Corte di Cassazione sentenza n. 27267 del 10 luglio 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO – OMESSA PROTEZIONE DALLE APERTURE PROSPICIENTI IL VUOTO CON PARAPETTO E TAVOLA FERMAPIEDE – RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO – SOCIETA’ EDILE
massima
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Vi è la responsabilità del legale rappresentante di una società di costruzioni per il reato di cui agli artt. 68 e 77 del D.P.R. 164/1956, ossia per aver omesso di proteggere in un cantiere, con parapetto e tavola fermapiede, le aperture prospicienti il vuoto esistenti in vari punti dei fabbricati in corso di costruzione.
Integra la fattispecie criminosa (Cass. pen., Sez. III, 05/05/2010, n. 26754), pur dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 81/2008 (cosiddetto T.U. sulla sicurezza), la violazione della prescrizione secondo cui gli impalcati ed i ponti di servizio, le passerelle, le andatoie, che siano posti ad un’altezza maggiore di 2 metri, devono essere provvisti su tutti i lati verso il vuoto di robusto parapetto e in buono stato di conservazione (art. 27 del D.P.R. 547/1955) nonché la violazione degli obblighi del datore di lavoro nell’uso di attrezzature per lavori in quota (art. 68, comma 1, del D.P.R. 164/1956) e dell’obbligo del datore di lavoro di adottare le misure necessarie affinché i lavoratori siano salvaguardati da tutti i rischi di natura elettrica connessi all’impiego dei materiali, delle apparecchiature e degli impianti elettrici messi a loro disposizione (art. 69, comma 1, del D.P.R. 164/1956), in quanto sussiste continuità normativa tra le abrogate previsioni e le corrispondenti disposizioni, oggi ispettivamente contemplate agli artt. 126, 111 e 80 del D. Lgs. 81/2008.
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Fatto
1. – Con sentenza dell’11 marzo 2008, il Tribunale di Bari ha condannato l’imputato alla pena della sola ammenda in relazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articoli 68 e 77, per avere omesso, quale legale rappresentante di una società di costruzioni, di proteggere in un cantiere, con parapetto e tavola fermapiede, le aperture prospicienti il vuoto esistenti in vari punti dei fabbricati in corso di costruzione.
2. – Avverso la sentenza – ed avverso l’ordinanza dell’11 marzo 2008, con la quale era stata rigettata la richiesta di concessione di un termine per provvedere all’estinzione del reato – l’imputato ha, tramite il difensore, proposto impugnazione qualificata come appello, anche con la presentazione di motivi aggiunti, rilevando: 1) la mancanza di prova della notifica all’imputato stesso della comunicazione avente ad oggetto la facoltà di provvedere al pagamento della sanzione amministrativa con effetto estintivo del reato, ai sensi del Decreto Legislativo n. 758 del 1994, articoli 20 e 21; 2) l’insufficienza e contraddittorietà della prova della responsabilità penale; 3) la sproporzione ed eccessività della pena irrogata; 4) l’avvenuta depenalizzazione del reato ad opera del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 304.
3. – Con ordinanza del 16 maggio 2011, la Corte d’appello ha disposto la trasmissione del fascicolo a questa Corte, dovendosi qualificare l’impugnazione come ricorso per cassazione, in quanto proposta contro una sentenza inappellabile.
Diritto
4. – L’impugnazione proposta – da qualificarsi come ricorso per cassazione, in quanto proposta contro una sentenza di condanna alla sola ammenda, inappellabile ai sensi dell’articolo 593 c.p.p., comma 3, – è inammissibile.
4.1. – Quanto alla dedotta mancanza di prova della notifica della comunicazione avente ad oggetto la facoltà di provvedere al pagamento della sanzione amministrativa al fine di estinguere il reato, ai sensi del Decreto Legislativo n. 758 del 1994, articolo 21, dall’ordinanza dell’11 marzo 2008, dalla sentenza e dalla documentazione in atti emerge che la comunicazione in questione è stata regolarmente effettuata a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno.
Il primo motivo di ricorso risulta, dunque, manifestamente infondato.
4.2. – Del pari manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso, con cui si contesta la motivazione circa la sussistenza della responsabilità penale, sul rilievo che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 68 dovrebbe essere interpretato nel senso che esso si applica solo ad impalcature che si trovano ad altezza superiore a metri 0,50 da terra.
Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il richiamato articolo 68 non contiene alcun riferimento all’altezza delle impalcature, limitandosi a prevedere che le aperture nei muri prospicienti il vuoto o vani che abbiano una profondità superiore a metri 0,50 devono essere messa in sicurezza.
4.3. – Il terzo motivo di ricorso, relativo alla pena, è genericamente formulato, perchè costituito da mere asserzioni del tutto prive di riferimenti concreti alla motivazione della sentenza; motivazione che, peraltro, appare pienamente sufficiente e logicamente coerente, facendo conseguire il trattamento sanzionatorio alla gravità del fatto, come descritto nella stessa sentenza, e all’incensuratezza dell’imputato.
4.4. – Manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso, con cui si sostiene l’avvenuta depenalizzazione del reato ad opera del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 304. La fattispecie è infatti riprodotta, con identica formulazione, negli articoli 146 e 159 di tale ultimo decreto legislativo.
5. – Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
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