La Corte di Cassazione con la sentenza n. 19509 depositata il 23 agosto 2013 intervenendo in tema di sanzioni affermando che l’autore dell’illecito può andare in giudizio anche perché è chiamato a rispondere con il proprio patrimonio, pertanto legittimati al ricorso, oltre alla società, anche i componenti del cda
Per cui vi è una duplice tutela contro le sanzioni inflitte dal Ministero dell’Economia per violazioni in materia di intermediazione finanziaria. La sentenza che rende esecutiva la condanna al pagamento della multa pecuniaria può essere impugnata, oltre che dalla società, anche dalla persona fisica/autore dell’illecito, persona verso cui viene tra l’altro esercitata obbligatoriamente l’azione di regresso (articolo 195 del Testo Unico, Dlgs 58/98).
Gli Ermellini sono ritornati, con la sentenza in esame, sul tema dei procedimenti sanzionatori della Consob (e della Banca d’Italia) in materia di intermediazione finanziaria, per rafforzare l’orientamento più incline alla possibilità di difesa “piena” degli amministratori delle società sanzionate.
La fattispecie ha riguardato un ex consigliere di amministrazione di banca, coinvolto in seconda battuta dal provvedimento del luglio 2005 del Mef che condannava l’istituto di credito a una sanzione amministrativa pecuniaria «per violazione di norme legislative e regolamentari in materia di intermediazione finanziaria» e «con obbligo di regresso» nei confronti del consigliere di amministrazione a cui doveva essere imputato l’addebito.
All’origine del ricorso in Cassazione c’era il decreto della Corte d’appello che, nove mesi dopo il decreto del Mef, aveva dichiarato inammissibile l’opposizione presentata dal consigliere, rilevando la «carenza di legittimazione attiva dell’esponente aziendale». L’autore materiale dell’illecito, secondo i giudici di merito, «difetta di un interesse giuridico attuale e concreto alla rimozione del provvedimento impugnato, emesso nei confronti di un soggetto diverso» (cioè le due banche, ndr).
La soluzione dei giudici di merito, a giudizio degli Ermellini, presta il fianco a numerose perplessità. Escludendo gli amministratori dalla possibilità del ricorso, la condanna eseguita “in regresso” su di loro darebbe luogo a un evidente ipotesi di denegata possibilità di difesa. In alternativa, considerare non opponibile agli esponenti aziendali il giudicato formatosi nei confronti dell’istituto di credito provocherebbe «un inammissibile conflitto di giudicati».
Per i giudici Supremi «il vulnus arrecato al diritto di difesa degli esponenti aziendali non potrebbe essere eliminato in altro modo che attraverso la caducazione del provvedimento giurisdizionale che, rigettando l’opposizione proposta dall’istituto di credito, è inevitabilmente destinato a precludere un diverso accertamento con riferimento alla posizione dei soggetti erroneamente dichiarati non legittimati all’opposizione».
Dal punto di vista processuale, quindi, nel ricorso giurisdizionale contro il provvedimento amministrativo deve aver luogo un litisconsorzio necessario, con la partecipazione cioè al procedimento di tutte le parti che potrebbero patire conseguenze negative dalla pronuncia. In tal senso la Corte si era già espressa lo scorso anno (sentenza 16699/12) rimarcando che «la dipendenza esistente tra la posizione dell’istituto e quella degli esponenti aziendali comporta (… la necessità della partecipazione di quelle stesse parti al giudizio di impugnazione».
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