Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 582 depositata l’ 8 gennaio 2024
licenziamento per superamento del periodo di comporto
RILEVATO CHE
1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a omissis da omissis s.r.l. in relazione all’avvenuto superamento del periodo di comporto sul rilievo che erano stati erroneamente computati cinque giorni di assenza nell’agosto 2016 che erano invece riferibili a ferie.•
2. Per quanto interessa la Corte del reclamo ha rilevato che alla scadenza dell’ultimo periodo di malattia il lavoratore aveva chiesto ed ottenuto cinque giorni di ferie, dal 1 al 5 agosto 2016, che erano scaduti in prossimità della chiusura aziendale per la pausa estiva prevista nel periodo 8-21 agosto 2016. Ha quindi ritenuto che il lavoratore, che aveva chiesto di poter beneficiare delle ferie dopo la scadenza della malattia, non dovesse precisare la sua intenzione di interrompere il decorso del comporto. La Corte di merito ha ritenuto che la condotta datoriale, che dopo due anni aveva imputato a malattia i giorni di ferie, sarebbe stata contraria a buona fede e correttezza. Inoltre, ha sottolineato che scorrettamente la datrice di lavoro aveva risposto alla richiesta di informazioni. sui termini di compimento del
comporto con indicazioni non corrette ed in tal modo aveva indotto in errore il lavoratore che, sulla base delle stesse, non era stato posto in grado di valutare compiutamente la sua situazione.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società omissis s.r.l. affidato a due motivi.
Omissis ha opposto difese con tempestivo controricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RITENUTO CHE
4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 2110 e.e. e dell’art. 2 sez. IV titolo VI del c.c.n.l. metalmeccanici (360 n. 3). Ad avviso della società ricorrente la Corte di merito avrebbe violato le disposizioni richiamate dandone una lettura errata. Si sostiene infatti nel motivo che nel caso in cui tra la fine di una malattia e l’inizio di un’altra vi siano dei giorni festivi o comunque non lavorati si debba presumere che la malattia sia continuativa. Pertanto – in mancanza di prova, che sarebbe stato onere del lavoratore offrire, di versare nelle condizioni per riprendere l’attività lavorativa – quei giorni di assenza non potevano che essere imputati al congedo per malattia e computati ai fini della maturazione del periodo di comporto.
5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione degli artt. 1175, 1375, 2110 e 1362 e.e. e dell’art. 18 commi 4 e 5 della legge n. 300 del 1970 e ss. mm.. Sostiene la ricorrente che diversamente da quanto sostenuto nella decisione impugnata al lavoratore erano stati offerti tutti gli elementi per valutare il decorso ed il compimento del comporto e dunque non vi è stata violazione dei principi di correttezza e buona fede. La dichiarazione del 16.5.2018 era riferita al numero di giorni di malattia cumulati nel periodo dal 1.5.2015 al 30.4.2018 e non al triennio antecedente l’ultimo episodio morboso (1.9.2015-31.7.2018, triennio mobile).
6. Il primo motivo di ricorso è infondato e deve essere rigettato.
6.1. In via generale va ricordato che con giurisprudenza risalente nel tempo e costante questa Corte ha affermato che “al lavoratore assente per malattia è consentito di mutare il titolo dell’assenza con la richiesta di fruizione delle ferie già maturate al fine di sospendere il decorso del periodo di comporto; ove una richiesta di ferie sia stata avanzata e, sia pure parzialmente, accolta prima del superamento del periodo di comporto, la dedotta successiva rinuncia alla fruizione delle ferie nel periodo indicato dal datore di lavoro deve essere provata in maniera chiara e inequivoca, attesa la garanzia costituzionale del diritto alle ferie e il rilevante e fondamentale interesse del lavoratore a evitare, con la fruizione delle stesse o di riposi compensativi già maturati, la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza del periodo di comporto, con la ulteriore conseguenza della perdita definitiva della possibilità di godere delle ferie maturate (cfr tra le tante Cass. 17/12/2001 n. 15954, 09/04/2003 n. 5521 e 10/11/2004 n. 21385). La facoltà del lavoratore di sostituire le ferie all’assenza per malattia per interrompere il decorso del periodo di comporto non è incondizionata e tuttavia il datore di lavoro, di fronte ad una richiesta del lavoratore di conversione dell’assenza per malattie in ferie, e nell’esercitare il potere, conferitogli dalla legge (art. 2109, secondo comma, cod. civ.), di stabilire la collocazione temporale delle ferie nell’ambito annuale armonizzando le esigenze dell’impresa con, gli interessi del lavoratore, è tenuto ad una considerazione e ad una valutazione adeguate alla posizione del lavoratore in quanto esposto, appunto, alla perdita del posto di lavoro con la scadenza del comporto. Resta fermo che, allorquando il lavoratore abbia la possibilità di fruire e beneficiare di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto ed in particolare quando le parti sociali abbiano convenuto e previsto, a tal fine, il collocamento in aspettativa, pur non retribuita, un tale obbligo non è ragionevolmente configurabile (Cass. n. 5521 del 2003 e n. 21 385 del 2004 cit.).
6.2. Già per effetto della sentenza n. 616 del 1987, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2109 cod. civ., nella parte in cui non prevede che la malattia insorta durante il periodo feriale ne sospenda il decorso, è stato introdotto nell’ordinamento giuridico il principio di conversione delle cause di assenza dal lavoro e cioè della possibilità di mutamento del titolo dell’assenza stessa, ancorché in corso, in altro che presupponga una diversa giustificazione. Si tratta di principio che, in difetto di una disciplina legislativa di dettaglio, opera in tutte le sue implicazioni e con riferimento ai reciproci rapporti fra tutte le varie ipotesi di sospensione dell’obbligo lavorativo, con la conseguenza che anche il periodo di comporto, ai fini dell’art. 2110 cod. civ., diviene suscettibile di interruzione per effetto della richiesta del dipendente di godere del periodo feriale, che il datore di lavoro deve concedere anche in costanza di malattia del dipendente stesso (cfr. Cass. 30/03/1990 n. 2608).
6.3. Tanto premesso nel caso in esame da un canto non vi è prova che il lavoratore avrebbe potuto beneficiare di istituti contrattuali alternativi alle ferie ed inoltre è stato accertato che, al contrario, le ferie erano state autorizzate in prosecuzione della malattia. La domanda di ferie avanzata con decorrenza dal primo giorno lavorativo successivo alla cessazione della documentata assenza per malattia esprime la volontà di assentarsi per un titolo diverso da quello in base al quale il lavoratore fino ad allora era rimasto assente e correttamente si è ritenuto interrotta la maturazione del periodo di comporto alla scadenza della certificazione medica.
7. In conclusione, va confermata la sentenza che, alla luce dei ricordati accertamenti di fatto, ha escluso che il lavoratore fosse rimasto assente dal servizio per un numero di giorni superiore a quello previsto dal contratto collettivo per la conservazione del posto di lavoro. La conferma sul punto della sentenza impugnata rende ultroneo l’esame del secondo motivo di ricorso. Alla soccombenza segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che, liquidate in dispositivo, devono essere distratte in favore dell’avvocato dichiaratosene anticipatorio.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie oltre agli accessori dovuti per legge. Spese da distrarsi in favore dell’avvocato omissis che se ne è dichiarato antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.