Corte di Cassazione sentenza n. 34383 del 20 settembre 2011
SICUREZZA SUL LAVORO – INIDONEITÀ DELLE PROTEZIONI DI UN TORNIO ED EVOCATA COLPA DEL LAVORATORE – LAVORATORE – ATTREZZATURE DA LAVORO
massima
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Vi è la responsabilità di un datore di lavoro per infortunio ad un lavoratore che, intento a lavorare su un tornio in rotazione, toltosi gli occhiali di protezione, era stato colpito da un truciolo espulso dal tornio, che lo attingeva all’occhio provocandogli le lesioni per cui è processo.
L’addebito veniva principalmente ravvisato nella inidoneità delle protezioni del tornio, sul rilievo che quelle in plexiglass di cui il macchinario era munito, non erano complete e non impedivano la proiezione all’esterno dei trucioli.
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Fatto
C.B. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, lo ha ritenuto colpevole, quale datore di lavoro, di un infortunio occorso al lavoratore T. B..
Questi, mentre era intento a lavorare su un tornio in rotazione, toltosi gli occhiali di protezione perché impegnato a rimuovere alcuni residui di metallo trucioli caduti a terra, era stato colpito, secondo la ricostruzione operata in sede di merito, da un truciolo espulso dal tornio, che lo attingeva all’occhio provocandogli le lesioni per cui è processo.
Così ricostruito in fatto l’infortunio, l’addebito veniva principalmente ravvisato sulla inidoneità delle protezioni del tornio, sul rilievo che quelle in plexiglass di cui il macchinario era munito, non erano complete e non impedivano la proiezione all’esterno dei trucioli uno dei quali, come detto, veniva indicato come causa dell’occorso; ciò che era ritenuto dimostrato anche dal fatto che l’infortunato, al momento dell’incidente, era proprio intento a pulire i residui del macchinario presenti in terra.
Con il ricorso si articolano tre motivi, in realtà connessi e meritevoli di trattazione unitaria.
Si sostiene che il giudice di merito non avrebbe tenuto conto della posizione e degli obblighi comportamentali dell’operaio infortunato, il quale risultava essersi tolto gli occhiali di protezione, che, se indossati, avrebbero impedito l’accadimento del sinistro.
Lo stesso operaio, che si sostiene gestisse da solo il tornio, era tenuto a porre le adeguate protezioni dopo l’inserimento del pezzo da tornire e prima di rimettere in moto la macchina.
Illogicamente la sentenza di appello aveva rigettato la richiesta di perizia che avrebbe risposto alla questione decisiva avente ad oggetto l’asserita inidoneità del tornio di espellere residui alla distanza alla quale si trovava il lavoratore: da ciò il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 2, lett. d), per mancata assunzione di una prova decisiva. Semplicistica sarebbe stata la riposta della corte di merito, che si era limitata a smentire gli argomenti del ct. posti a supporto della richiesta di perizia affermando che l’accaduto dimostrava proprio l’idoneità dei trucioli a raggiungere la posizione dove si trovava il lavoratore.
La ricostruzione dell’accaduto sarebbe stata operata, quindi, in modo illogico, privo di riscontro tecnico.
Diritto
Il ricorso è manifestamente infondato.
In realtà, la doglianza incentrata sul tema della responsabilità, evoca una diversa ricostruzione del fatto sulla base della ravvisata inattendibilità dell’apprezzamento probatorio sviluppato dal giudice di merito qui, a quanto consta, basato non solo sulle dichiarazioni della vittima, ma anche sugli esiti degli accertamenti del tecnico dello SPRESAL. Vale il principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, allorquando si prospetti il difetto di motivazione, l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) non consente alla Corte di legittimità una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori (Sezione 6, 6 maggio 2009, Esposito ed altro, non massimata).
Ciò che impedisce qui di dare ingresso alla questione sulla idoneità/inidoneità del tornio ad espellere i trucioli come ritenuto in sentenza e, quindi, alla questione relativa alla ricostruzione della “causa” dell’infortunio, su cui il giudicante si è adeguatamente impegnato, anche contrastando, in modo affatto illogico, le diverse conclusioni del ct. di parte.
A tal riguardo, non miglior sorte può riservarsi al profilo di doglianza relativo al mancato espletamento della perizia.
La perizia, infatti, è mezzo di prova neutro ed è sottratta al potere dispositivo delle parti, che possono attuare il diritto alla prova anche attraverso proprie consulenze. La sua assunzione è pertanto rimessa al potere discrezionale del giudice e non è riconducibile al concetto di prova decisiva, con la conseguenza che il relativo diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) e, in quanto giudizio di fatto, se assistito da adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità, anche ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) (Sezione 6, 25 novembre 2008, Brettoni, non massimata).
Qui, come detto, la ricostruzione dell’accaduto, in modo del resto conforme in primo e in secondo grado, è spiegata logicamente, in termini qui non rinnovabili.
In particolare, nessuna illogicità è rinvenibile in quel passaggio della motivazione in cui proprio dalla verificazione dell’infortunio, in assenza di valide opzioni alternative, se ne è ricondotta la causa all’espulsione del truciolo.
Inaccoglibile è il ricorso anche laddove evoca il tema della colpa del lavoratore, vuoi perchè si sarebbe tolto gli occhiali di protezione, vuoi perchè si ascrive al medesimo la rimozione degli schermi di protezione.
Basta ricordare che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore che pure volesse configurarsi, a seguire l’assunto in fatto del ricorrente non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, potendosi escludere l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità” del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento: dovendosi, al riguardo, considerare abnorme il comportamento che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; con la precisazione, però, che non può avere queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Sezione 4, 11 gennaio 2011, L’Episcopo, non massimata).
L’assorbente decisività di questo principio, giustifica la tenuta della motivazione, che pure, sul punto non si è espressamente soffermata, giacché, come è noto, il giudice dell’impugnazione non è neppure obbligato a motivare il mancato accoglimento di istanze, nel caso in cui esse appaiano improponibili sia per genericità, sia per manifesta infondatezza come nel caso di specie (cfr. Sezione 5, 9 luglio 2009, n. 40086, I., non massimata sul punto).
Segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
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