CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 6269 depositata il 2 marzo 2023
Tributi – Recupero a tassazione di maggiori ricavi derivanti da versamenti su conto corrente e costi non deducibili – Omessa presentazione della dichiarazione annuale della ditta fornitrice emittente la fattura – Inerenza – Errore revocatorio – Rigetto
Fatti di causa
Con l’ordinanza n. 18210 del 2021 questa Sezione della Corte di Cassazione ha accolto, rigettando gli altri, il nono motivo del ricorso proposto da L.F. contro la sentenza della CTR Campania n. 56/33/13 di accoglimento dell’appello erariale contro la sentenza di primo grado che aveva accolto l’impugnazione dell’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2005 spiccato nei confronti del F. con recupero a tassazione di maggiori ricavi derivanti da versamenti su conto corrente e costi non deducibili.
Avverso detta ordinanza propone ricorso per revocazione L.F. nella parte in cui i giudici hanno omesso di rilevare e decidere il motivo sub B3 del ricorso.
Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Il ricorrente deposita memoria.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso è infondato, non sussistendo il preteso errore revocatorio.
2. Secondo il ricorrente, l’ordinanza de qua non si sarebbe pronunziata sul motivo sub B.3 – posto sotto il “sub B Sulla statuizione sui costi” – rubricato come segue: “sub B.3: In relazione all’art. 360 co. 1 n. 3: Violazione e falsa applicazione dell’art. 39 co. 1 lett. D dpr 600/1973 e dell’art. 2727 e 2729 c.c.”.
2.1. Con questo motivo si censurava il dictum della sentenza della CTR che aveva ritenuto l’inesistenza o la non certezza delle operazioni intercorse con E.T. srl con la seguente motivazione: «soprattutto ove si consideri che la società cui ha corrisposto i compensi non ha prodotto la dichiarazione dei redditi e quindi non è possibile effettuare il relativo riscontro».
Nello specifico, il F. aveva contestato il “giudizio apodittico” di non “appurata” prova della inerenza, osservando che «l’omessa presentazione della dichiarazione annuale della ditta fornitrice emittente la fattura passiva dedotta non è elemento noto tale da fondare una legittima e logica presunzione per risalire alla inesistenza e non inerenza delle operazioni (fatto ignoto)…» e di seguito argomentando sul punto (v. pag.13-14 del ricorso per cassazione).
2.2. Orbene, secondo il ricorrente, l’ordinanza de qua non aveva rilevato e deciso il detto motivo ma aveva invece accolto il (successivo) motivo sub B.4, deducente, invece, vizio di omessa motivazione sul difetto di inerenza dei costi, affermando (punto 7 dell’ordinanza) testualmente: «Con riferimento al recupero dei compensi corrisposti alla ditta E.T. s.r.l. la CTR ha rilevato come mancasse anche la prova della certezza del costo, non essendo stato possibile effettuare il relativo riscontro in quanto la società cui avrebbe corrisposto i compensi non aveva prodotto la dichiarazione dei redditi. Nulla ha osservato la CTR, invece con riferimento ai compensi corrisposti alla B.L. s.r.l. e alla E. s.n.c. A tanto provvederà il giudice del rinvio».
2.3. Così decidendo, la Corte aveva omesso di considerare il motivo sub B3, con cui si contestava non solo il giudizio di non inerenza ma anche quello di non certezza del costo relativo alle operazioni con E.T. srl desunto dalla mancata presentazione della dichiarazione fiscale da parte di questo terzo fornitore.
La Corte, osserva ancora il ricorrente, era caduta in errore revocatorio avendo dato per definita e accertata la non certezza di quel costo che, invece, era ancora controverso (secondo quanto dedotto nel motivo sub B3): aggiunge che «se fosse effettivamente esclusa nel processo la certezza dei costi, non potrebbe discutersi sulla inerenza, ma se la certezza non è esclusa nel processo, perché l’affermazione del Giudice d’appello è proprio gravata specificatamente per violazione di legge, non può porsi a presupposto un fatto – la veridicità della incertezza (inesistenza) – che è invece controverso e rimasto non deciso».
Da questa “svista sulla non certezza”, cioè sul fatto “intangibile e certo” della inesistenza dei costi, dato per postulato, è derivata, secondo il ricorrente, la decisione di escludere il vizio motivazionale della sentenza impugnata sulla inerenza per i costi di E.T. srl.
Conclude che, poiché quel fatto postulato non ricorre, essendo contestato, si deve procedere all’esame di quello specifico motivo di doglianza in cui la contestazione è riportata (appunto il B3) e, in caso, di accoglimento, riesaminare il motivo sub B4 relativo al vizio assoluto di motivazione sulla inerenza dei costi E.T..
3. Ad avviso di questa Corte la doglianza è estranea all’ambito dell’errore revocatorio che, secondo l’orientamento interpretativo di legittimità (ribadito, tra le ultime, da Cass. sez. un. n. 24382 del 2020; Cass. n. 21725 del 2018), consiste in un errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità, che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa.
L’errore deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, si da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche;
5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo (Cass. n. 16439 del 2021; Cass. n. 1304 del 2016).
Sicché, detto errore non può tradursi in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (v. Cass. 10040 del 2022; Cass. 2236 del 2022; Cass. 20635 del 2017).
3.1. Ancora, è esperibile, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, comma 1, n. 4, c.p.c., la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (Cass. sez. un., n. 31032 del 2019).
4. Nel caso di specie, a ben vedere, non è stato omesso l’esame del motivo, perché la Corte ha considerato la doglianza sub B3 relativa all’esistenza ai costi sostenuti con la ditta E.T. srl.
Al paragrafo 6, infatti, l’ordinanza si occupa diffusamente proprio della “violazione e falsa applicazione dell’art. 39 comma 1 lett. c) del d.lgs. 600/73 e degli artt. 2727 e 2729 c.c.”.
La piena coincidenza della rubrica riportata nella ordinanza con quella del motivo B3 in ricorso e la posizione immediatamente precedente al paragrafo 7, dedicato al successivo motivo B4, inducono a ritenere che il paragrafo 6 fosse dedicato proprio alla doglianza di cui si lamenta l’omesso esame.
Pur non citando esplicitamente i costi E.T., in questo paragrafo la Corte si occupa non solo dell’inerenza ma anche della «ripartizione dell’onere della prova sulla inesistenza» dei costi, osservando che «il ricorrente richiama malamente la giurisprudenza di questa Corte in materia di prova di operazioni inesistenti».
Al paragrafo 7, poi, la Corte considera i costi E.T. sotto il profilo della omessa e insufficiente motivazione, rilevando come la CTR avesse ritenuto “anche” la mancanza di prova della certezza di quel costo.
4.1. Può ricorrere, tutt’al più, volendo seguire il ragionamento del ricorrente, un errore di giudizio, che si pone però sul piano della interpretazione e valutazione degli atti del processo e va tenuto ben distinto dall’errore di percezione (Cass. n. 10184 del 2018).
5. Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello spettante per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 se dovuto.
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