La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20913 depositata il 30 settembre 2020 intervenendo in tema di validità delle conciliazioni giudiziali ha riaffermato che “la transazione contenuta nella conciliazione giudiziale che ha posto fine alla lite a suo tempo promossa dal ricorrente, è sottratta, in quanto perfezionatasi in giudizio, al regime della impugnabilità di cui all’art. 2113 c.c. (v. comma 4 art. cit.), mentre rimangono esperibili le normali azioni di nullità e di annullamento dei contratti, rispetto alle quali, pertanto, l’intervento del giudice (limitato al rispetto delle formalità di cui all’art. 88 disp. att. c.p.c.) non può esplicare alcuna efficacia sanante o impeditiva”
La vicenda ha riguardato un dipendente comunale che ricorreva al Giudice del Lavoro per vedersi riconosciuto del suo diritto all’inquadramento nella categoria superiore ed al pagamento di tutte le spettanze economiche. Nel corso di tale giudizio interveniva transazione tra le parti avente ad oggetto il riconoscimento da parte del Comune al dipendente dell’inquadramento richiesto e della retribuzione corrispondente al nuovo inquadramento, con la rinuncia da parte del lavoratore al 50% delle differenze retributive connesse al superiore inquadramento maturate. Il Comune successivamente, con ricorso innanzi al Giudice del Lavoro, il Comune chiedeva che fosse accertata l’illegittimità di tutti gli atti amministrativi presupposti della transazione di cui al verbale di conciliazione sottoscritto. Il Tribunale respingeva il ricorso con decisione poi riformata dalla Corte territoriale con la pronuncia qui impugnata. I giudici di appello ritenevano che la transazione giudiziale fosse assoggettabile come qualsiasi altro negozio giuridico alle azioni di nullità ed inoltre la nullità del riconosciuto inquadramento derivava dal limite imposto dall’art. 97 Cost. e dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35 e dalle norme imperative che presiedono al reclutamento del personale ed anche dalla regola del concorso pubblico che vale anche per i passaggi alle categorie e fasce funzionali superiori. Avverso la decisione della Corte di Appello il lavoratore proponeva ricorso in cassazione fondato su quattro motivi.
Gli Ermellini dichiarano l’inammissibilità del ricorso. I giudici di legittimità hanno precisato che la disciplina legale del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni non consente inquadramenti automatici del personale, neppure in base al profilo professionale posseduto o alle mansioni svolte ed altresì precisato che nel caso di passaggio da un’area di inquadramento ad altra superiore.
Inoltre la Corte Suprema ha evidenziato che riguardo ai diritti già maturati, infatti, il negozio dispositivo integra una mera rinuncia o transazione, rispetto alla quale la dipendenza del diritto da norme inderogabili comporta appunto, in forza dell’art. 2113 c.c., l’eventuale mera annullabilità dell’atto di disposizione, ma non la sua nullità mentre nei confronti di diritti ancora non sorti o maturati che la preventiva disposizione può comportare la nullità dell’atto, poichè esso è diretto a regolamentare gli effetti del rapporto di lavoro in maniera diversa da quella fissata dalle norme di legge o di contratto collettivo.
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