CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 novembre 2013, n. 24997
Previdenza – Contributi assicurativi – Soggetti obbligati – Servizi pubblici gestiti da aziende municipalizzate – Contributi minori da versare all’INPS per i dipendenti
Svolgimento del processo
La Corte di Appello di Ancona, con la sentenza di cui si è chiesta la cassazione, riformando in parte la sentenza del Tribunale di Pesaro, ha dichiarato il diritto dell’A.S.P., alla quale erano succedute dal 1° settembre 2000 l’A. s.p.a. e l’A.M. s.p.a., ad essere inquadrata, ai fini contributivi, nella categoria degli enti pubblici fino al 31 agosto 2000 con conseguente condanna dell’INPS a restituire, alle predette società, le somme indebitamente versate, a partire dal 13 settembre 1990, per contributi TBC, ENAOLI, fondo TFR e maternità e, dal 13 settembre 1995, per contributo CUAF.
Rigettava, invece, la Corte del merito la domanda relativa alla richiesta declaratoria di restituzione dei contributi di malattia afferenti il periodo febbraio 1990 – maggio 2000.
Per l’annullamento di tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso affidato ad un unico, complesso motivo.
A. s.p.a. e A.M. s.p.a., in qualità di enti successori di A. A.S.P., hanno resistito con controricorso ed hanno proposto ricorso incidentale.
L’INPS ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale.
La Corte Costituzionale, a seguito di questione sollevata da questa Corte con ordinanza del 12 aprile 2011, ha, con sentenza n. 82 del 2013, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, secondo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito in legge dall’art. 1 della legge 6 agosto 2008 n. 133, nel testo originario e dichiarato, in via conseguenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, secondo periodo, dello stesso decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall’art. 18, comma 16, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge dall’art. 1 della legge 15 luglio 2011 n. 111.
Le società ricorrenti incidentali hanno depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
I ricorsi vanno preliminarmente riuniti, riguardando l’impugnazione della stessa sentenza.
Con l’unico motivo del ricorso principale l’INPS deduce violazione degli artt. 38 RDL 4 ottobre 1935 – convertito in legge 6 aprile 1936 n. 1155- (TBC); art. 2 DPR 26 aprile 1957 n. 818 (ENALOI); 33 e 79 DPR 30 maggio 1955 n.797 (Assegni familiari); 13 e 21 legge 30 dicembre 1971 n. 1204, 8 DL29 marzo 1991 n. 103 – convertito con modificazioni nella legge 1 giugno 1991 n. 166 (Maternità) nonché vizio di motivazione.
L’Istituto ricorrente, premesso che le società resistenti sono succedute dal 1° settembre 2000 all’azienda speciale pescarese – nella quale erano state fuse le precedenti aziende municipalizzate “AMGA e “AMANUP” operanti rispettivamente nei settori del gas e dell’acqua nonché in quelli dell’autoservizio e nettezza urbana divenuta poi dall’1° gennaio 1998 Consorzio per la gestione dei servizi pubblici – contesta che le A.M. e l’A.S.P. possa essere ritenuta esente dalla contribuzione relativa a TBC, ENALOI, Assegni familiari e maternità.
Con il primo motivo del ricorso incidentale A. s.p.a. e A.M. s.p.a. denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 2, della legge n. 138 del 1943 con riferimento alla statuizione della sentenza impugnata che ha affermato il loro obbligo di versare all’INPS i contributi di malattia nonché carenza di motivazione.
Le società ricorrenti incidentali deducono altresì, in via subordinata, che, ove si dovesse accogliere l’interpretazione dell’art. 6, comma 2, sopra citato offerta dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza (Cass. SS.UU., 27 giugno 2003 n. 10232) richiamata dalla Corte territoriale, si porrebbe una questione di legittimità costituzionale della norma stessa per violazione degli artt. 2 e 3 Cost..
Osserva la Corte che il primo motivo del ricorso incidentale delle società deve essere accolto alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 82 del 2013 secondo la quale l’art. 20 (nel testo originario) del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito in legge dall’art. 1 della legge 6 agosto 2008, n. 133 – che ha introdotto una nuova disciplina del contributo previdenziale relativo all’assicurazione contro le malattia, stabilendo (innovando rispetto al diritto vivente) la non debenza dei contributi di malattia da parte dei datori di lavoro che corrispondono ai propri dipendenti il trattamento di malattia mantenendo fermi i pagamenti (indebiti) eventualmente già eseguiti a tale titolo da quei datori di lavoro – ha dichiarato il predetto art. 20 illegittimo, per violazione del principio di uguaglianza consacrato nell’art. 3 Cost., nella parte in cui (art. 20, comma 1, secondo periodo, originaria formulazione) a fronte della non debenza della prestazione patrimoniale di cui trattasi, prevede l’irripetibilità di quanto sia stato versato nell’apparente adempimento della (in realtà inesistente) obbligazione.
In via conseguenziale, poi, la Corte cost., con la sentenza in parola, ha dichiarato, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, la illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, secondo periodo, del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall’art. 18, comma 16, lettera b) , del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito in legge dall’art. 1 della legge 15 luglio 2011 n. 111 in quanto tale norma, spostando dal 31 dicembre 2008 al 30 aprile 2011 il termine finale del periodo di tempo al quale si riferiscono i contributi i cui versamenti (seppur non dovuti) restano comunque acquisiti all’INPS, si pone in un rapporto di inscindibile connessione con quella dichiarata costituzionalmente illegittima e allo stesso modo si pone in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., perché a fronte della non debenza della prestazione patrimoniale in oggetto, prevede l’irripetibilità di quanto sia stato versato nell’apparente adempimento della (in realtà inesistente) obbligazione.
Essendo pacifico che nel periodo per cui è causa erano stati corrisposti i trattamenti di malattia ed erano stati versati all’INPS i relativi contributi, la sentenza impugnata va in parte qua cassata.
Passando all’esame del ricorso principale che riguarda i contributi per TBC, ENALOI, Assegni familiari e maternità osserva il Collegio che questa Corte già si è pronunciata, sia pure con riferimento al personale addetto al pubblico servizio di trasporto gestito dall’ente locale (Comune), con sentenza del 28 dicembre 2002 n. 18342 sancendo il principio secondo il quale “I comuni che gestiscono pubblici servizi di trasporti sono esentati dall’obbligo di pagamento all’INPS della contribuzione per TBC, disoccupazione involontaria, GESCAL ed ENAOLI, Fondo di garanzia per il t.f.r., ma sono tenuti a versare allo stesso ente i contributi di malattia e maternità, nonché – fino alla loro soppressione con la legge 23 dicembre 1998 n. 448 – per asili – nido”.
Nelle predetta decisione, alla quale il Collegio ritiene di dare continuità giuridica condividendone i principi affermati, questa Corte allo scopo di precisare i termini del problema, ha proceduto all’esame della legislazione del settore, rilevando innanzitutto, che il RDL 4 ottobre 1935 n. 1827, convertito in legge 6 aprile 1936 n. 1155, sul perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza, riservò all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale la gestione delle assicurazioni obbligatorie, ma allo stesso tempo ebbe cura di segnare una netta distinzione tra il settore pubblico e quello privato, disponendo all’art. 38 n. 2 che non sono soggetti alle assicurazioni obbligatorie per l’invalidità e per la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria gli operai, agenti e impiegati delle amministrazioni statali, comprese quelle ad ordinamento autonomo, delle province, dei comuni e delle istituzioni pubbliche di beneficenza.
Tale assetto, si è osservato nella predetta sentenza, venne in parte modificato per effetto della legge 29 ottobre 1971 n. 889 – contenente norme in materia di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di trasporto – con la quale venne introdotto l’obbligo della iscrizione all’apposito Fondo, tra gli altri, del personale effettivo o adibito in modo continuativo ai pubblici servizi di trasporto gestiti in economia o mediante aziende speciali da comuni, province, regioni o loro consorzi (art. 4) .
A carico del Fondo veniva poi posto il trattamento, espressamente definito sostitutivo dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti di cui al RDL 4 ottobre 1935 n. 1827 (art. 2).
È evidente, quindi,si è sottolineato nella richiamata pronuncia, che alla ripartizione generale pubblico-privato, contenuta nel RDL 1827, venne apportata un’eccezione, relativamente ai dipendenti, dei quali si è fatto cenno in precedenza, ma limitata alla sola assicurazione generale obbligatoria.
Ciò premesso questa Corte ha ritenuto che per quanto concerne la contribuzione TBC e disoccupazione involontaria, nulla è dovuto dai Comuni a tale titolo per espressa previsione dell’art. 38 RDL 4 ottobre 1935 n. 1827 (Cfr., sull’esenzione di tale obbligo, Cass. 27 ottobre 1988 n. 5820) .
Con riferimento, poi, alla formulazione dell’art. 2 DPR 26 aprile 1957 n. 818, il quale dispone che alla contribuzione ENALOI non sono tenuti i comuni, questo giudice ha asserito la non debenza della contribuzione di cui trattasi.
Per i contributi di maternità si è, invece ritenuta, la sussistenza dell’obbligo del versamento dei relativi contributi sul rilievo che, a seguito della istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (L. 23 dicembre 1978 n. 833) e della soppressione dei precedenti enti mutualistici (L. 29 giugno 1977 n. 349), ai sensi degli artt. 74 e 78 della legge 833 vanno versati all’INPS i contributi in precedenza destinati agli enti soppressi (Cass. 5 agosto 1999 n. 8443 e Cass. 18 novembre 1995 n. 11935).
Quanto agli assegni familiari disponendo l’art. 33 del DPR 30 maggio 1955 n.797 che le aziende municipalizzate provvedono all’applicazione delle norme sugli assegni familiari nei riguardi dei propri dipendenti ai sensi delle disposizioni del presente testo unico, non può che inferirsi, a parere del Collegio, la non debenza di tale contribuzione provvedendovi direttamente l’azienda stessa.
Né il richiamo dell’INPS agli artt. 42 e 43 del predetto DPR 30 maggio 1955 n.797, può indurre a diverse conclusioni, riguardando dette disposizioni le modalità per l’erogazione degli assegni e la riscossione dei contributi e non le misure degli assegni e dei contributi cui si riferisce il citato art. 33.
Al su riportato quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento va aggiunto che questa Corte ha più volte ribadito il principio secondo il quale “il disposto dell’art. 38 R.D.L. 4 ottobre 1935 n. 1827- che esclude dall’assicurazione TBC e disoccupazione involontaria gli operai, agenti ed impiegati dell’amministrazione statale, comprese quelle ad ordinamento autonomo, delle province, dei comuni e delle istituzioni di pubblica beneficenza purché ad essi sia assicurato un trattamento di quiescenza o di previdenza – trova applicazione anche per i dipendenti di un consorzio comunale; la suddetta norma è infatti suscettibile di un’interpretazione estensiva che consente di includere tra i destinatari della prevista esenzione dall’obbligo assicurativo i dipendenti di enti pubblici non compresi tra quelli espressamente elencati, ma per i quali ricorrono gli stessi elementi che giustificano l’esenzione in relazione alla “ratio” della norma, diretta ad evitare il cumulo del trattamento obbligatorio previdenziale I.N.P.S. con analoghi trattamenti a carico di altri enti” (Cass. 31 dicembre 1993 n. 12959 e Cass. 26 agosto 1993 n. 9056).
Tanto comporta, condividendo questo Collegio l’orientamento sopra richiamato – dal quale non vi è alcuna valida ragione per discostarsi – che l’esenzione di cui trattasi, sussistendo i presupposti, è senz’altro applicabile all’azienda speciale pescarese -nella quale erano state fuse le precedenti aziende municipalizzate “AMGA e “AMANUP” operanti rispettivamente nei settori del gas e dell’acqua nonché in quelli dell’autoservizio e nettezza urbana divenuta, poi, dall’1° gennaio 1998 Consorzio per la gestione dei servizi pubblici.
Né va sottaciuto che questa Corte, più di recente, ha ribadito che ai sensi dell’art. 38 del RDL n. 1827 del 1935 i dipendenti comunali non sono soggetti all’assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi, ed usufruiscono di una specifica disciplina del trattamento di quiescenza, restando irrilevante l’eventuale pagamento all’INPS da parte del Comune di contribuzioni cosiddette minori, compresa quella per la tubercolosi, atteso che il pagamento dei contributi, se avvenuto indebitamente, non determina la costituzione di un rapporto assicurativo nell’ambito della previdenza obbligatoria (Cass. 26 ottobre 2007 n. 22627).
Il secondo motivo del ricorso indentale, con il quale le società, deducendo nullità della sentenza in relazione all’art. 156, 2° comma e, in subordine, 112 cpc, rilevano che la Corte di appello, quanto alla prescrizione dell’azione di ripetizione per contributi CUAF, mentre in motivazione riteneva l’operatività del termine decennale sancendo il diritto alla ripetizione di detti contributi dal 13 settembre 1990,in dispositivo ometteva di riportare il relativo decisum, è fondato in quanto effettivamente alla statuizione in proposito contenuta nella parte motiva, non corrisponde alcun dictum nel dispositivo. Orbene poiché nel rito del lavoro in caso di non corrispondenza tra dispositivo e motivazione prevale il primo e non essendovi ragioni per non avallare – quanto alla questione in esame – l’assunto in parte motiva del termine di prescrizione da applicare la sentenza impugnata va in tal senso integrata nel dispositivo.
Sulla base delle esposte considerazioni in accoglimento parziale del ricorso principale e di quello incidentale la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello indicata in dispositivo che si atterrà ai principi sopra enunciati.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi accoglie quello incidentale ed in parte quello principale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Bologna.
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