CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 maggio 2013, n. 12450
Lavoro – Lavoro subordinato – Estinzione del rapporto – Licenziamento – Licenziamento disciplinare – Condotta ostruzionistica e dilatoria del dipendente – Sussiste.
Svolgimento del processo e motivi della decisione
“O.P., all’epoca dipendente della Banca popolare Sant’Angelo, era stato licenziato con lettera del 9 dicembre 1999, sulla base della contestazione disciplinare di essersi rifiutato di consegnare le chiavi fisiche e logiche di accesso alla procedura SWIFT e PICO al collega D.L., come ripetutamente richiestogli dal superiore diretto, di avere quindi abbandonato il proprio posto di lavoro dopo avere disattivato i terminali, trattenendo le chiavi di accesso indicate, così determinando l’interruzione dell’attività relativa alle procedure suddette, che era stato possibile riprendere soltanto il giorno successivo, di essersi introdotto nei locali aziendali, nonostante il disposto allontanamento temporaneo dal servizio.
Dopo che il dipendente aveva ottenuto una ordinanza cautelare di reintegrazione nel marzo 2000, confermata in sede di reclamo (per violazione dell’art. 7 S.L., per non avere sentito anche oralmente l’incolpato a propria difesa), la società aveva, in data 11 settembre 2000, rinnovato le contestazioni disciplinari, licenziando infine il P. con lettera del 25 settembre 2000.
Impugnato anche quest’ultimo licenziamento avanti ai giudici di Palermo, le domande di O.P. sono state respinte in ambedue i gradi di merito, da ultimo dalla Corte d’appello dì Palermo con la sentenza depositata il 25 maggio 2011, notificata il 20 settembre successivo.
Per la cassazione di tale sentenza O.P. propone ora ricorso, notificato il 14 novembre 2011 e affidato a tre motivi.
I motivi di ricorso attengono a:
1 – violazione artt 2119 c.c. e 7 S.L. nonché vizio di motivazione con riguardo al motivo di appello attinente la violazione del principio di immediatezza della contestazione, con conseguente violazione del diritto di difesa dell’incolpato;
2- violazione dell’art. 2119 c.c. e vizio di motivazione in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di accertare: a) l’incidenza delle singole contestazioni sul rapporto fiduciario tra le parti, b) l’impedimento effettivo alla prosecuzione del rapporto con riferimento ad aspetti concreti afferenti alla natura e qualità del rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni nonché la portata soggettiva dei fatti, i motivi e l’intensità dell’elemento intenzionale e di quello colposo etc;
3 – se avesse correttamente valutato fondate le domande del P., la Corte territoriale avrebbe infine dovuto condannare le due società resistenti nei giudizi di merito alle spese.
Resiste alle domande la società Credito siciliano p.a. (cessionaria del ramo di azienda ove operava il ricorrente, secondo l’accertamento compiuto dal giudice di appello) con rituale controricorso.
La Banca popolare Sant’Angelo (originaria datrice di lavoro del P.) non si è costituita in questa sede.
Il procedimento è regolato dagli artt. 360 e segg. c.p.c. con le modifiche e integrazioni successive, in particolare quelle apportate dalla legge 18 giugno 2009 n. 69.
Il ricorso è manifestamente infondato e va pertanto trattato in camera di consiglio per essere respinto-Quanto al primo motivo, i giudici di appello hanno infatti correttamente applicato i principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di tempestività della contestazione disciplinare, secondo cui questa non può essere ingiustificatamente procrastinata in modo da rendere difficile la difesa del dipendente e perpetuare l’incertezza in ordine alla sorte del rapporto.
La Corte d’appello, infatti, ha dato anzitutto per scontato che il ricorrente non avrebbe potuto fare affidamento, in ragione del trascorrere di quattro mesi dalla decisione sul reclamo avverso la ordinanza di reintegrazione e l’avvio della seconda iniziativa disciplinare, nell’abbandono da parte della società del proposito punitivo già manifestato con la precedente vicenda disciplinare (dato che nell’intervallo indicato la società, come dalla stessa ora ricordato, non lo aveva reintegrato).
Esaminando inoltre la censura sotto il profilo (unico rappresentatole, secondo la narrativa dello stesso ricorso per cassazione) della lesione del diritto di difesa, la Corte d’appello ha rilevato, in maniera esaurientemente argomentata, che la tempestiva conoscenza in sede di prima iniziativa disciplinare dei fatti di cui era incolpato avevano sicuramente consentito al P. di svolgere adeguatamente le proprie difese nell’ambito del secondo procedimento disciplinare.
Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Il motivo si concretizza invero in censure astratte e apodittiche, comunque infondate alla luce dell’ampia, argomentata motivazione della Corte territoriale.
La Corte, accertati i fatti, ha infatti esaminato e confutato in maniera logica tutte la giustificazioni addotte dall’appellante, in ordine alla sua buona fede o allo stato di malessere seguito al primo dei fatti contestatigli o ancora al preteso possesso da parte della società di una copia delle chiavi dì accesso alle procedure indicate, valutando quindi il suo comportamento complessivo, alla luce delle risultanze istruttorie e tenuto conto della posizione del lavoratore all’interno della banca, come “ispirato da finalità ostruzionistiche e dalla volontà di mantenere una sorta di esclusività del proprio ruolo di operatore abilitato alle procedure SWIFT e PICO… “, “ispirato da finalità… dilatorie e di grave insubordinazione, il che lo rende idoneo, non soltanto per la sua obbiettiva gravità, desumibile anche dalle disfunzioni determinate nell’ambito dell’organizzazione produttiva dell’Istituto di credito, ma anche per l’intensità dell’elemento soggettivo, attesa la piena consapevolezza da parte del lavoratore delle conseguenze pregiudizievoli che il suo rifiuto ostinato di ottemperare all’ordine avrebbe potuto avere , in caso di sua assenza dal servizio, ad incrinare irreversibilmente il vincolo fiduciario col datore di lavoro, così da integrare gli estremi della giusta causa di recesso”.
Anche solo riproducendo il contenuto di tale complete, logiche valutazioni, le censure di cui al motivo appaiono prive di riferimenti concreti.
Il terzo motivo, segue la sorte degli altri due, in quanto da questa condizionato.
Concludendo, si chiede pertanto che il Presidente della sezione voglia fissare la data dell’adunanza in camera di consiglio.”
Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in camera di consiglio.
La banca Credito siciliano s.p.a. ha depositato una memoria.
Il Collegio condivide il contenuto della relazione, rigettando pertanto il ricorso, con la condanna del ricorrente a rimborsare alla banca resistente le spese di questo giudizio, liquidate in dispositivo sulla base dei parametri di cui al D.M. n. 140 del 2012. Nulla per le spese dell’altra banca, che non ha svolto difese in questa sede.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla resistente le spese di questo giudizio, liquidate in € 50,00 per esborsi ed € 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge; nulla per le spese della parte rimasta intimata.
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