Corte di Cassazione, ordinanza n. 20157 depositata il 13 luglio 2023
revocazione
Rilevato che:
1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava sia l’appello principale proposto da Gianpiero Fiorani sia l’appello incidentale articolato dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Lodi (n. 190/1/12), che aveva accolto solo in parte il ricorso presentato dal contribuente contro gli avvisi di accertamento relativi a Irpef emessi nei suoi confronti per gli anni 2003 (per euro 591.951,36), 2004 (per euro 676.882,67) e 2005 (per euro 58.048.183,63), oltre che nei confronti della cartella di pagamento emessa in via provvisoria e straordinaria ai sensi dell’art. 11 del d.P.R. n. 602 del 1973.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20647/2021 pronunciata in data 9/06/2021 e pubblicata in data 20/07/2021, rigettava il ricorso principale proposto da Gianpiero Fiorani e accoglieva il ricorso incidentale dell’Agenzia, cassando, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia.
3. Contro tale sentenza il contribuente propone ricorso per revocazione, notificato a mezzo p.e.c. in data 20/02/2022.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, notificato in data 30/03/2022.
Il pubblico ministero, in persona del sostituto Procuratore generale, dott. Giuseppe Locatelli, ha depositato conclusioni scritte per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 14/06/2023, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380-bis.1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31/08/2016, n. 168, conv. in l. 25/10/2016, n. 197.
Considerato che:
1. Il ricorso per revocazione attiene alla statuizione di inammissibilità, contenuta nella sentenza n. 20647/2021 pronunciata da questa Corte in data 9/06/2021 e pubblicata in data 20/07/2021, del quarto motivo del ricorso principale proposto da Gianpiero Con tale motivo il ricorrente aveva dedotto la <<nullità della sentenza o del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5>>, in quanto con riferimento al periodo di imposta 2005, il contribuente aveva eccepito l’illegittimità di tale avviso per la carenza dell’obbligo del monitoraggio fiscale, in quanto le disponibilità del contribuente erano state sottoposte a sequestro penale, motivo sul quale assumeva che la C.T.R. non si fosse pronunciata.
La Corte riteneva inammissibile il motivo per difetto di specificità evidenziando, per quanto in questa sede rileva, che <<il ricorrente si è limitato ad affermare che, con riferimento all’anno 2005, l’avviso di accertamento era illegittimo per carenza dell’obbligo di monitoraggio fiscale “per le relazioni che sono state nella disponibilità dell’odierno Comparente perché sottoposte a sequestro penale” (cfr. pagina 40 del ricorso per cassazione). Il ricorrente ha anche aggiunto che tutte le relazioni bancarie sono state affidate “in custodia alle stesse banche depositarie”. Pertanto, il ricorrente non ha specificato dati indispensabili per comprendere appieno l’omissione in cui sarebbe incorso il giudice di appello. In particolare, non ha indicato la tipologia di sequestro penale (preventivo, conservativo o probatorio); né la data in cui il sequestro è stato disposto ed eseguito; né se vi sia stata la nomina di un custode (il riferimento all’affidamento delle relazioni bancarie alle “stesse banche depositarie” sembrerebbe escludere la nomina di un custode di nomina giudiziale); né il contenuto del provvedimento di sequestro; né gli obblighi specifici assegnati all’eventuale custode. Il ricorrente non ha neppure indicato se il provvedimento di sequestro sia stato prodotto in giudizio né la fase processuale in cui sarebbe stato prodotto. Il motivo di ricorso per cassazione risulta, quindi, privo delle caratteristiche necessarie della specificità. Invero, la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta la inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate (Cass., sez. 5, 3 agosto 2007, n. 17125; Cass., sez. 1, 18 febbraio 2011, n. 4036)>>.
2. Con unico motivo il contribuente chiede la revocazione della sentenza deducendo <<l’omesso rilievo da parte dei Giudici di Legittimità dell’avvenuta produzione e deposito in allegato al ricorso introduttivo del giudizio dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Lodi, come richiamato nel ricorso per cassazione, della decisione delle Autorità Giudiziarie Elvetiche di accoglimento e di esecuzione della domanda di sequestro delle relazioni bancarie oggetto di accertamento>>, non avendo i giudici di legittimità rilevato la chiara indicazione, presente nel ricorso, dei provvedimenti delle Autorità giudiziarie elvetiche che avevano accolto e portato all’esecuzione la domanda di assistenza internazionale formulata il 9 dicembre 2005 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano avente ad oggetto la perquisizione e il sequestro conservativo delle relazioni bancarie svizzere attribuite al contribuente, pur in presenza di esplicito riferimento allo <<specifico allegato n. 43 del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (R.G.R. n. 220/12 della Commissione Tributaria Provinciale di Lodi)>>.
3. L’art. 391-bis proc. civ. stabilisce che «Se la sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta […] da errore di fatto ai sensi dell’articolo 395, numero 4), la parte interessata può chiederne […] la revocazione». Quest’ultima disposizione prescrive che «Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione […] se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa» e precisa che «Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare».
3.1 La giurisprudenza di legittimità ha perimetrato l’errore di fatto tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove l’errore di fatto riguarda solo l’erronea presupposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti, integri gli estremi dell’error iuris, sia che attenga ad obliterazione delle norme medesime, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all’ipotesi della violazione.
Resta, quindi, esclusa dall’area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico- giuridico, perché siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass., Sez. U., 27/12/2017, n. 30994; Cass., Sez. U., 11/04/2018, n. 8984; Cass. 14/04/2017, n. 9673, § 4-5). In sintesi, la combinazione dell’art. 391-bis e dell’art. 395 n. 4 non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto sostanziale o processuale e l’errore di giudizio o di valutazione.
3.2 L’errore di fatto previsto dall’art. 395, 4, cod. proc. civ., poi, deve consistere, al pari dell’errore revocatorio imputabile al giudice di merito, nell’affermazione o supposizione dell’esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece, in modo indiscutibile, esclusa o accertata in base al tenore degli atti o dei documenti di causa; deve essere decisivo, nel senso che deve esistere un necessario nesso di causalità tra l’erronea supposizione e la decisione resa; deve presentare i caratteri della evidenza ed obiettività; infine, non deve cadere su un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata (Cass. 28/02/2007, n. 4640; Cass. 20/02/2006, n. 3652; Cass. 11/04/2001, n. 5369).
In particolare, il punto si può dire controverso quando sia, appunto, oggetto di controversia, ossia incerto e per questo dibattuto. È la contestazione di un fatto a renderlo incerto e a farlo divenire giustiziabile; il che comporta l’assoggettamento di esso al dibattito del processo. Per sciogliere l’incertezza che deriva dalla contestazione proposta da una delle parti, il giudice deve quindi valutare la contestazione stessa stabilendo se essa sia fondata, o no. Perciò se vi è valutazione del contrasto tra le parti, non può esservi alcuna svista percettiva.
3.3 Occorre ancora evidenziare che, con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione non impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità per cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, e che non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendone gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione (Cass. 16/09/2011, 18897). Gli approdi nomofilattici sopra ricostruiti trovano riscontro univoco nella giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 17 del 1986; Corte Cost. n. 36 del 1991; Corte Cost. n. 207 del 2009), laddove essa segue il percorso evolutivo del contenimento del rimedio revocatorio per le decisioni di legittimità ai soli casi di «sviste» o di «puri equivoci» e nega rilievo a pretesi errori di valutazione, così recependo il ristretto ambito dell’errore di fatto previsto dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ.
3.4 Dunque l’interpretazione non solo letterale e sistematica, ma pure quella costituzionalmente e convenzionalmente orientata, degli artt. 391-bis e 395 4 portano a non ammettere la revocazione delle decisioni di legittimità della Corte di cassazione per pretesi errori giuridici (sostanziali o processuali) oppure circostanziali, diversi dalla mera svista su fatti non resi oggetto di controversia, rispondendo la «non ulteriore impugnabilità in generale» all’esigenza, tutelata come primaria dalle stesse norme della Carta fondamentale della CEDU, di conseguire l’immutabilità e definitività della pronuncia all’esito di un sistema variamente strutturato (Cass. 29/04/2016, n. 8472).
3.5 Con particolare riferimento alla deduzione di un errore nella lettura degli atti interni al giudizio di cassazione, Cass., Sez. U., 27/11/2019, 31032 ha precisato che l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte le volte in cui la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio, in cui la revocazione non è ammissibile essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass. 29/03/2022, n. 10040).
Non è quindi idonea ad integrare errore revocatorio, rilevante ai sensi ed agli effetti di cui agli artt. 391-bis e 395, n. 4) cod. proc. civ., la valutazione, ancorché errata, del contenuto degli atti di parte e della motivazione della sentenza impugnata, trattandosi di vizio costituente errore di giudizio e non di fatto. Analogamente rientra nell’attività valutativa, inidonea a integrare errore revocatorio, l’interpretazione del significato della sentenza impugnata, della quale la Corte di legittimità dà conto in motivazione (Cass. 27/04/2018, n. 10184); infine, d’altro canto, rientra fra i requisiti necessari della revocazione che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi; pertanto, non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice (Cass. 04/04/2019, n. 9527).
3.6 In particolare, poi, non si configura un errore revocatorio nel giudizio espresso da questa Corte sulla violazione del principio di autosufficienza (Cass. 05/04/2023, n. 9445; Cass. 12/10/2022, n. 29750; Cass. 11/08/2022, n. 24672; Cass. 11/05/2022, n. 14950; Cass. 3/05/2022, n. 13989; Cass. 29/03/2022, n. 10040; Cass. 10/11/2020, 25212; Cass. 14/08/2020, n. 17179; Cass. 11/04/2018, n. 8984; Cass. 31/08/2017, n. 20635; Cass. 3/04/2017, n. 8615; Cass. 15/06/2012, n. 9835; Cass. 22/06/2007, n. 14608).
3.7 Il carattere d’impugnazione eccezionale della revocazione, prevista per i soli motivi tassativamente indicati dalla legge, comporta l’inammissibilità di ogni censura non compresa nel novero di quelle indicate (Cass. 07/05/2014, n. 9865).
4. Alla luce di tali principi, applicati al caso di specie, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Nella sentenza oggetto di impugnazione questa Corte ha ritenuto che il motivo, attinente alla omessa pronuncia relativa alla questione dell’esistenza o meno dell’obbligo di dichiarazione in presenza di relazioni oggetto di sequestro penale, fosse inammissibile per difetto di specificità perché non aveva indicato: a) la tipologia di sequestro penale (preventivo, conservativo o probatorio); b) la data in cui il sequestro era stato disposto ed eseguito; c) se vi fosse stata la nomina di un custode (evidenziando che il riferimento all’affidamento delle relazioni bancarie alle <<stesse banche depositarie>> sembrasse escludere la nomina di un custode di nomina giudiziale); d) il contenuto del provvedimento di sequestro; e) gli obblighi specifici assegnati all’eventuale custode; f) se il provvedimento di sequestro fosse stato prodotto in giudizio né la fase processuale in cui era stato prodotto.
Trattasi di una statuizione conseguente ad una evidente valutazione del motivo di ricorso come proposto, frutto di un giudizio relativo alla necessità della indicazione di tali elementi, insuscettibile di dare luogo ad un errore revocatorio, nemmeno laddove il ricorrente oggi evidenzia che nel motivo di ricorso era espressamente richiamato l’<<allegato n. 43 del ricorso introduttivo di primo grado, il cui richiamo, contenuto a pagina 40 e a pagina 43 del ricorso per cassazione>>.
In primo luogo, infatti, la mancata indicazione di come e quando fosse stato prodotto il documento attestante il sequestro era solo una delle mancanze individuate dalla Corte e, come visto, l’errore, per assumere valenza revocatoria, deve essere decisivo; il ricorrente non fornisce alcuna indicazione in tal senso, limitandosi ad assumerne il carattere decisivo alla luce della considerazione, come visto non corrispondente al tenore letterale della decisione, che l’inammissibilità fosse stata pronunciata sull’errato mancato rilievo dell’esistenza agli atti del giudizio dei provvedimenti di sequestro. Giova precisare infatti che la sentenza impugnata non afferma che l’indicazione della tempestiva produzione del documento avrebbe potuto surrogare l’omessa indicazione degli altri elementi.
In secondo luogo, il riferimento al documento richiamato nel ricorso originario del contribuente appare del tutto generico, posto che la sua assoluta stringatezza non consente una immediata comprensione di ciò che era stato depositato e che da esso potessero emergere tutti gli elementi richiesti dalla Corte; né ovviamente soccorre a tale mancanza, rilevata dalla Corte nella sentenza impugnata, l’avvenuta descrizione del contenuto del documento operata nel ricorso per revocazione.
In terzo luogo anche l’ulteriore precisazione del motivo, contenuta al termine della pagina 37, ove è evidenziato che il quarto motivo era relativo ad una omessa pronuncia da parte dei giudici di appello e che la verifica della specificità del motivo di ricorso per cassazione avrebbe dovuto essere vagliata alla luce della denunciata omessa pronuncia, e quindi dell’assenza di uno specifico passaggio della sentenza oggetto di impugnazione, si risolve, del tutto evidentemente, in una inammissibile deduzione di un preteso errore di giudizio.
5. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; condanna Gianpiero Fiorani a pagare le spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 30.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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