La Corte di Cassazione, sez. V, con la sentenza n. 7758 depositata il 17 marzo 2023 è intervenuta in tema di revocazione delle sentenze ribadendo che “… Il ricorso per revocazione delle pronunce di cassazione con rinvio deve ritenersi inammissibile soltanto se l’errore revocatorio enunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio ma non anche se la pronuncia di accoglimento sia fondata su di un vizio processuale dovuto ad un errore di fatto o se il fatto di cui si denuncia l’errore percettivo sia assunto come decisivo nell’enunciazione del principio di diritto, o, nell’economia della sentenza, sia stato determinante per condurre all’annullamento per vizio di motivazione. …” (in tal senso, le più recenti Cass., 17 maggio 2018, n. 12046; e Cass., 22 marzo 2019, n. 8259, in motivazione).
Per i giudici della Corte Suprema l’errore di fatto previsto dall’art. 395, 4, cod. proc. civ., poi, deve consistere, al pari dell’errore revocatorio imputabile al giudice di merito, nell’affermazione o supposizione dell’esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece, in modo indiscutibile, esclusa o accertata in base al tenore degli atti o dei documenti di causa; deve essere decisivo, nel senso che deve esistere un necessario nesso di causalità tra l’erronea supposizione e la decisione resa; deve presentare i caratteri della evidenza ed obiettività; infine, non deve cadere su un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata (Cass. 28/02/2007, n. 4640; Cass. 20/02/2006, n. 3652; Cass. 11/04/2001, n. 5369).
La vicenda ha riguardato un contribuente a cui l’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di accertamento. Avverso l’atto impositivo il contribuente propose ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. I giudici accolsero le doglianze del contribuente. L’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza dei giudici di prime cure con ricorso alla Commissione Tributaria Regionale.
I giudici di appello confermarono la sentenza impugnata sul presupposto che l’avviso di accertamento fosse stato notificato al contribuente prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta giorni dalla redazione del processo verbale di constatazione e contenesse la generica contestazione di un elenco sintetico di versamenti sul conto corrente del contribuente.
L’Ufficio avverso la sentenza dei giudici della Commissione Tributaria Regionale (oggi in seguito alla riforma della legge 130/2022 Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado) propose ricorso in cassazione. La Suprema Corte, con propria ordinanza, accoglieva i motivi dell’Agenzia per cui cassò la sentenza impugnata e rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Molise. In particolare i giudici della S.C. accoglievano sia il primo motivo, ritenendo che la C.T.R. non avesse tenuto in debito conto le circostanze dedotte dall’amministrazione ai fini dell’urgenza che consentivano l’inosservanza del termine di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, sia il secondo motivo, ritenendo che la C.T.R., nel considerare irrilevante l’elenco sintetico dei versamenti eseguiti sui conti correnti del contribuente, richiedendo una specifica contestazione della riferibilità a ricavi imponibili di ciascun accredito, avesse invertito la presunzione legale di cui all’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 in tema di versamenti bancari.
Il contribuente impugnò l’ordinanza dei giudici di legittimità con ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 395, 1°co., n. 4), e 391-bis c.p., fondato su un unico motivo.
Gli Ermellini dichiaravano inammissibile il motivo di revocazione. I giudici di legittimità premettono sul tema dell’ammissibilità della revocazione esistono tre orientamenti, come riassunti dalla sentenza n. 23871 del 25/09/2019.
In particolare nella sentenza in commento la doglianza contesta che l’avviso di accertamento non contenesse un elenco specifico di operazioni contestate al contribuente, come emerge dagli atti.
Secondo un primo orientamento, sarebbe esclusa in ogni caso l’ammissibilità della revocazione quando la sentenza della quale si chiede la revoca abbia pronunciato la cassazione con rinvio: «È inammissibile il ricorso per cassazione per revocazione proposto, ai sensi degli articoli 395, n. 4), e 391-bis c.p.c., avverso la sentenza con la quale la decisione di merito sia stata cassata con rinvio, potendo ogni eventuale errore revocatorio essere fatto valere nel giudizio di riassunzione» (in tal senso, Cass., 12 ottobre 2015, n. 20393); «in tema di revocazione, l’art. 391-bis c.p.c., interpretato anche alla luce dell’espressione “altresì” di cui all’art. 391-ter c.p.c. che pone in collegamento le diverse ipotesi revocatorie, comporta che, ove la decisione della Suprema Corte, oggetto di impugnazione revocatoria, non abbia deciso nel merito ma abbia rinviato la causa ad altro giudice a norma dell’art. 384, 2°co., c.p.c., in tale sede possono essere fatti valere gli errori di fatto previsti dall’art. 395, n. 4), c.p.c. relativi ai vizi processuali che la parte rimasta contumace avrebbe potuto conoscere a seguito del ricorso in riassunzione. Tale soluzione si pone in linea con i principi del giusto processo atteso che, da un lato, valorizza la fase rescindente rendendola funzionale a garantire il riesame della controversia e, dall’altro, impedisce che la fase rescissoria ostacoli l’accertamento della verità materiale» (così, Cass., 25 luglio 2011, n. 16184).
Mentre il secondo orientamento prevede che il ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. è inammissibile soltanto se l’errore revocatorio denunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni e tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera e autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio (per tale differente indirizzo, Cass., 7 novembre 2001, n. 13790; Cass., 20 ottobre 2003, n. 15660).
I giudici della Corte Suprema, nella sentenza in commento, hanno ritenuto di adire ad un terzo orientamento che ha consapevolmente rimeditato i due orientamenti. Per cui risulta inammissibile il ricorso per revocazione delle pronunce di cassazione solamente quando l’errore revocatorio enunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera e autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio.
L’errore di fatto ricorre, ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e purché il fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare
Gli Ermellini sottolinea che ” … La giurisprudenza di legittimità ha perimetrato l’errore di fatto tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove l’errore di fatto riguarda solo l’erronea presupposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti, integri gli estremi dell’error iuris, sia che attenga ad obliterazione delle norme medesime, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all’ipotesi della violazione.
Resta, quindi, esclusa dall’area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico- giuridico, perché siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass., Sez. U., 27/12/2017, n. 30994; Cass., Sez. U., 11/04/2018, n. 8984; Cass. 14/04/2017, n. 9673, § 4-5). In sintesi, la combinazione dell’art. 391-bis e dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ. non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto sostanziale o processuale e l’errore di giudizio o di valutazione. …”
In particolare, il punto si può dire controverso quando sia, appunto, oggetto di controversia, ossia incerto e per questo dibattuto. È la contestazione di un fatto a renderlo incerto e a farlo divenire giustiziabile, il che comporta l’assoggettamento di esso al dibattito del processo. Per sciogliere l’incertezza che deriva dalla contestazione proposta da una delle parti, il giudice deve quindi valutare la contestazione stessa stabilendo se essa sia fondata, o no. Perciò se vi è valutazione del contrasto tra le parti, non può esservi alcuna svista percettiva. (anche Cass. ordinanza n. 20157/2023)
Inoltre la giurisprudenza della Suprema Corte ha ribadito che “… L’istanza di revocazione implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato […] in generale l’errore non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero la valutazione e l’interpretazione dei fatti storici …” (Cass. ordinanza n. 20099/2023; )
La giurisprudenza di legittimità (tra le altre Cass. ordinanza n. 20157/2023; Cass. ordinanza n. 20571/2023; ) ha perimetrato l’errore di fatto tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove l’errore di fatto riguarda solo l’erronea presupposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti, integri gli estremi dell’error iuris, sia che attenga ad obliterazione delle norme medesime, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all’ipotesi della violazione.
Resta, quindi, esclusa dall’area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico- giuridico, perché siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass., Sez. U., 27/12/2017, n.30994; Cass., Sez. U., 11/04/2018, n. 8984; Cass. 14/04/2017, n. 9673, § 4-5). In sintesi, la combinazione dell’art. 391-bis e dell’art. 395 n. 4 non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto sostanziale o processuale e l’errore di giudizio o di valutazione. (Cass. ordinanza n. 20157/2023; Cass. ordinanza n. 20571/2023)
Ulteriormente è stato ribadito calla Suprema Corte con l’ordinanza n. 33390 del 2023 che “… sui presupposti di ammissibilità del giudizio di revocazione, che l’istanza di revocazione di una pronuncia della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., n. 4, che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione. (Cass., Sez. 5, n. 442/2018, Rv. 646689 – 01).
In linea con tale orientamento, si richiama anche l’ulteriore principio di legittimità, secondo cui l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, compresa quella della Corte di cassazione, presuppone l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali; il detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (tra le molte Sez. 6 – 2, n. 16439/2021, Rv. 661483 – 01). …”
Si è ritenuto ammissibile per la revocazione della sentenza l’errore nella lettura degli atti interni al giudizio di cassazione, (Cass., Sez. U., 27/11/2019, n. 31032 ), infatti, è stato precisato che l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte le volte in cui la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio, in cui la revocazione non è ammissibile essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass. 29/03/2022, n. 10040).
Inoltre l’errore di fatto, di cui all’art. 395 n. 4,come codificato dalla giurisprudenza (Cass. 28/02/2007, n. 4640; Cass. 20/02/2006, n. 3652; Cass. 11/04/2001, n. 5369; Cass. ordinanza n. 20157/2023), deve essere caratterizzato dai seguenti requisiti:
- essere decisivo, nel senso che deve esistere un necessario nesso di causalità tra l’erronea supposizione e la decisione resa;
- presentare i caratteri della evidenza ed obiettività;
- infine, non deve cadere su un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata.
In particolare, il punto si può dire controverso quando sia, appunto, oggetto di controversia, ossia incerto e per questo dibattuto.
Pertanto il rimedio dell’istituto della revocazione della sentenza non trova applicazione nei seguenti casi:
- per pretesi errori giuridici (sostanziali o processuali);
- errore di giudizio o di valutazione;
- errori circostanziali, diversi dalla mera svista su fatti non resi oggetto di controversia;
- ogni volta in cui la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura, in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e quindi un errore di giudizio;
- errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali, in quanto costituirebbe un errore di giudizio;
- non si configura un errore revocatorio nel giudizio espresso da questa Corte sulla violazione del principio di autosufficienza.