Corte di Cassazione sentenza n. 13710 del 31 luglio 2012
IMPIEGO PUBBLICO – DIRIGENTI – PROVA (PERIODO DI) – LAVORO (RAPPORTO DI) – LICENZIAMENTO: (REINTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO)
massima
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Nel caso di licenziamento di un dirigente pubblico per mancato superamento della prova, l’atto di recesso, qualora intimato dopo che il periodo di prova era scaduto, è illegittimo ed in virtù dell’art. 51 del D.Lgs. 165/2001 le conseguenze di tale illegittimità sono quelle previste dall’art. 18 della L. 300/1970, c.d. Statuto dei lavoratori: reintegrazione nel posto di lavoro e risarcimento del danno.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nella controversia sulla risoluzione del rapporto di lavoro dirigenziale tra il dott. (omissis) e l’Agenzia delle Dogane “per mancato superamento del periodo di prova”, la Corte d’Appello di Genova, decidendo in sede di rinvio disposto da questa Corte con precedente sentenza 2233/2007, ha ordinato all’Agenzia delle Dogane di reintegrare il dott. (omissis) nel rapporto fondamentale di lavoro con la qualifica di Dirigente di seconda fascia e l’ha condannata, per quanto qui interessa, “al risarcimento del danno commisurato, quanto al tempo di efficacia dell’incarico dirigenziale a lui conferito, in misura pari alla retribuzione pattuita e per il periodo successivo e fino alla reintegra, commisurato alla retribuzione globale di fatto netta spettante per il rapporto fondamentale di impiego sottostante e di cui alla sopradetta qualifica; il tutto oltre rivalutazione, e interessi dalla data delle singole scadenze al saldo sotto deduzione del percepito”. Ha condannato inoltre l’Agenzia a regolarizzare di conseguenza la posizione contributiva dell'(omissis)”.
Secondo la Corte di rinvio, il risarcimento può idealmente distinguersi in due parti, la prima conseguente al mancato pagamento della retribuzione globale di fatto afferente al rapporto fondamentale, la seconda afferente al mancato percepimento degli emolumenti connessi allo specifico incarico che, in quanto illegittimamente risolto, non sono stati corrisposti al dott. (omissis). La Corte di rinvio ha poi ritenuto che il datore di lavoro è tenuto per Legge n. 300 del 1970, ex art. 18 al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali.
Inoltre, sempre per quanto qui ancora interessa, la Corte ha ritenuto di pronunciare la condanna generica al risarcimento del danno.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l'(omissis) con cinque motivi accompagnati da rispettivi quesiti.
L’Agenzia delle Dogane resiste con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 – Col primo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione della Legge n. 300 del 1970, art. 18 (Statuto dei Lavoratori). Error in iudicando. Omissione di motivazione”.
A sostegno della censura il ricorrente osserva che – contrariamente a quanto affermato dalla Corte di rinvio – la domanda proposta in primo grado non poteva essere considerata come diretta ad ottenere una condanna generica, poiché essa era rivolta in primo luogo a conseguire in tutta la sua portata la tutela tipica concessa dalla Legge n. 300 del 1970, art. 18 ovvero la reintegrazione nel posto di lavoro (e nell’incarico non ancora scaduto) nonché le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegra, oltre rivalutazione ed interessi legali.
Osserva inoltre che la precisa quantificazione del credito da essa derivante dipende oltre che dal momento dell’effettiva reintegra, dal calcolo aritmetico relativo ai dati certi e positivi costituito da tutti gli elementi che compongono la ordinaria retribuzione del lavoratore, quindi, nel caso di specie, in primo luogo da tutte le voci che compongono la struttura ordinaria della retribuzione del dirigente pubblico ai sensi dell’art. 48 del CCNL vigente. Ad avviso del ricorrente, quindi, l’aver ritenuto che la condanna comportante le tipiche conseguenze stabilite dalla Legge n. 300 del 1970, art. 18 sia una condanna generica, costituisce violazione della disposizione citata, e quindi il predetto erroneo giudizio è stato formulato in maniera apodittica, omettendo sul punto qualsiasi motivazione.
Il motivo è infondato.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, l’interpretazione della domanda giudiziale, consistendo in un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità e, pertanto, la Corte di cassazione è abilitata all’espletamento di indagini dirette al riguardo soltanto allorché il giudice di merito abbia omesso l’indagine interpretativa della domanda, ma non se l’abbia compiuta ed abbia motivatamente espresso il suo convincimento in ordine all’esito dell’indagine (tra le varie, cfr. cass. 11.3.2011 n. 5876; cass. 18.5.2012 n. 7932; cass. 28.8.2003 n. 12650 cass. 14.12.1994 n. 10689).
Ebbene, nel caso di specie la Corte di merito ha ritenuto di pronunciare la condanna generica al risarcimento del danno “conformemente alle richieste formulate nell’atto introduttivo del giudizio e già accolte dal Tribunale di Torino alla cui pronuncia il dott. (omissis) aveva fatto acquiescenza, essendo essa conforme alle sue domande”. Ha quindi ritenuto che costituisce domanda nuova, come tale inammissibile, quella svolta nel ricorso in riassunzione di specificazione delle voci costituenti in concreto la retribuzione globale di fatto da assumere come parametro per quantificare il risarcimento”.
L’indagine interpretativa sul contenuto della domanda introduttiva, dunque, vi è stata e la motivazione adottata si rivela congrua atteso che, come riportato nel controricorso, il ricorrente nel giudizio di primo grado, aveva chiesto genericamente la condanna della convenuta al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella della reintegra e al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’illegittimo licenziamento.
2-3 Col secondo motivo si deduce la “violazione e falsa applicazione del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 2233/2007. Violazione e falsa applicazione della Legge n. 300 del 1970, art. 18. Violazione e travisata applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, articoli 52, 19, 21 e 28; Decreto del Presidente della Repubblica n. 108 del 2004, art. 6; 13, CCNL Dirigenza Area 1; 20 CCNL Dirigenza Area 6, Violazione degli articoli 2, 3 e 4 Cost., art. 41 Cost., comma 2 e art. 97 Cost. Violazione dell’art. 2087, cod. civ. Omissione di esame. Illogicità, insufficienza e contraddittorietà della motivazione”.
Afferma in sostanza l'(omissis), attraverso una articolata disamina normativa e giurisprudenziale, che il dirigente pubblico ha diritto, alla stregua di qualsiasi altro lavoratore, a svolgere le funzioni inerenti alla propria qualifica (pur in assenza di un diritto ad uno specifico incarico) e che quindi la Corte di rinvio non avrebbe dovuto commisurare il risarcimento ex art. 18 Statuto Lavoratori alla retribuzione di fatto netta spettante per il rapporto fondamentale di impiego sottostante di cui alla suddetta qualifica di dirigente di seconda fascia.
Con la terza censura si deduce “Violazione e falsa applicazione della Legge n. 300 del 1970, art. 18. Error in iudicando. Irragionevolezza e contraddittorietà manifeste”.
Afferma il ricorrente che la statuizione censurata nell’avere commisurato il risarcimento del danno solo alla retribuzione globale di fatto netta spettante per il rapporto fondamentale di impiego sottostante di cui alla suddetta qualifica si pone in insanabile contraddizione con l’istituto della reintegra di cui alla Legge n. 300 del 1970, art. 18 perché il riferimento legislativo è diretto a far sì che il lavoratore sia tenuto indenne dal licenziamento e quindi, con riferimento ai dirigenti pubblici, occorre far riferimento alla intera retribuzione contrattuale prevista per il dirigente, ovvero, anche secondo un criterio di normalità, a quella prevista per l’incarico rivestito al momento del licenziamento illegittimo, ovvero, nel caso di specie, per un incarico di secondo livello di fascia. Cita al riguardo le clausole di salvaguardia poste dai CCNL e in particolare l’art. 13 comma 4 del CCNL Dirigenza Area 1 e l’art. 63 comma 1 del CCNL Dirigenza Area 6.
Le due censure, ponendo entrambe in discussione la corretta applicazione del sistema risarcitorio di cui alla Legge n. 300 del 1970, art. 18, e vizi dì motivazione della sentenza, ben possono formare oggetto di trattazione unitaria.
Ebbene, le critiche sono infondate.
L’art. 18, al comma 4, prevede che il risarcimento per il danno subito per il licenziamento di cui sia stata accertata l’inefficacia o l’invalidità viene determinato dal giudice “stabilendo una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione…
Con la precedente sentenza 1.2.2007 n. 2233 con cui è stata cassata la sentenza della Corte d’Appello di Torino) questa Corte ha affermato che la illegittimità del recesso dal rapporto di lavoro di una P.A. con un dirigente comporta l’applicazione, al rapporto fondamentale sottostante, della disciplina della Legge n. 300 del 1970, art. 18, con conseguenze reintegratorie, a norma del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, art. 51, comma 2, mentre all’incarico dirigenziale si applica la disciplina del rapporto a termine sua propria”.
Ciò posto, non è affatto vero che la Corte di rinvio abbia commisurato il risarcimento alla “sola”” retribuzione globale di fatto netta spettante per il rapporto fondamentale di impiego sottostante perché, come si è esposto nella narrativa che precede, il risarcimento è stato suddiviso in due parti (cfr. sopra pagg. 5 e Una tale modalità appare conforme al criterio della retribuzione globale di fatto, proprio perché ha considerato sia l’esistenza del rapporto fondamentale sottostante che l’incarico dirigenziale di durata temporanea (l’incarico conferito al dott. (omissis) aveva avuto infatti una durata biennale a far data dal 2 maggio 2002, come si legge nello stesso ricorso e ad esso si applica “la disciplina del rapporto a termine sua propria”: cfr. sentenza 2233/2007 cit.).
Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “in caso di licenziamento illegittimo di dirigente pubblico che sia titolare di incarico dirigenziale temporaneo, il risarcimento del danno di cui alla Legge n. 300 del 1970, art. 18, è commisurato, quanto al tempo di efficacia dell’incarico dirigenziale a lui conferito, in misura pari alla retribuzione pattuita e per il periodo successivo e fino alla reintegra, commisurato alla retribuzione globale di fatto netta spettante per il rapporto fondamentale di impiego sottostante e di cui alla sopradetta qualifica”.
La sentenza di merito appare peraltro congruamente motivata laddove ha considerato, nell’operare una duplice commisurazione del risarcimento, che l’incarico dirigenziale è comunque venuto a scadenza e non sussiste un diritto del dirigente a ricevere un determinato incarico, potendo invece rimanere senza incarico di direzione dì un ufficio ed essere adibito a svolgere incarichi specifici: si è quindi attenuta non solo al principio di diritto affermato da questa Corte con la precedente sentenza ma anche alla ricostruzione del rapporto de quo ivi contenuta.
Pertanto, la pronuncia si sottrae anche alla censura relativa al vizio di motivazione.
4 – Con il quarto motivo si deduce “contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza. Illogicità e contraddittorietà manifeste”.
Afferma il ricorrente che la Corte di Genova in motivazione ha dichiarato di voler pronunciare una condanna al risarcimento in forma generica mentre invece in contrasto con la motivazione ha pronunciato con una formula limitativa che costituisce anche in modo indiretto puntuale specificazione delle voci retributive contrattuali erroneamente ritenute da assumere a parametro del risarcimento.
Il motivo è infondato.
Nel rito del lavoro, “…il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione, in difetto della quale prevale il dispositivo. Tale insanabilità deve tuttavia escludersi quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione, divergenti solo da un punto di vista quantitativo, e la seconda inoltre sia ancorata ad un elemento obiettivo che inequivocabilmente la sostenga (si da potersi escludere l’ipotesi di un ripensamento del giudice); in tal caso è configurabile l’ipotesi legale del mero errore materiale…” (cass. sez. L 10.5.2011 n. 10305).
Nel caso di specie, non si ravvisa nessun insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo e neppure errore materiale perché la sentenza di merito, anche nella parte dispositiva, si è limitata a pronunciare la condanna al risarcimento del danno in maniera generica, con la sola differenziazione del criterio di commisurazione da adottare avendo riguardo al tempo di efficacia dell’incarico dirigenziale e a quello successivo fino alla reintegra, del tutto coerentemente con le argomentazioni precedentemente esposte in motivazione, laddove appunto si è dato conto della necessità di differenziare il risarcimento con riferimento ai due periodi, secondo il principio di diritto espresso con la precedente sentenza n. 2233 del 2007.
5- Infine, con l’ultima censura, l'(omissis) pone un problema di legittimità costituzionale del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, art. 19, commi 1 e 2 con riferimento agli articoli 2, 3, 4 e 35 Cost., art. 41 Cost., comma 2 e art. 97 Cost.
Afferma, infatti, che qualora la Corte ritenga che dal principio di temporaneità degli incarichi stabilito dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, art. 19, comma 2) e dal principio di non applicabilità dell’art. 2103 c.c. al conferimento degli incarichi (comma 1) debba trarsi che il dirigente possa essere lasciato senza funzioni e, ove reintegrato ex art. 18, abbia diritto ad un risarcimento dimidiato (quello relativo al dirigente senza funzioni), si profila il contrasto con le citate norme costituzionali che riassume.
Le osservazioni del ricorrente non appaiono condivisibili.
Come già affermato con la precedente sentenza del 2007 n. 2233, la legge prevede che il dirigente pubblico possa rimanere senza incarico, senza per questo perdere il suo status di pubblico dipendente con qualifica dirigenziale (ad es. prima dell’assegnazione del primo incarico, negli intervalli tra un incarico e l’altro o perché collocato in disponibilità: Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, art. 21, comma 1 come modificato dalla Legge 15 luglio 2002, n. 145, art. 3).
E non si vede come una tale situazione possa rappresentare violazione dell’art. 2 (diritti inviolabili), dell’art. 3 (principio di uguaglianza), art. 4 (diritto al lavoro), art. 35 (tutela del lavoro in tutte le sue forme), art. 41, comma 2 (tutela della dignità umana nel campo dell’iniziativa economica privata, e, a maggior ragione, nell’azione pubblica) e art. 97 (buon andamento e imparzialità), osservandosi, con particolare riferimento a tale ultimo parametro, che il mancato conferimento di un incarico dirigenziale non per questo nuoce al buon andamento dell’amministrazione, ma anzi potrebbe rispondere a detto criterio (con conseguenti ripercussioni anche in termini di spesa), come nel caso in cui non vi siano esigenze tali da richiedere un immediato conferimento di incarico.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che si liquidano in euro 40,00 per spese ed euro 5.000,00 (cinquemila) per onorari, oltre accessori di legge.