Corte di Cassazione sentenza n. 29145 depositata il 6 ottobre 2022
vizio revocatorio – azione di revocazione
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso ex 391-bis cod. proc .civ., affidato ad un unico motivo, l’Agenzia delle Entrate chiede, nei confronti di G.F., che resiste con controricorso, la revocazione dell’ordinanza in epigrafe con la quale questa Corte ha rigettato il ricorso, dalla stessa proposto, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., per la cassazione della sentenza n. 2785/1/2019, resa in grado d’appello dalla C.t.r. della Sicilia in data 09/05/2019, nella controversia vertente tra essa Agenzia e G.F..
2. L’Ufficio, aveva recuperato a tassazione, ai fini Irpef, per l’anno di imposta 2008, maggiori redditi imputati a G.F., in qualità di socio della Autotrasporti G. a.s., ex art. 5 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 avendo rilevato l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti relative all’acquisto di carburante.
3. La C.t.p. aveva accolto il ricorso del contribuente escludendo l’inesistenza delle operazioni.
La sentenza veniva confermata dalla C.t.r.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza gravata, rigettava il ricorso dell’Ufficio affermando che, in caso di operazioni ritenute inesistenti, spettava all’Amministrazione dimostrarne la fittizietà – e non al contribuente l’effettività – e ritenendo che la C.t.r. si fosse uniformata a detto principio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di revocazione l’Agenzia delle Entrate denuncia, in relazione all’art. 395, primo comma, n. 4, cod, proc. civ.che la sentenza gravata assumendo che la medesima sarebbe viziata da errore revocatorio in fatto consistente «nell’aver del tutto omesso di considerare che nel giudizio a scrutinio sussisteva un vincolo litisconsortile necessario con la società persone partecipata e gli altri soci».
In particolare, censura la sentenza impugnata per aver deciso la controversia senza rilevare la violazione del litisconsorzio necessario, desumibile dagli atti processuali, tra il contribuente, chiamato in causa, e la società partecipata.
2. Il motivo è inammissibile.
2.1 Secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, la revocazione presuppone, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto, riconducibile all’art. 395, primo comma, 4, cod. proc. civ., che consista in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio (ex plurimis, Cass., Sez. U, 07/03/2016, n. 4413).
La Corte ha evidenziato che, in generale, l’errore non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche atteso che, mentre l’art. 395, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. concerne l’erronea presupposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, la falsa percezione di norme che contemplino la rilevanza giuridica di quegli stessi fatti integra gli estremi dell’error juris sia nel caso di obliterazione delle norme medesime, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia nel caso di distorsione della loro effettiva portata, – riconducibile all’ipotesi della violazione (tra le tante, Cass. 05/05/2017, n. 10930; Cass. 13/01/2015, n. 321; Cass. 29/12/2011, n. 29922; Cass. 10/06/2009, n. 13367).
In particolare, resta fuori dell’area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, perché siffatto tipo di errore, ove pure in astratta ipotesi fondato, costituirebbe un errore di giudizio e non un errore di fatto (cfr. Cass., Sez. U., 27/12/2017, n. 30994; Cass. 14/04/2017, n. 9673).
Si è, altresì, escluso il rimedio revocatorio anche nell’ipotesi in cui il dedotto errore riguardi norme giuridiche, anche se indotto da errata percezione di interpretazioni fornite da precedenti indirizzi giurisprudenziali (Cass. 21/02/2020, n. 4584; Cass. 29/12/2011, n. 29922).
Con particolare riferimento alle regole del litisconsorzio, questa Corte ha affermato che non vi è motivo di revocazione della sentenza, laddove la parte abbia denunciato l’erronea presupposizione dell’inesistenza di un litisconsorzio necessario poiché la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto ma attiene all’interpretazione delle norme giuridiche (Cass. 16/10/2019, n. 26141).
In sintesi, la combinazione dell’art. 391-bis e dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ. non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto sostanziale o processuale e l’errore di giudizio o di valutazione. (Cass. S.U. n. 30994/2017; Cass. S.U. n.8984/2018).
2.2 Nel caso di specie, invece, la ricorrente, denunciando l’omesso rilievo della violazione di un’ipotesi di litisconsorzio necessario, finisce, in realtà, per denunciare una violazione di norme di diritto.
3. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
5. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio per revocazione, che liquida in euro 7.800,00, oltre euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.
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