Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 26610 depositata il 11 giugno 2018
abuso d’ufficio
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Genova ha confermato la condanna di PA alla pena di anni uno di reclusione per il reato di abuso di ufficio (art.323 cod. pen.) perché, in qualità di dirigente tecnico dell’Autorità Portuale di Genova e di responsabile del procedimento ex art. 10 del D. L.gs. 12 aprile 2006, n. 163, in violazione di legge, procurava un ingiusto vantaggio patrimoniale alla EA s.c.a.r.l. alla quale, frazionando artificiosamente il lavoro necessario ai fini del risanamento del lucernaio di un magazzino, affidava i lavori attraverso la procedura del cottimo fiduciario, omettendo la doverosa procedura di cui al comma 8 dell’art. 125 del cit. decreto, in Genova fino al 12 luglio 2010.
2. Con motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione il ricorrente denuncia:
2.1. vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 415 bis, 416, 157 comma 8, 178, lett. b) e c) e 179 cod. proc. pen. per la erroneità della decisione della Corte di appello nella parte in cui ha rigettato la proposta eccezione di nullità della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini , già eccepita in sede di udienza preliminare e reiterata in dibattimento;
2.2. violazione di legge, in relazione all’art. 521 cod. proc. pen.. Nella sentenza impugnata sono riportate sinteticamente le condotte oggetto di addebito omettendo deliberatamente di considerare la “elisione” alla quale la contestazione in fatto era andata incontro, nel corso del dibattimento, per evitare di prendere in considerazione gli argomenti difensivi. Secondo il ricorrente, il Pubblico Ministero non si era avveduto di un errore di fondo che connotava la contestazione ascritta al PA, e che non avrebbe potuto essere emendato se non violando il principio di correlazione tra accusa e sentenza, poiché ben tre dei preventivi redatti risultavano dell’ importo di 40.000,00 ed erano, dunque, di importo tale da non consentire in nessun modo l’affidamento diretto dei lavori. L’ errore di fondo dell’Accusa permeava tutta l’impostazione accusatoria – secondo la quale l’imputato aveva artificiosamente frazionato un unico incarico in cinque distinti, per procedere all’affidamento diretto dei lavori – mentre la corretta contestazione avrebbe dovuto riguardare il vizio di violazione di legge per essere stato l’affidamento superiore ai limiti di legge. La sentenza di appello, a propria volta, ha obliterato tali rilievi ed è pervenuta ad una conclusione irragionevole, poiché proprio ciò che è stato ignorato era oggetto della censura difensiva, assumendo che la dedotta violazione di legge non aveva mai costituito oggetto di contestazione all’imputato, violazione definita irrilevante dal Tribunale.
2.3. violazione di legge e vizio di motivazione, per mera apparenza ed illogicità oltre che contraddittorietà, della sentenza in punto di elemento soggettivo del reato, anche alla stregua del criterio del ragionevole dubbio. Un primo aspetto, dedotto con i motivi di appello e pretermesso dalla Corte, investe la individuazione del vantaggio ingiusto che sarebbe derivato alla società EA, vantaggio ingiusto che la Corte ha ritenuto sussistente in termini apodittici e in contrasto con la tesi di accusa. Questo, secondo il punto 3) dell’originaria contestazione, era costituito nella differenza pagata da EA all’impresa subappaltatrice, che avrebbe eseguito tutti e cinque gli interventi ma si è risolto, secondo la sentenza impugnata, nel solo vantaggio descritto nella prima parte e, cioè, procurare delle commesse a EA. E’ frutto di un vero e proprio travisamento della prova, l’analisi della difesa dell’imputato (che avrebbe agito per un errore incolpevole derivato dal proprio stato d’animo per le condizioni in cui versava la propria madre, di lì a poco deceduta), poiché la Corte ha trascurato che nessuno dei preventivi era stato indirizzato all’imputato ma solo al direttore dei lavori al quale, dopo il primo sopralluogo da parte del ricorrente era stata delegata la gestione dell’intervento; che i primi tre preventivi erano pervenuti all’Ufficio mentre il ricorrente era in ferie e che gli ordini erano stati sottoscritti dall’imputato proprio nel periodo immediatamente antecedente e successivo al decesso della madre; ordini che, pochi giorni dopo, l’imputato, avvedendosi dell’errore, aveva sospeso, con un provvedimento che, secondo la Corte, era stato artatamente adottato, forse a mero scopo difensivo, poiché non ne era stato informato neppure il direttore dei lavori, conclusione fondata sulla mera circostanza che non era stato redatto un verbale di sospensione dei lavori e smentita dal teste sentito in dibattimento che ha riferito che il provvedimento era stato ritualmente protocollato. Sono illogiche le deduzioni svolte dalla Corte sulla sussistenza della somma urgenza che ben poteva essere verificata dal ricorrente sulla scorta delle sue conoscenze tecniche, per il sospetto di presenza di amianto nella struttura ed infiltrazioni piovane. Sono erronee anche le considerazioni svolte dalla Corte sulla possibilità di affido complementare dei lavori, tenuto presente che le maestranze della EA erano impegnate nei lavori di ampliamento del magazzino; che i lavori non erano terminati, e, viceversa consentiti, anche attraverso l’adozione di una perizia di variante. La conclusione della Corte, secondo la quale nessuna di tali procedure era stata, comunque, attuata conferma il vizio di nullità innanzi dedotto. Né la sottoscrizione degli ordini di pagamento è suscettibile di integrare vizio della procedura o denotare l’elemento psicologico del reato trattandosi di atti dovuti in presenza di attestazione, del direttore dei lavori, sul regolare completamento dei lavori, con la conseguenza che neppure è ravvisabile un ingiusto vantaggio del beneficiario ed il correlativo danno per la pubblica amministrazione. Non sono dimostrati accordi illeciti né vantaggi personali per l’imputato nella procedura in esame né la Corte genovese ha argomento sulla sussistenza del fine esclusivo di favorire il privato ovvero della presenza di una esclusiva e prevalente finalità pubblicistica, nel caso quella di eliminare qualsivoglia pericolo per la pubblica incolumità e per la impossibilità di recedere, senza danno per la pubblica amministrazione, dal rapporto con la società una volta verificato l’errore nella sottoscrizione degli ordini;
2.4. violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata applicazione della circostanza di cui all’art. 323-bis, comma 1, cod. pen. ovvero di quella di cui all’art. 62, n. 4 cod. pen. tenuto conto della insussistenza dell’ingiusto vantaggio, come contestato nella imputazione, e, anzi ritenendosi giustificata la lievissima differenza di prezzo tra quanto percepito da EA e la ditta subappaltatrice e, viceversa, illogicamente commisurata al valore dell’appalto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di PA deve essere rigettato. 2. Infondato è il primo motivo di ricorso.
2.1. Il ricorrente deduce che la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini, eseguita attraverso l’ufficiale giudiziario, a seguito di due accessi negativi, veniva effettuata mediante deposito nella Casa Comunale con avviso di deposito dell’atto speditogli a mezzo di raccomandata che non veniva recapitata all’interessato, stante la sua precaria assenza, e contenente l’invito a ritirare il piego presso l’ufficio postale; che la raccomandata, compiuto il periodo di giacenza, veniva restituita all’ufficio richiedente la notifica. Rileva che, tuttavia, sull’avviso lasciato nella cassetta postale, non era stato crocettato l’invito al ritiro del piego entro dieci giorni ma solo che si trattava di notifica di atti giudiziari, con indicazione della giacenza per mesi sei: da qui l’errore nel quale era incorso l’interessato, impossibilitato a comprendere che l’avviso era relativo ad un processo penale. Da tanto, secondo la prospettazione del ricorrente, consegue l’erroneità della decisione della Corte di merito nel ritenere non pertinente il richiamo alla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 346 del 1998, ed ai principi richiamati dalla difesa, poiché le modalità della notifica si fondano sulla mera presunzione di conoscenza dell’atto, presunzione nel caso contrastata dalla mancata indicazione della voce richiamata dall’art. 157, comma 8 cod. proc. pen. e da una fuorviante dizione, che rinviava ad atti giudiziari e amministrativi, recante quale periodo quello giacenza mesi sei.
2.2. La Corte di merito ha correttamente disatteso l’eccezione difensiva atteso che, incontestata la ricezione della raccomandata dalla quale si evinceva che il piego notificato sarebbe rimasto in giacenza presso l’Ufficio Postale per sei mesi, deve ritenersi ritualmente perfezionato il procedimento di notifica e che, ulteriori equivoci, nei quali possa essere incorso il destinatario dell’atto, sono irrilevanti ai fini del perfezionamento della notifica stessa che la norma collega alla ricezione della raccomandata, secondo una pacifica linea interpretativa tracciata nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 42160 del 09/07/2013, Rosini, Rv. 2566770) sicchè deve ritenersi che l’iter di notifica dell’avviso di conclusione indagini, si è ritualmente perfezionato. Privo di pregio è il riferimento del ricorrente alla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 346 del 1998, che aveva dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge n. 890 del 1992 rimuovendo la previsione di restituzione del piego al mittente dopo il decorso di un termine del tutto inidoneo, per la sua brevità, a garantire l’effettiva possibilità di conoscenza – ritenuta lesiva del diritto di difesa del destinatario della notificazione, non presente nella parallela disciplina codicistica delle notificazioni a mezzo di ufficiale giudiziario e non connaturata, quanto meno nella sua dimensione temporale, alla specificità del mezzo postale. Rileva il Collegio che le evenienze poste a fondamento della richiamata decisione del Giudice delle leggi e la ratio della dichiarata incostituzionalità dell’art. 8 della legge n. 890 del 1992, non sono configurabili e ravvisabili nella fattispecie in esame, avuto riguardo al periodo di giacenza del piego, cioè sei mesi, previsto in relazione alla tipologia della notifica eseguita all’imputato, al di là del perfezionarsi di quest’ultima, anche in caso di piego non ritirato, al decimo giorno della giacenza.
3. Anche il secondo motivo di ricorso non è fondato.
Deve escludersi, sulla scorta della ricostruzione compiuta nella sentenza impugnata ed in quella di primo grado che il ricorrente sia stato condannato, in violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., per un fatto diverso da quello che aveva costituito oggetto di addebito nella originaria contestazione, benché le sentenze di merito diano diffusamente atto che, durante l’istruttoria dibattimentale, era emerso, in relazione al vizio di violazione di legge che inficiava la procedura di scelta del contraente seguita per l’affidamento dei lavori, un aspetto, cioè che l’importo di tre degli ordinativi non consentiva di procedere all’affidamento diretto dei lavori. Tale vizio, tuttavia, non aveva costituito oggetto di contestazione e, men che mai, è stato oggetto di addebito con le decisioni che avevano affermato la penale responsabilità del PA.
3.2 Per come è dato evincere dalla sentenza impugnata, PA è stato ritenuto responsabile del reato di abuso di ufficio perché, al fine di procurare un indebito vantaggio patrimoniale alla EA, aveva, artificiosamente frazionato, in accordo con il defunto amministratore della società che aveva inviato i corrispondenti preventivi, l’appalto avente ad oggetto i lavori di rifacimento del lucernaio di un capannone, suddividendoli in cinque distinti interventi, tre dei quali dell’importo di euro 40.000,00 e due di importo inferiore, uno corrispondente ad euro 25.000,00 e l’altro di euro 34.000, così procedendo ad affidamento dei lavori con la procedura del cottimo fiduciario, senza procedere neppure alla consultazione di almeno altre quattro ditte. Secondo il ricorrente, invece, dall’istruttoria dibattimentale era emerso che il vizio che inficiava la procedura di scelta del contraente era ravvisabile nella circostanza che anche per l’appalto di lavori di importo pari a 40.000,00 euro – e non solo superiori a detto importo – era d’obbligo procedere a gara, vizio, questo, che non aveva costituito oggetto di contestazione e rispetto al quale erano risultate elusive le risposte alle deduzioni difensive contenute nella sentenza impugnata ed in quella di primo grado.
3.3. Ritiene il Collegio, sulla scorta dei profili di illegittimità individuati nelle sentenze di merito in relazione alla descritta procedura, che deve escludersi siano stati addebitati al ricorrente vizi della procedura diversi ed ulteriori rispetto a quelli che avevano costituito oggetto dell’originaria contestazione e che, in ogni caso, la valutazione compiuta dai giudici del merito, quanto alla configurabilità del delitto di abuso ascrittogli, è operata in conseguenza di una valutazione logica del materiale processuale e senza alcun rilevante errore di diritto circa gli elementi costitutivi essenziali del fatto, ai fini della sua sussunzione nella fattispecie incriminatrice, con la conseguenza che la Corte di Cassazione non può compiere un diverso apprezzamento dei dati fattuali venendo, altrimenti, vulnerato il principio dell’autonomia esclusiva del convincimento in fatto del giudice di merito.
4. Per mera completezza, ed in aggiunta ai rilievi testè svolti, ritiene il Collegio che può perfino dubitarsi, a livello epistemologico, che l’ulteriore aspetto di illegittimità denunciato dal ricorrente- cioè, che l’importo di tre dei cinque ordinativi rendeva obbligatorio procedere a gara – sia tale da connotare il fatto originariamente contestato in termini di fatto diverso – men che mai in termini di fatto nuovo -, non trattandosi di aspetto tale da ingenerare il dubbio che il fatto materiale ascritto all’imputato si sia svolto in tempi, in luoghi o con modalità difformi a quelle descritte nell’imputazione e tenuto conto, altresì, che la violazione dell’obbligo di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, non si verifica quando l’accusa venga precisata o integrata con le risultanze di atti acquisiti al processo, e quando la modifica, rispetto all’accusa originaria, non abbia in alcun modo menomato le possibilità di difesa (Sez. 2, n. 18868 del 10/02/2012 – dep. 17/05/2012, Osmenaj, Rv. 252822), e, in particolare, quando il fatto ritenuto in sentenza, quantunque diverso da quello contestato, sia stato prospettato dallo stesso imputato, atteso che, avendo in tal caso il medesimo imputato apprestato la necessaria difesa in relazione alla diversa prospettazione del fatto volontariamente offerta.
5. Corrisponde all’osservanza di precise regole nella valutazione delle prove, di completezza e logicità della motivazione, l’iter argomentativo posto a fondamento della sentenza impugnata con riguardo alla individuazione e sussistenza dell’ingiusto vantaggio patrimoniale che, quale diretta conseguenza della condotta abusiva, i giudici di appello hanno individuato nell’avere procurato alla EA una commessa alla quale l’impresa non aveva alcun diritto. Nella sentenza (cfr. pag. 11) è stato puntualmente ricostruito il rapporto di conoscenza dell’imputato con l’amministratore della società EA (nel frattempo deceduto) che aveva eseguito, nel medesimo capannone, lavori di ampliamento ed il procedimento di affidamento dei nuovi ed ulteriori lavori – oggetto di contestazione – che veniva seguito personalmente dall’imputato, nella qualità, a partire dal sopralluogo eseguito nel mese di luglio 2009, per verificare le infiltrazioni, sopralluogo al quale aveva fatto seguito, in mancanza di una previsione di spesa dei lavori da eseguire, la presentazione, da parte della società, dei preventivi che, ritoccati nell’importo ridotto a quarantamila euro, vennero poi posti a base degli ordini di lavoro che, pur investendo un intervento sostanzialmente e funzionalmente unitario (cioè il rifacimento del tetto del capannone) risultavano, senza alcuna apparente ragione, senza alcuna ragionevole giustificazione e in contrasto con le previsioni recate dall’art. 125, comma 13, del Codice degli appalti, artificiosamente frazionati (la costruzione del ponteggio per la esecuzione dei lavori, oggetto del primo ordine; lo smontaggio dei pannelli di copertura del tetto, oggetto del secondo; la fornitura e posa in opera dei strutture, oltre alla pitturazione trasporto a discarica del materiale di risulta, il terzo, quarto e quinto ordine) allo scopo di sottoporli alla disciplina delle acquisizioni in economia, ovvero attraverso la procedura del cottimo fiduciario, così in concreto seguita.
6. La macroscopica illegittimità della procedura seguita, secondo le corrette valutazioni dei giudici del merito, denota a chiare lettere l’elemento soggettivo del dolo intenzionale, ossia la rappresentazione e la volizione dell’evento come conseguenza diretta e immediata della condotta dell’agente e obiettivo primario da costui perseguito ( Sez. 6, n. 35859 del 07/05/2008, Pro, Rv. 241210; Sez. 5, n. 3039 del 03/12/2010, Marotta e altri, Rv. 249706) e risulta inequivocabilmente orientata a procurare il vantaggio patrimoniale alla società assegnataria dei lavori, finalità rispetto alla quale non rileva la circostanza che la ditta avesse poi direttamente eseguito buona parte dei lavori e non, come da originaria contestazione, solo una parte mentre la parte restante era stata affidata in subappalto alla I.. Il dolo, inoltre, prescinde dall’accertamento dell’accordo collusivo con la persona che si intende favorire, potendo essere desunta anche dalla macroscopica illegittimità dell’atto (Sez. 3, n. 57914 del 28/09/2017, Di Palma e altri, Rv. 272331).
7. Come noto ai fini del perfezionamento del reato di abuso d’ufficio assume rilievo il concreto verificarsi (reale o potenziale) di un ingiusto vantaggio patrimoniale che il soggetto attivo procura con i suoi atti a se stesso o ad altri, ovvero di un ingiusto danno che quei medesimi atti procurano a terzi (Sez. 6, n. 36020 del 24/05/2011, Rossattini, Rv. 250776). È, quindi, necessario che sussista la cosiddetta doppia ingiustizia, nel senso che ingiusta deve essere la condotta, perché connotata da violazione di legge, ed ingiusto deve essere l’evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia e nel caso comprovato dal favoritismo accordato alla EA assicurandole l’appalto, frazionato in cinque ordinativi, e con l’intenzione di arrecarle un vantaggio, evitando la gara.
8. Si sottraggono a censure di vizi logico-giuridici ictu oculi percepibili – e come tali esulanti dal tipo di sindacato in questa Sede correttamente attivabile – anche le ulteriori argomentazioni della Corte genovese in merito alla valutazione dell’elemento psicologico del reato, che, secondo il ricorrente, è frutto di un vero e proprio travisamento delle sue dichiarazioni e nella parte in cui la Corte territoriale ha esaminato le deduzioni difensive sull’iter procedurale seguito dall’imputato escludendo che i lavori fossero stati affidati ricorrendo alla procedura di somma urgenza ovvero affido complementare e che la sottoscrizione degli ordini di pagamento corrispondeva ad un atto dovuto. (.„’)
9. La Corte territoriale, sulla scorta di una compiuta disamina degli atti, è pervenuta alla logica conclusione che non fossero state attivate procedure diverse da quella del cottimo fiduciario poiché gli atti acquisiti non recano traccia alcuna dell’inizio di procedure diverse, quale quella della cd. somma urgenza o dell’affido complementare. Il ricorso alla prima non è avallato, in particolare, da accertamenti di natura tecnica, risultanti da un atto a tal uopo redatto, attestanti la imperiosa urgenza di procedere a lavori necessari e accompagnato da perizia estimativa per la copertura della spesa e l’autorizzazione dei lavori, che infatti non risulta redatta; la seconda tipologia di procedura, secondo le regole dettate dall’art. 57, comma 5, lett. a) del d. L.vo 163/2006, richiedeva che venissero consultati almeno tre operatori e la non ultimazione dei lavori principali che avevano riguardato il capannone e che, invece, a meno di rifiniture, erano orami completati. Né, infine rileva – ai fini della fondatezza delle prospettazioni compiute dal ricorrente- la natura dovuta della sottoscrizione degli ordinativi di pagamento che sono solo l’ ultimo anello di una catena innescata dalla irregolare procedura e che, pertanto, non possiede efficacia esimente in relazione alla pregressa, e illecita, condotta che a tale adempimento aveva dato avvio.
10. Tornando al momento genetico della procedura ed alla sottoscrizione, da parte dell’imputato, degli ordini dei lavori, non appare connotata dal denunciato vizio di travisamento della prova la valutazione delle dichiarazioni dell’imputato e, quindi, della allegata tesi difensiva. Anche a tal riguardo la Corte ha ricostruito la scansione temporale, rispetto al decesso della madre del PA, del pervenimento dei preventivi e del distinto momento, questo sì coincidente con l’epoca dell’epoca del decesso della madre del PA, in cui furono sottoscritti alcuni degli ordini escludendo, con argomentazioni del tutto logiche e lineari, che la loro sottoscrizione potesse costituire frutto di un errore e valorizzando la circostanza che non era stata neppure accertata la sospensione dei lavori, quando, nel prosieguo, l’imputato si sarebbe accorto dell’errore nel quale era incorso. La ricostruzione completa della vicenda compiuta dai giudici del merito, a partire dal sopralluogo eseguito dall’imputato ben prima del decesso del madre, costituisce, non illogicamente, l’antecedente sulla scorta del quale vennero redatti, dalla ditta, i preventivi, e a seguire gli ordini di pagamento e il sostanziale consenso che l’imputato aveva prestato a siffatta tipologia di affidamento dei lavori che non vennero affatto sospesi e che proseguirono fino al pagamento. La valutazione compiuta dai giudici di appello non denota la ricorrenza del denunciato vizio di travisamento della prova ma consiste in una interpretazione, evidentemente non condivisa dall’imputato, della giustificazione che questi aveva fornito, attraverso una lettura delle sue dichiarazioni nella quale non è ravviabile alcun errore logico, men che mai di manifesta evidenza.
11. Non hanno pregio le censure oggetto del quarto motivo di ricorso. Ed invero quanto al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen., il giudice di appello ha ampiamente giustificato il diniego, adeguandosi alla giurisprudenza di legittimità, a mente della quale l’attenuante de qua ricorre solo quando il reato presenti gravità contenuta nella sua globalità, dovendosi considerare ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato. Nel caso in esame la motivazione sulla intensità del dolo e gravità del fatto del pubblico ufficiale a sostegno della non meritevolezza dell’attenuante è incensurabile in questa sede. Del pari sono ineccepibili le considerazioni con le quali la Corte di merito ha respinto la richiesta di applicazione delle circostanze di cui all’art. 62, n. 4 cod. pen., considerazioni ancorate all’importo e valore dei lavori indebitamente procurati, attraverso la illegittima procedura seguita, alla società incaricata, e che non sono connotati da speciale tenuità.
12. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione V, sentenza n. 3856 depositata il 17 aprile 2023 - Il subappalto è il contratto con cui l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di una parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di…
- CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 8334 depositata il 27 marzo 2024 - In tema di procura alle liti, a seguito della riforma dell'art. 83 c.p.c. disposta dalla legge n. 141 del 1997, il requisito della specialità, richiesto dall'art. 365…
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 39615 depositata il 20 ottobre 2022 - In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche e delle società, l'espressione normativa, con cui se ne individua il presupposto nella commissione dei…
- CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 3694 depositata il 7 febbraio 2023 - In tema di danno cd. differenziale, la diversità strutturale e funzionale tra l'erogazione INAIL ex art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 ed il risarcimento del danno secondo i criteri…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 29335 depositata il 23 ottobre 2023 - Oltre alla reintegra nel posto di lavoro il lavoratore ha diritto a risarcimento del danno sub specie di danno non patrimoniale ed in particolare di danno esistenziale. Il danno…
- CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 36841 depositata il 15 dicembre 2022 - Il danno subito dalla vittima, nell'ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall'evento lesivo, è configurabile e trasmissibile agli eredi nella…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Gli amministratori deleganti sono responsabili, ne
La Corte di Cassazione, sezione I, con l’ordinanza n 10739 depositata il…
- La prescrizione quinquennale, di cui all’art. 2949
La Corte di Cassazione, sezione I, con l’ordinanza n. 8553 depositata il 2…
- La presunzione legale relativa, di cui all’a
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 10075 depos…
- Determinazione del compenso del legale nelle ipote
La Corte di Cassazione, sezione III, con l’ordinanza n.10367 del 17 aprile…
- L’agevolazione del c.d. Ecobonus del d.l. n.
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 7657 depositata il 21 ma…