Corte di Cassazione sentenza n. 16503 del 27 settembre 2012
RAPPORTO DI LAVORO – ESTINZIONE DEL RAPPORTO – LICENZIAMENTO DISCIPLINARE PER GIUSTA CAUSA – CONDOTTA PERSECUTORIA DEL DIPENDENTE VERSO I COLLEGHI
massima
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La valutazione della gravità delle infrazioni e della loro idoneità ad integrare una giusta causa di licenziamento si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato, a meno che i giudizi formulati si pongano in contrasto con i principi dell’ordinamento espressi dalla giurisdizione di legittimità e con quegli “standard” valutativi esistenti nella realtà sociale (riassumibili nella nozione di civiltà del lavoro, riguardo alla disciplina del lavoro subordinato) che concorrono con detti principi a comporre il diritto vivente.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
Atteso che è stata depositata relazione del seguente contenuto:
“1. Con ricorso al Tribunale di T. S. C. conveniva in giudizio la K.+N. srl chiedendo che venisse dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimatogli per motivi disciplinari con lettera del 13.12.1997 e che la società venisse condannata a reintegrarlo nel posto di lavoro, con le conseguenze previste dall’art. 18 legge n. 300/70;
La domanda veniva respinta dal Tribunale con sentenza che, su appello del lavoratore, veniva confermata dalla Corte d’appello di T., che riteneva che nella condotta del lavoratore – consistita, così come accertato, nell’avere posto in essere un vero e proprio comportamento persecutorio nei confronti di un collega di lavoro, per di più affetto da grave handicap psichico, e nell’aver pesantemente insultato altri colleghi intervenuti per difenderlo – fossero riscontrabili gli estremi della giusta causa di licenziamento;
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione S. C. affidandosi a due motivi di ricorso cui resiste con controricorso la società K.+N. srl;
2. Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 2104, 2106, 2118, 2119 c.c., 3 e 5 legge n. 604/66, deducendo che l’azienda, benché fosse da tempo al corrente della situazione, non aveva adottato alcuna misura idonea a salvaguardare la disciplina aziendale e l’incolumità del lavoratore oggetto di insulti da parte del C., limitandosi ad applicare, nei confronti di quest’ultimo, la massima sanzione disciplinare, senza operare, peraltro, alcun bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco;
3. Con il secondo motivo si deduce il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione alla valutazione dell’elemento soggettivo e alla valutazione della proporzionalità tra i fatti addebitati al lavoratore e la sanzione inflittagli;
4. Il ricorso va qualificato come inammissibile o manifestamente infondato in relazione all’orientamento affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte relativamente alle questioni prospettate, ed in particolare, quanto ai criteri che il giudice deve applicare per valutare la sussistenza o meno di una giusta causa di licenziamento, in relazione a quanto ritenuto da Cass. n. 25743/2007 – e più recentemente da Cass. n. 6848/2010 – secondo cui il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (art. 3 l. n. 604/66), ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.);
5. Tale giudizio è rimesso al giudice di merito la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata motivazione, dovendo ritenersi (Cass. n. 21965/2007) al riguardo che spetta al giudice di merito procedere alla valutazione della proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alla condotta addebitata al lavoratore con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, secondo un apprezzamento di fatto che non è rinnovabile in sede di legittimità, bensì censurabile per vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (cfr. altresì sul punto, ex plurimis, Cass. n. 6823/2004, Cass. n. 5013/2004, Cass. n. 4061/2004, Cass. n. 1144/2000, Cass. n. 13299/99. Cass. n. 6216/98);
6. In tema di ambito dell’apprezzamento riservato al giudice del merito, è stato affermato (cfr. fra le altre, Cass. n. 8254/2004, 8254/2004) che la giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consente la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto, è una nozione che la legge, allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cd. clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modello generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici. A sua volta, Cass. n. 9266/2005 ha ulteriormente precisato che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica) compiuta dal giudice di merito – ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento – mediante riferimento alla “coscienza generale”, è sindacabile in cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli “standards”, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (nello stesso senso, Cass. n. 4369/2009);
7. Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto che i fatti addebitati al lavoratore fossero di gravità tale da integrare l’ipotesi della giusta causa di licenziamento, e da giustificare, quindi, l’applicazione della massima sanzione espulsiva, osservando, fra l’altro, che il lavoratore aveva, in sostanza, dileggiato a lungo e minacciato, tentando anche di colpirlo, un collega affetto da grave handicap psichico; aveva inoltre insultato, alla presenza di altre persone, il caposquadra e una collega di lavoro, a sua volta fisicamente handicappata, solo perché era intervenuta per riportare la calma; ed ha osservato che, nel caso in esame, non si trattava di uno scatto d’ira improvviso e limitato nel tempo, perché il C. aveva continuato ad importunare in tutti i modi il collega di lavoro per circa un’ora, sì che, se l’azienda non fosse intervenuta per far cessare siffatto comportamento – che, peraltro, si era già ripetuto in passato, sia pure con minore gravità – avrebbe potuto essere chiamata in causa come responsabile di danni da “mobbing” nei confronti del collega così importunato dal (…);
8. Si tratta di una valutazione di fatto, adeguatamente motivata, coerente sul piano logico e rispettosa dei principi giuridici in precedenza indicati. Il giudizio operato dai giudici di appello non è stato, del resto, sottoposto a specifiche censure, idonee ad evidenziare la non coerenza del predetto giudizio agli “standards” di valutazione esistenti nella realtà sociale, essendosi, in realtà, il ricorrente limitato a ripercorrere la valutazione di merito ed a contrapporre ad essa la propria diversa valutazione (senza, peraltro, riportare nel ricorso il contenuto integrale delle deposizioni di cui ha lamentato l’omesso o insufficiente esame da parte del giudice di merito). Quanto all’apprezzamento circa la concreta ricorrenza degli elementi idonei a costituire la giusta causa di licenziamento, e in particolare in ordine alla proporzionalità della sanzione, va ricordato che si tratta di una valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, la cui decisione se sorretta da una motivazione corretta sul versante logico e giuridico, non è censurabile nel giudizio di cassazione;
9. Che ove si condividano i testé formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c., e dichiarato inammissibile o manifestamente infondato”;
Atteso che il Collegio condivide e fa proprie le considerazioni svolte nella relazione che precede e che, pertanto, il ricorso va rigettato ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c., con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese, nella misura indicata in dispositivo, secondo il criterio della soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in € 40,00 per esborsi e € 4.000,00 per onorari, oltre Iva, Cpa e spese generali.
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