CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 ottobre 2013, n. 43444
Sequestro probatorio sui beni dell’impresa – Turni irregolari – Accertamento – Legittimità
Ritenuto in fatto
D.N.P. ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del TDL di L’Aquila emessa in data 28 febbraio 2013, con la quale è stato rigettato il ricorso avverso il decreto con cui, in data 25 gennaio 2013 il P.M. presso il Tribunale di Sulmona ha disposto il sequestro riguardanti i mezzi e i documenti relativi all’attività di lavoro svolta dai dipendenti, in relazione al reato contestato di estorsione in relazione alle attività lavorative dei medesimi.
A sostegno del ricorso il ricorrente ha dedotto:
1) Inosservanza o erronea applicazione della legge. Difetto di condizioni ed emissione e mantenimento della misura.
Il ricorrente censura la circostanza che i giudici del riesame non abbiano motivato in ordine alla sussistenza della finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti; lamenta in particolare la carenza di motivazione in ordine alla necessità di sequestro del magnete in relazione alla ritenuta possibilità di influenzare gli strumenti concernenti la circolazione del mezzo.
2) Inosservanza o erronea applicazione della legge. Mancanza dei gravi indizi di colpevolezza.
Il ricorrente lamenta l’inesistenza di gravi indizi di colpevolezza tali da giustificare l’adozione della misura cautelare reale.
3 e 4) Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità per omessa convalida del sequestro operato dalla P.G. – Mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente censura la mancanza di motivazione in ordine alla non avvenuta convalida da parte del P.M. dell’atto di sequestro discrezionale e con ampia delega eseguito dalla Polizia Stradale di L’Aquila.
Lamenta altresì l’omessa trasmissione da parte del p.m. al TDL di una serie di documenti a favore dell’indagato.
Ritenuto in diritto
1. Il ricorso è manifestamente infondato e i motivi dedotti possono essere trattati unitariamente.
2. Osserva la Corte che nel caso in esame deve trovare applicazione il seguente principio di diritto in base al quale il decreto di sequestro probatorio delle cose che costituiscono corpo del reato deve essere sorretto, a pena di nullità, dà idonea motivazione in ordine alla sussistenza della relazione di immediatezza tra la “res” sequestrata ed il reato oggetto di indagine, non anche in ordine alla necessità di esso in funzione dell’accertamento dei fatti, poiché l’esigenza probatoria del corpo del reato è “in re ipsa”. (Sez. 2, n. 31950 del 03/07/2013 – dep. 23/07/2013, Fazzari, Rv. 255556). Tale principio appare conforme alle disposizioni codicistiche e coerente con il prevalente orientamento di questa Corte che, partendo da S.U. 28/1/2004 n° 5876 (riv. 226711), ha più volte affermato che “anche per le cose che costituiscono corpo dì reato il decreto di sequestro ai fini di prova deve essere sorretto, a pena di nullità, da Idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti” (cfr. Cass. sez. IlI, 6/3/2013 n° 13044, riv. 255116; sez. Il, 13/7/2012 n° 32941, riv. 253658; sez. V, 7/10/2010 n° 1769/11, riv. 249740). Infatti l’art. 245 del cod. proc. pen. stabilisce al primo comma che ’’l’Autorità Giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti”. Il secondo comma stabilisce, invece, che “sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo”. Orbene dall’esame del testo della norma emerge, anche da un punto di vista grammaticale, che, in tema di sequestro probatorio, “necessarie per l’accertamento dei fatti”, sono solo le cose pertinenti al reato ; in tal caso, solo se ed in quanto necessarie a fini probatori, determinate cose potranno essere qualificate “come pertinenti al reato” e, dunque, essere oggetto del provvedimento di sequestro. Dette valutazioni non sono, al contrario, richieste per il “corpo del reato”, e, quindi, per le cose individuate dal legislatore, nel secondo comma dell’art. 253 c.p.p.; per esse in realtà il rapporto con il reato non è mediato dalla finalità della prova, ma è immediato, tant’è che in via generale ne è prevista la confisca.
Può, quindi, affermarsi che “in tema di misure cautelari reali, costituisce sequestro penale obbligatorio quello del corpo del reato che mira a sottrarre all’indagato tutte le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso, nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto e il prezzo. Sotto tale aspetto, il sequestro del corpo di reato non ha nulla a che vedere con il sequestro delle cose pertinenti al reato, che è, invece, facoltativo e presuppone la tutela delle esigenze probatorie”.
Ciò detto, va ancora precisato che “In tema di sequestro probatorio di cose costituenti corpo di reato, se è vero che non è necessario offrire la dimostrazione della necessità del sequestro in funzione dell’accertamento dei fatti, atteso che la esigenza probatoria del corpus delicti è in re ipsa, è anche vero che, ai fini della qualificazione come corpo di reato delle cose in sequestro, il provvedimento deve dare concretamente conto della relazione di immediatezza descritta nel comma secondo dell’art. 253 c.p.p. tra la res e l’illecito penale”.
Ne consegue che nel provvedimento di sequestro probatorio del corpo di reato non è sufficiente la mera indicazione delle norme di legge violate, ma occorre anche che sia individuato il rapporto diretto tra cosa sequestrata e delitto ipotizzato, e che, quindi, siano descritti gli estremi essenziali di tempo, di luogo e di azione del fatto, in modo che siano specificati gli episodi in relazione ai quali si ricercano le cose da sequestrare.
Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie ove, nel decreto di sequestro probatorio emesso dal P.M.,come emerge dalla lettura del provvedimento del TDL, e anche dagli atti del ricorso della difesa, è stato disposto il sequestro di attrezzature atte ad alterare il funzionamento dei cronotachigrafi e i documenti dell’attività lavorativa dei dipendenti, dopo aver inserito il capo d’imputazione e dopo aver così evidenziato la condotta contestata all’imputato dalla quale emergeva come il delitto di estorsione fosse riferito all’attività lavorative dei dipendenti, costretti a subire turni di lavoro irregolari, e mascherando ciò con l’alterazione dei cronotachigrafi.
Sotto questo profilo la motivazione del decreto di sequestro non può considerarsi assente e non erano necessarie ulteriori specificazioni, finalizzate ad illustrare le successive indagini che il P.M. intende porre in essere. Anche sotto il profilo del fumus le censure dedotte nel ricorso appaio assolutamente generiche, e peraltro il TDL ha con motivazione esente da censure logico giuridiche, ha esplicitato le ragioni in base alle quali la documentazione genericamente richiamata dalla difesa, da cui emergerebbero elementi a discarico del ricorrente, in realtà, in questa fase, appaiono piuttosto evidenziare elementi a carico dello stesso, ben compendiati nell’informativa della P. allegata agli atti.
3. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento e, considerati i profili di colpa emergenti dallo stesso, al versamento della somma di euro 1000,00 alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro 1000,00 alla cassa delle ammende
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