CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 maggio 2022, n. 14675
Segretario comunale – Indennità di posizione – Accertamento – Riallineamento della retribuzione di posizione con quella di Dirigente apicale – Art. 4, co. 26, L. 183/2011 – Applicabilità
Rilevato che
la Corte d’Appello di Napoli, confermando la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha disatteso la domanda con cui L.C., già segretario comunale dal 1998 al 2008 presso il Comune di Caserta, aveva chiesto accertarsi il proprio diritto alla percezione dell’indennità di posizione di cui all’art. 41, co. 4, del C.C.N.L. in misura del 50 % e ciò in aggiunta alla perequazione dovuta nei riguardi del Dirigente comunale di massimo livello di cui al comma 5 del medesimo C.C.N.L., con illegittimità della rideterminazione della retribuzione di posizione operata nei suoi confronti dal Comune;
la Corte territoriale riteneva che, per il riallineamento della retribuzione di posizione con quella del Dirigente apicale, previsto dall’art. 41, co. 5, del C.C.N.L. di settore, dovesse considerarsi la retribuzione di posizione quale già integrata dell’indennità aggiuntiva di cui all’art. 41, co. 4 e non, come preteso dal ricorrente, darsi previamente corso al riallineamento con successiva integrazione mediante l’indennità aggiuntiva, valutando il tutto come non discriminatorio e trovando conferma di tale operato nella successiva regola delineata dall’art. 4, co. 26, L. 183/2011, ritenuta tale da riguardare anche i periodi pregressi;
L.C. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, resistiti dal Comune di Caserta;
il ricorrente ha anche depositato memoria;
Considerato che
con il primo motivo il ricorrente denuncia (art. 360 n. 3 c.p.c.) la violazione dell’art. 3 della Costituzione, in relazione anche all’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ed ai principi rispetto ad essa elaboratori dalla Corte E.D.U. ed in relazione alla Convenzione OIL 100/1956 ed alle Convenzioni 117/1962 e 118/1962, alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, al Patto Internazionale sui diritti economici e sociali ed infine all’art. 45 d. lgs. 165/2001;
il ricorrente in particolare afferma che l’elencazione di cui all’art. 14 della C.E.D.U. sarebbe da considerare un elenco aperto ed idoneo ad includere altri motivi di discriminazione oltre a quelli ivi elencati, dovendosi considerare il diritto di pari retribuzione a parità di lavoro svolto come lesivo di una situazione intangibile del singolo, altrimenti pregiudicato, in contrasto con l’art 2 della Costituzione, anche nella propria dignità personale e professionale, senza contare che nel caso di specie la disparità di trattamento è raggiunta a prescindere da una contrattazione collettiva che governi la fattispecie, così determinandosi contrasto anche con l’art. 45 del d. lgs. 165/2001;
il secondo motivo denuncia la violazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) degli artt. 6 e 41 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, oltre ad omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.) e con esso si ribadisce l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 4, co. 26, L. 183/2011 ove inteso come norma munita di portata retroattiva e dunque tale da alterare l’equità del processo ai danni della parte privata;
il terzo motivo è infine dedicato all’asserita violazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 41 del CCNL del 1998/2001 e del C.N.I. decentrato del 23.12.2003 ove intesi nel senso indicato dalla Corte territoriale, in quanto, ove il “galleggiamento” operasse solo dopo l’attribuzione dell’incremento per funzioni aggiuntive, a queste ultime sarebbe destinata una remunerazione meramente formale, comportando altresì la parificazione retributiva di situazioni caratterizzate da carichi di lavoro differenti;
i tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro connessione;
in proposito il Collegio ritiene di ribadire, condividendolo, il principio affermato da Cass. 6 marzo 2018, n. 5284, relativa a fattispecie sostanzialmente sovrapponibile a quella dedotta in giudizio;
nella decisione innanzi richiamata (e nelle conformi n. 1606/2022, 4619/2019 e n. 20997/2019) è stato affermato che:
– ai fini dell’applicazione della regola, ex art. 41, c. 5, del C.C.N.L. 16 maggio 2001, del c.d. “riallineamento” della retribuzione di posizione del segretario a quella stabilita per la funzione dirigenziale più elevata dell’ente, si deve tener conto dell’importo minimo, di cui al comma 3, della predetta retribuzione, comprensivo della maggiorazione eventualmente riconosciuta ai sensi del successivo comma 4, avuto riguardo, da un lato, all’interpretazione letterale del comma in questione, che, nell’attribuire alle parti la facoltà di maggiorare i compensi del segretario, richiama quelli di cui al precedente comma 3 e non quelli del comma 5; nonché, dall’altro, alla funzione non corrispettiva bensì perequativa del “riallineamento”, sicché è aderente alla ratio della disposizione pattizia – da individuarsi nella particolarità delle funzioni che il segretario espleta presso l’ente locale – che alla perequazione si pervenga con riferimento alla retribuzione di posizione complessiva;
– quanto all’art. 4, comma 26, l. 12 novembre 2011, n. 183 (il quale dispone che: “Il meccanismo di allineamento stipendiale previsto dall’articolo 41, comma 5, del Contratto collettivo nazionale di lavoro dei Segretari comunali e provinciali del 16 maggio 2001, per il quadriennio normativo 19982001 e per il biennio economico 1998-1999 si applica alla retribuzione di posizione complessivamente intesa, ivi inclusa l’eventuale maggiorazione di cui al comma 4 del medesimo articolo 41. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge è fatto divieto di corrispondere somme in applicazione dell’articolo 41, comma 5, del citato Contratto collettivo nazionale di lavoro del 16 maggio 2001 diversamente conteggiate, anche se riferite a periodi già trascorsi. È fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge”), si deve osservare, in continuità con Cass. n. 4619/2019 ed anche al fine della manifesta infondatezza del profilo di legittimità costituzionale sollecitato nelle difese: a) che la norma, nella sua prima parte, ha carattere interpretativo, nel senso che chiarisce la portata ed il significato della disposizione contenuta nell’art. 41, c. 5, C.C.N.L. del 16 maggio 2001, per il quadriennio normativo 1998-2001 e per il biennio economico 1998-1999; b) che la disposizione è innovativa, nella parte, introdotta dall’espressione “a decorrere”, in cui pone il divieto, per il tempo successivo alla sua entrata in vigore, di corrispondere somme in applicazione dell’articolo 41, c. 5, del citato C.C.N.L. 16 maggio 2001 “diversamente conteggiate”, aggiungendosi altresì che, come osservato da Cass. 5284/2018 e qui ribadito nei termini di cui sopra, già l’interpretazione corretta della contrattazione collettiva avrebbe dovuto indurre a concludere pianamente nei termini di cui alla normativa sopravvenuta, sicché non si è in realtà realizzata alcuna alterazione indebita dei rapporti tra le parti;
neppure è fondato l’assunto del ricorrente secondo cui gli esiti dei trattamenti destinati al Dirigente ed al Segretario non deriverebbero dalla contrattazione collettiva, perché appunto la perequazione è stabilita appunto dall’art. 41, co. 5 cit., con riferimento alla sola retribuzione di posizione ed in tali termini vi è stato rispetto della disciplina di cui al C.C.N.L., in osservanza pertanto del principio di cui all’art. 45 del d. lgs. 165/2001 (v. Cass., S.U., 23 aprile 2008, n. 10454);
parimenti, il richiamo ai divieti convenzionali e internazionali di discriminazione non coglie il fatto che segretario comunale e dirigente apicale sono comunque figure autonome, sicché la perequazione opera nei termini previsti dalla contrattazione collettiva, non essendo giustificabile la pretesa ad una necessaria parificazione in toto delle due diverse professionalità e non essendovi necessità di spiegare che di discriminazione non si può parlare se non ricorrano le situazioni di minorazione contemplate dalle fonti internazionali (età, sesso, razza etc.) e se le situazioni (qui, di lavoro) poste a paragone siano per giunta tra loro diverse, per quanto interferenti;
quanto sopra è assorbente di ogni altra questione, sicché il ricorso per cassazione va disatteso e le spese del giudizio di legittimità restano regolate secondo soccombenza;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuna, in euro 5.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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