CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 6894 depositata il 14 marzo 2024
Lavoro – Lavoro subordinato part time – Licenziamento orale senza preavviso – Compenso di lavoro supplementare e indennità sostitutiva di ferie non godute – Rigetto
Svolgimento del processo
1.- C.A. assumeva di aver lavorato con contratto di lavoro subordinato part time, alle dipendenze dell’avv. R. con mansioni di segretaria, qualifica di impiegata IV livello ccnl di settore, dal 28/10/1998 al 13/05/2008, data in cui era stata oralmente licenziata senza preavviso.
Deduceva di aver sempre lavorato anche di pomeriggio, svolgendo dunque lavoro supplementare, che tuttavia non le era stato retribuito.
Adìva il Tribunale di Castrovillari per ottenere, previo accertamento dell’intercorso rapporto di lavoro subordinato, la condanna dell’avv. R. al pagamento della complessiva somma di euro 29.568,22 a titolo di differenze retributive per compenso di lavoro supplementare, per retribuzione di maggio 2008, ratei di 13^ e 14^ mensilità 2008, indennità sostitutiva di ferie non godute relative all’anno 2008 e t.f.r.
2.- Radicatosi il contraddittorio, istruita la causa, il Tribunale adìto rigettava la domanda.
3.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello, in accoglimento del gravame proposto dalla C., accoglieva integralmente la domanda.
A sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) il contratto di lavoro prodotto prevedeva un part time orizzontale di quattro ore giornaliere per cinque giorni a settimana, con orario dalle 08,30 alle 12,30;
b) l’onere della prova gravante sulla lavoratrice era dunque limitato alla dimostrazione del lavoro pomeridiano, in quanto lavoro supplementare oggetto della domanda;
c) tutti i testimoni escussi, come ammesso pure dal Tribunale, hanno confermato che la C. aveva lavorato pure di pomeriggio e tanto basta a far ritenere assolto l’onere probatorio;
d) la circostanza eccepita dal convenuto, secondo cui a partire dal 2005 la C. si sarebbe sempre assentata dallo studio per recarsi in campagna per la raccolta degli agrumi da novembre a febbraio di ogni anno solare, non è stata in alcun modo dimostrata;
e) provato il lavoro supplementare pomeridiano, era onere del datore di lavoro dimostrare di averne pagato il compenso, così come per le quote di 13^ e 14^ mensilità maturate nel 2008, per i tredici giorni lavorati nel mese di maggio 2008 ed il t.f.r., ma tale onere probatorio non è stato assolto;
f) quanto alle ferie per il 2008, il mancato godimento deve ritenersi provato in quanto non specificamente contestato dall’appellato;
g) i conteggi elaborati dall’appellante in primo grado sono redatti in conformità al ccnl e quindi vanno condivisi.
4.- Avverso tale sentenza l’avv. M.E.A. R. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
5.- C.A. ha resistito con controricorso.
6.- Il ricorrente ha depositato memoria.
7.- Il P.G. ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso, illustrato in udienza.
8. Il difensore della C. si è riportato al controricorso.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso la pronunzia sulle eccezioni di inammissibilità dell’appello da lui sollevate ex artt. 342, 434 e 348 bis c.p.c.
Il motivo è inammissibile.
Questa Corte ha più volte affermato che il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito o in genere di eccezioni di natura processuale (Cass. n. 10422/2019; Cass. n. 25154/2018; Cass. ord. n. 1876/2018).
D’altronde, decidendo nel merito, la Corte territoriale ha implicitamente, ma univocamente, rigettato quelle eccezioni, sicché il vizio di omessa pronunzia non sussiste.
2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. il ricorrente lamenta un’ulteriore ragione di nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 345 e 434 c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso la pronunzia e mancato di rilevare d’ufficio la nullità dell’eccezione di inammissibilità della prova sollevata dalla C. per la prima volta in appello per asserita violazione dei limiti di cui all’art. 2721 c.c.
Il motivo è inammissibile per due ragioni.
In primo luogo per quanto sopra detto con riguardo all’inconfigurabilità di un vizio di omessa pronunzia con riguardo alle eccezioni processuali.
In secondo luogo per difetto di soccombenza: la Corte territoriale ha espressamente esaminato e valutato anche le deposizioni rese dai testimoni addotti dall’avv. R. in primo grado (v. sentenza d’appello, pag. 5).
Quindi ha implicitamente, ma univocamente, rigettato quell’eccezione sollevata dalla C. con l’atto di appello, sicché sul punto l’avv. R. non è soccombente. Quindi non ha interesse a dolersene e pertanto non è legittimato a proporre sul punto un motivo di ricorso per cassazione.
3.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. per non avere la Corte territoriale considerato la non contestazione, da parte della C., dei fatti da lui dedotti circa la flessibilità degli orari di lavoro e delle assenze della lavoratrice dal luogo di lavoro.
Il motivo è inammissibile sia perché sollecita a questa Corte una rivalutazione delle dichiarazioni rese dalla C. in sede di libero interrogatorio, attività invece riservata al giudice del merito; sia perché è poi sviluppato mediante la riproduzione di estratti delle deposizioni testimoniali, dalle quali risulterebbe dimostrata quella flessibilità (specie della presenza o dell’assenza al lavoro durante le campagne annuali agricole), sollecitando a questa Corte una rivalutazione delle predette testimonianze, attività invece riservata anch’essa al giudice di merito.
Il motivo è infine inammissibile, perché, ai fini dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. non viene dedotto quale sarebbe il “fatto storico decisivo” di cui la Corte territoriale avrebbe omesso l’esame.
4.- Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. il ricorrente lamenta “illogicità manifesta, incomprensibilità, contraddittorietà, apparenza ed incoerenza” della motivazione.
Il motivo è inammissibile in relazione ai denunziati vizi di “illogicità manifesta, incomprensibilità, contraddittorietà ed incoerenza”. Per effetto della nuova formulazione dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., come introdotta dal d.l. n. 83/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 134/2012, oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un «fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti». Costituisce “fatto”, agli effetti della menzionata norma, non una “questione” o un “punto”, ma: 1) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655/2011; Cass. n. 7983/2014; Cass. n. 17761/2016; Cass. n. 29883/2017); 2) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico- naturalistico (cfr. Cass. n. 21152/2014; Cass. sez. un. n. 5745/2015); 3) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133/2014); 4) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass. sez. un. n. 8053/2014).
Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio in esame, tra gli altri: 1) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass. sez. un. n. 16303/2018, in motivazione; Cass. n. 14802/2017; Cass. n. 21152/2015); 2) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. sez. un. n. 8053/2014).
Il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere “decisivo”, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.
Lo stesso deve, altresì, essere stato “oggetto di discussione tra le parti”: deve trattarsi, quindi, necessariamente di un fatto “controverso”, contestato, non dato per pacifico tra le parti (cfr. Cass. ord. n. 16127/2020).
Quanto, infine, alla censura di “apparenza” di motivazione, essa è infondata.
Va infatti ricordato che tale vizio ricorre allorquando il giudice, in violazione del preciso obbligo di legge costituzionalmente imposto (art. 116 Cost.) e cioè dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata.
Quest’obbligo del giudice «di specificare le ragioni del suo convincimento», quale «elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale» è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. un. n. 1093/1947).
Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (ipotesi di scuola) o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e che presentano una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (Cass. sez. un. n. 8053/2014), ma pure quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (Cass. n. 4448/ 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi» (Cass. sez. un. n. 22232/2016; Cass. ord. n. 14297/2017).
La riformulazione dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012, conv. in legge n. 134/2012, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass. sez. un. n. 8053/2014; Cass. n. 13977/2019).
Nel caso di specie le predette anomalie non sussistono, considerata l’articolata motivazione espressa dalla Corte territoriale sopra riportata in sintesi.
5.- Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 414, 415 e 433 c.p.c. per non avere la Corte territoriale dichiarato inammissibile l’appello per difetto di sottoscrizione.
Il motivo è infondato.
In via di principio va ricordato che l’art. 125 cod. proc. civ. prescrive che l’originale e le copie degli atti ivi indicati devono essere sottoscritti dalla parte che sta in giudizio personalmente oppure dal procuratore. Ne consegue che il difetto di sottoscrizione è causa di inesistenza dell’atto, atteso che la sottoscrizione è elemento indispensabile per la sua formazione, ma solo quando non sia desumibile da altri elementi, quali la sottoscrizione per autentica della firma della procura in calce o a margine dello stesso (Cass. ord. n. 1275/2011).
Nel caso di specie, come ha pure evidenziato il P.G., la copia del ricorso in appello, allegata al ricorso per cassazione dal medesimo ricorrente, è munita di regolare sottoscrizione.
6.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Va però precisato che il controricorso è tardivo, in quanto notificato in data 22/01/2019, mentre il termine scadeva in data 19/01/2019, che era un sabato e quindi differito al lunedì 21/01/2019 ex art. 155 c.p.c. Il difensore della C. deduce che il ricorso per cassazione sarebbe stato notificato in data 13/12/2018, ma dalla relata di notifica risulta consegnato a mani dell’avv. B., in qualità di domiciliatario, in data 10/12/2018, sicché il termine per la notifica del controricorso scadeva – come detto – in data 19/01/2019.
Pertanto vanno liquidate in suo favore solo le spese relative alla fase della discussione in pubblica udienza: l’inammissibilità del controricorso tardivo, se preclude l’esame di esso e di eventuali memorie ex art. 378 c.p.c., non toglie valore alla procura ritualmente conferita dalla parte al proprio difensore, né impedisce la partecipazione di quest’ultimo alla discussione orale (Cass. n. 6563/2017), la cui attività va pertanto in questi limiti considerata ai fini della regolazione delle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.