CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 giugno 2013, n. 15006
Lavoro – Lavoro subordinato – Licenziamento – Errata data dell’episodio contestato – Illegittimità.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 22 gennaio 2010 la Corte d’Appello di Campobasso, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Larino del 26 giugno 2007, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato l’11 maggio 2006 a P. R. dalla M. P. M. S. s.r.l, condannando detta società a corrispondere al P. il risarcimento del danno pari alle retribuzioni globali di fatto dal licenziamento alla reintegrazione, confermando il rigetto della domanda del P. relativa al risarcimento del danno esistenziale conseguito dall’illegittimo licenziamento. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia considerando che l’errata indicazione della data dell’episodio contestato al lavoratore e posto a fondamento del licenziamento per giusta causa, costituisce motivo di illegittimità del licenziamento influendo sulla possibilità di difesa del lavoratore e, in particolare, sulla dimostrazione dell’alibi. La stessa Corte ha invece rigettato la domanda di risarcimento del danno esistenziale asseritamele conseguente al medesimo licenziamento in difetto della prova in ordine all’esistenza del danno stesso.
La M. P. M. S. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolandolo su cinque
motivi.
Resiste con controricorso il P. che svolge ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
La M. P. M. S. s.r.l. resiste con controricorso al ricorso incidentale avversario.
All’udienza odierna le parti hanno chiesto rinvio al fine di riunire il precedente procedimento ad altro, e così di pervenire ad una conciliazione unica relativa ai loro rapporti.
Motivi della decisione
L’istanza di rinvio non può essere accolta giacché le trattative in corso, intese alla conciliazione di questa e di altra lite, hanno durata attualmente non prevedibile e possono ritardare ulteriormente la definizione del processo. Del resto i difensori hanno prodotto il testo di un verbale di conciliazione in cui non è possibile identificare i sottoscrittori e che perciò non ha alcun valore di dichiarazione negoziale.
I ricorsi vanno riuniti essendo proposti avverso la medesima sentenza.
Con il primo articolato motivo del ricorso principale si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di legge con riferimento agli artt. 7 della legge n. 300 del 1970, 2119 cod. civ., 112, 113 e 115 cod. proc. civ., ex art. 360, primo comma n. 3 cod. proc. civ.; nonché incompleta e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e comunque rilevante ai fini del decidere, e travisamento dei fatti, ex art. 360, primo comma n. 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce che erroneamente la corte territoriale avrebbe considerato essenziale, ai fini della illegittimità del licenziamento, l’errata indicazione della data del fatto addebitato al lavoratore, in quanto il procedimento disciplinare regolato dal citato art. 7 non imporrebbe tale rigida interpretazione che porterebbe all’assoluta immutabilità del fatto contestato, tanto che è stata ritenuta valida anche una contestazione disciplinare priva dell’indicazione della data esatta del fatto addebitato, per cui non si potrebbe considerare nemmeno una contestazione nuova e quindi tardiva, la specificazione o anche correzione della data del fatto contestato.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di norme di legge con riferimento agli artt. 112, 113, 115, 420 e 421 cod. proc. civ. e 2697 cod, civ. ex art. 360, primo comma n. 3 cod. proc. civ.; nonché incompleta e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e comunque rilevante ai fini del decidere, e travisamento dei fatti, ex art. 360, primo comma n. 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce che erroneamente la corte territoriale non avrebbe considerato la possibilità e, anzi, il dovere della controparte di articolare prove nuove con riferimento alla precisazione del fatto da parte dell’attuale ricorrente, essendo ciò previsto dall’art. 420, quinto comma, cod. proc. civ. che prevede l’ammissione delle prove richieste dalle parti anche con riferimento a quelle che non anno potuto chiedere prima, come sarebbe nel caso in esame in cui il P. è venuto a conoscenza in un momento successivo della precisazione della data del fatto addebitatogli.
Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di legge con riferimento agli artt. 112, 113, 115 e 437 cod. proc. civ., e 2697 cod. civ, ex art. 360, primo comma n, 3 cod. proc. civ., nonché omessa motivazione ex art. 360, primo comma n. 5 cod. proc. civ. con riferimento al mancato esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice di merito che avrebbe comunque dovuto ammettere d’ufficio le prove necessarie per l’accertamento del fatto così come precisato.
Con il quarto motivo si assume violazione e falsa applicazione di norme di legge con riferimento agli artt. 112 e 436 cod. proc. civ. ex art. 360, primo comma n, 3 cod. proc. civ., nonché omessa motivazione ex art. 360, primo comma n. 5 cod. proc. civ. con riferimento all’affermazione della sentenza impugnata secondo cui altro episodio posto a fondamento del licenziamento per giusta causa sarebbe coperto da giudicato mentre la sentenza di primo grado non lo avrebbe escluso.
Con il quinto motivo si lamenta insufficiente motivazione su una circostanza rilevante e decisiva ai fini del giudizio ex art. 360, primo comma n. 5 cod. proc. civ. con riferimento alla conoscenza, da parte del lavoratore, della querela sporta nei suoi confronti e che comunque indicava con precisione anche la data dell’episodio addebitatogli.
Con il ricorso incidentale si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2059, 2087 e 2727 cod. civ. nonché omessa motivazione ex art. 360, primo comma n. 5 cod. proc. civ. con riferimento al rigetto della domanda di risarcimento del danno esistenziale per difetto di prova e che non avrebbe considerato che il danno lamentato conseguente all’illegittimo licenziamento sarebbe in re ipsa, e non necessiterebbe di alcuna ulteriore prova.
Il primo motivo del ricorso principale è infondato. Questa corte ha costantemente affermato il principio di diritto secondo cui costituisce onere del datore di lavoro che esercita il potere disciplinare quello di fornire, nella previa contestazione dell’addebito, l’indicazione degli elementi di fatto che consentono di evidenziare il significato univoco dell’addebito stesso, sicché tale necessaria contestazione deve esprimersi nell’attribuzione di fatti precisi dai quali derivare una responsabilità del lavoratore al fine di consentire a quest’ultimo un’idonea e piena difesa” ( ex plurimis Cass. n. 12621 del 23/9/2000). Nel caso in esame l’errore nell’indicazione del giorno in cui sarebbe stato commesso il fatto addebitato non rivela una negligenza trascurabile ma assume un valore decisivo poiché pregiudica il diritto alla prova spettante all’incolpato, e specificamente il diritto a provare di non essere stato sui luoghi dell’illecito, compiuto nottetempo.
Il secondo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente riguardando entrambi l’utilizzo dei mezzi istruttori da parte del giudice del merito, sono pure infondati in quanto relativi all’eventuale accertamento del fatto riservato al giudice del merito, senza che il mezzo utilizzato o omesso possa essere esaminato in sede di legittimità. Invero il mancato esercizio, da parte del giudice di appello, del potere discrezionale di invitare le parti a produrre la documentazione mancante o di ammettere una prova testimoniale non può essere sindacato in sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti istruttori assunti dal giudice ai sensi dell’art. 356 cod. proc. civ., salvo che le ragioni di tale mancato esercizio siano giustificate in modo palesemente incongruo o contraddittorio (per tutte, da ultimo, Cass. 8 febbraio 2012 n. 1754).
Il quarto ed il quinto motivo sono irrilevanti in quanto riguardano aspetti che non rientrano nella ratio deciderteli della pronuncia impugnata o che, comunque, non sono stati determinanti ai fini del decidere.
Anche il ricorso incidentale è infondato. In tema di risarcimento del danno non patrimoniale, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di illecito datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio -dall’esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile), che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex art. 2697 cod. civ. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale (Cass. 17 settembre 2010 n. 19785). La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione di tale principio escludendo la presenza di un danno in re ipso dedotto dal ricorrente.
Per la reciproca soccombenza le spese del presente giudizio vanno compensate.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta;
Compensa fra le parti le spese di giudizio.
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