso l’accredito delle somme portate dai titoli, dalle ricevute bancarie o dalla carta commerciale presentati per l’incasso, che la banca pone usualmente nella definitiva disponibilità del correntista una volta che le abbia effettivamente incassate. Contestualmente all’incasso si realizza, a latere, la compensazione fra il credito del cliente derivante dalla riscossione ed il credito della banca derivante dall’anticipazione, secondo uno schema perfettamente lecito e sottratto alla revocatoria ai sensi della L. Fall., art. 56, che trova la sua rappresentazione contabile sul c.d. conto anticipi.
Resta assorbita la censura con la quale la ricorrente (confondendo essa stessa fra il caso di specie ed il diverso caso, qui non ricorrente, della contemporanea accensione di piu’ conti correnti ordinari che siano tutti passivi) lamenta che siano state dichiarate inefficaci talune operazioni di giroconto: per quanto appena chiarito, infatti, le rimesse derivanti da operazioni di giroconto dai conti anticipi a quello ordinario vanno conteggiate fra quelle aventi natura solutoria, a meno che non vi sia prova del mancato incasso dei crediti anticipati, mentre le inverse operazioni di giroconto (dal conto corrente ordinario a quello anticipi), lungi dall’essere indicative di versamenti del cliente, sono rappresentative proprio dello storno di precedenti anticipazioni, derivanti dalla mancata riscossione da parte della banca del credito sottostante.
Intesa San Paolo – che non ha mai esplicitamente dedotto che (OMISSIS) godesse presso Comit anche di un’apertura di credito regolata in conto corrente e che, in ogni caso, non ha specificamente censurato l’accertamento della corte territoriale secondo cui mancava la prova della stipulazione di tale contratto – erra, pero’, nel ritenere che gli affidamenti per cassa da essa concessi alla società dovessero essere globalmente computati al fine di accertare se, alla data di annotazione dei versamenti eseguiti nel periodo sospetto sul conto corrente ordinario, questo potesse ritenersi meramente passivo e non scoperto e se pertanto le rimesse che vi erano affluite avessero natura meramente ripristinatoria e non solutoria.
Infatti, come e’ stato ripetutamente affermato da questa Corte, a differenza che nel contratto di apertura di credito, gli affidamenti per smobilizzo crediti (e gli altri strumenti bancari ad essi assimilabili, in quanto rispondenti alla medesima finalità e riflettenti rapporti di analoga natura) non attribuiscono al cliente della banca la facoltà di disporre con immediatezza di una determinata somma di danaro, ma sono esclusivamente fonte, per l’istituto di credito, degli obblighi di accettare, entro un predeterminato ammontare, i titoli che l’affidato presenterà e di anticipare a quest’ultimo la relativa provvista. Ne consegue che l’esistenza di tali affidamenti non puo’ far ritenere coperto un conto corrente bancario, ne’ puo’ far escludere, ai fini dell’esercizio dell’azione revocatoria, il carattere solutorio delle rimesse effettuate sul conto dal cliente poi fallito che non goda di alcuna apertura di credito o che, nel corso del rapporto, abbia sconfinato dal limite del fido eventualmente concessogli a tale titolo (cfr. fra molte, Cass. nn. 7451/08,3396/03, 5623/2000).
Parimenti infondata e’ la censura con la quale Intesa lamenta che la corte territoriale abbia ritenuto revocabili, escludendone la natura bilanciata, una serie di versamenti immediatamente seguiti da prelievi per importi corrispondenti, atteso che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, la banca che eccepisca la natura non solutoria delle rimesse affluite sul conto corrente scoperto per l’esistenza di partite bilanciate ha l’onere di dimostrare – quantomeno per facta concludentia l’esistenza di accordi col cliente, opponibili alla curatela, i quali assegnino alla rimessa la funzione non di rientro dall’esposizione debitoria, ma di creazione di apposita provvista per un’operazione speculare a debito, di pagamento a favore di terzi ovvero di’ prelievo da parte dello stesso cliente (Cass. nn. 17195/014, 1834/011, 23393/07).
Va, infine, respinta la censura inerente l’asserita, errata individuazione dello scoperto con riguardo ai versamenti eseguiti con assegni, atteso che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, per cio’ che concerne i versamenti effettuati a mezzo titoli di credito, il saldo disponibile (cui occorre far riferimento al fine della verifica della natura solutoria delle rimesse) deve presumersi coincidente con quello per valuta, salvo prova contraria, fornita dalla banca (che non risulta nella specie neppure offerta) della messa a disposizione delle somme in data anteriore.
8) Il primo motivo del ricorso incidentale non merita accoglimento, pur dovendosi dare atto della sussistenza del vizio denunciato, Ãn quanto la domanda di riconoscimento della rivalutazione monetaria era stata formulata dal Fallimento nell’atto di citazione.
Il rilievo non e’ di per se stesso sufficiente a determinare la cassazione del capo della decisione impugnato, atteso il potere di questa Corte di correggere la motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., anche in relazione ad un error in procedendo, tutte le volte in cui, fermo restando il limite della non necessità di ulteriori accertamenti in fatto, la questione posta con il motivo d’appello risulti infondata (Cass. nn. 2313/010, 15112/013).
Ora, contrariamente a quanto sostenuto dal Fallimento, e’ consolidato l’orientamento di questa Corte secondo cui l’obbligazione restitutoria dell’accipiens, rimasto soccombente rispetto alla domanda L. Fall., ex art. 67 svolta nei suoi confronti, ha natura di debito di valuta e non di valore (fra molte, Cass. nn. 27084/011, 12736/011, 6538/010): deve pertanto escludersi che la rivalutazione monetaria possa essere riconosciuta in via automatica su tale debito.
Diversa questione e’ quella dell’eventuale diritto del fallimento (che va specificamente allegato e dimostrato) al risarcimento del maggior danno per la ritardata restituzione delle somme oggetto di revocatoria.
Sennonche’, come ammesso dallo stesso ricorrente incidentale, tale danno non e’ presuntivamente identificabile nel diminuito potere d’acquisto della moneta intervenuto fra la data della domanda e quella dell’effettivo pagamento, ma nell’eventuale differenza fra il tasso di rendimento medio dei titoli di stato di durata non superiore ai dodici mesi ed il tasso degli interessi legali (Cass. S.U. n. 19499/08): il Fallimento erra dunque sia nel ritenere che la mera domanda di’ riconoscimento della rivalutazione debba essere interpretata quale domanda svolta ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, sia nel pretendere che il maggior danno in tesi richiesto sia liquidato sulla scorta di un criterio presuntivo cui non ha mai fatto cenno nel corso del giudizio di merito.
9) Al parziale accoglimento del secondo motivo del ricorso principale conseguono la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.
10) Restano assorbiti il secondo motivo del ricorso incidentale, nonche’ le censure con le quali entrambe le parti (l’una nel secondo mezzo del ricorso principale e l’altra in via di ricorso incidentale condizionato) lamentano il mancato espletamento della ctu, spettando al giudice del rinvio di regolare in via definitiva le spese del doppio grado di merito e di stabilire se l’indagine contabile si renda necessaria.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale e di quello incidentale, accoglie nei termini di cui in motivazione il secondo motivo del ricorso principale e dichiara assorbita ogni altra censura proposta dalle parti; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio di legittimità.
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