Corte di Cassazione sentenza n. 9073 del 15 aprile 2013
LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – LICENZIAMENTO – ILLEGITTIMO – MANCATA REINTEGRA – DANNO NON PATRIMONIALE – ASSIMILAZIONE ALL’INATTIVITA’ FORZOSA – LIQUIDAZIONE EQUITATIVA
massima
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Nel regime di tutela reale ex art. 18 della legge n. 300/1970 avverso i licenziamenti illegittimi, la predeterminazione legale del danno risarcibile in favore del lavoratore (con riferimento alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione) non esclude che il lavoratore possa chiedere il risarcimento del danno ulteriore (nel caso, alla professionalità) che gli sia derivato dal ritardo della reintegra, e che il giudice, in presenza della relativa prova – il cui onere incombe sul lavoratore ma che, in presenza di precise allegazioni, può essere soddisfatto mediante il ricorso alla prova presuntiva – possa liquidarlo equitativamente.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il dott. G. B. chiedeva al Tribunale del lavoro di Como nei confronti di Italia Hospital spa la condanna della detta società, che non lo aveva reintegrato nel posto di lavoro nonostante le sentenze a lui favorevoli in tutti i gradi del giudizio, a pagargli in conseguenza del licenziamento e della mancata reintegrazione, il risarcimento del danno (alla professionalità, per perdita di chance, danno biologico, danno morale ed esistenziale), nonché i contributi dovuti al Fondo pensione a norma del CCNL: resisteva la società allegando che erano state pagate tutte le retribuzioni ex art. 18.
Il Tribunale di Como con sentenza del 6.3.2008 rigettava la domanda.
La Corte di appello di Milano con sentenza del 4..2.2010, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Como ed in parziale accoglimento dell’appello del B., condannava la Italia Hospital spa al pagamento della somma di euro 35.000,00 per danno patrimoniale e alla somma di euro 50.160,00 per danno non patrimoniale, mentre respingeva la domanda concernente i contributi del Fondo.
La Corte territoriale accedeva all’orientamento della Corte di cassazione che ritiene che il lavoratore possa richiedere ulteriori danni derivanti dal ritardo nell’ottemperare all’ordine di reintegrazione disposto dal Giudice e liquidava il danno non patrimoniale in relazione all’indennità di pronta disponibilità, ore notturne e festive ed alle maggiorazioni per straordinari che il ricorrente avrebbe percepito se fosse stato tempestivamente reintegrato sino al momento del pensionamento svolgendo le ordinarie mansioni previste contrattualmente. La Corte territoriale osservava che il danno non patrimoniale emergeva da plurimi fattori come il licenziamento a soli 58 anni, l’impossibilità di effettuare interventi presso la società dalla quale era stato licenziato, la difficoltà di trovare altre occupazioni, lo stato di involontaria inattività, la situazione di stress e disagio personale subita e, alla stregua della giurisprudenza della Corte di cassazione, sull’unicità dei profili di danno non patrimoniale riconosceva il 20% della retribuzione dal momento del ricorso al Tribunale di Como a quello dell’intimato licenziamento (sottolineando anche l’analogia con la giurisprudenza sulla forzata inattività del lavoratore per fatto addebitabile al datore di lavoro). Osservava anche che il danno biologico al lavoratore emergeva da un pluralità di documenti medici.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la Italia Hospital con 4 motivi; resiste il B. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 18 L. n. 300/70. L’indennità corrisposta ex art. 18 quarto comma ha natura risarcitoria ed è volta a ristorare il lavoratore dal danno subito a causa del licenziamento e della conseguente inattività; pertanto non è configurabile un danno ulteriore che rappresenterebbe una duplicazione di quanto già ottenuto dal lavoratore.
Il motivo appare infondato alla luce dell’orientamento di questa Corte, prevalente ed in ogni caso preferibile, secondo il quale ” nel regime di tutela reale ex art. 18 L n. 300 del 1970 avverso i licenziamento illegittimi, la predeterminazione legale del danno in favore del lavoratore (con riferimento alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione) non esclude che il lavoratore possa chiedere il risarcimento del danno ulteriore (nel caso, alla professionalità) che gli sia derivato dal ritardo della reintegra e che il Giudice, in presenza della relativa prova- il cui onere incombe sul lavoratore ma che, in presenza di precise allegazioni, può essere soddisfatto mediante ricorso alla prova presuntiva – possa liquidarlo equitativamente (Cass. n. 15915/2009; Cass. n. 26561/2007; Cass. n. 10116/2002; Cass. n. 10203/2002). E’ lo stesso comportamento del datore di lavoro che non ottempera con immediatezza all’ordine di reintegrazione che lo espone ad ulteriori conseguenze sul piano risarcitorio facilmente evitabili attraverso un pronto adempimento del provvedimento di reintegrazione nel posto di lavoro. Non vi è pertanto alcuna duplicazione del risarcimento già effettuato attraverso la corresponsione delle retribuzioni dovute, in quanto l’ulteriore danno è strettamente collegato ad un comportamento omissivo datoriale solo eventuale, così come l’onere della prova del danno è a carico del lavoratore. L’interpretazione qui seguita appare senz’altro preferibile in quanto diretta, nel complesso, ad evitare che un comportamento illegittimo – come un licenziamento non assistito né da giusta causa né da giustificato motivo- possa generare una situazione di ulteriore mortificazione e compromissione della dignità della persona del lavoratore che viene privato, nonostante l’ordine del Giudice, della possibilità di reinserirsi prontamente nel mondo lavorativo e di dare il proprio contributo produttivo al benessere collettivo, con l’evidente rischio anche di un logoramento della professionalità acquisita.
Con il secondo motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18 L. 300/70: gli importi corrisposti al lavoratore a seguito di pronuncia di illegittimità del licenziamento hanno natura risarcitoria e non retributiva. Pertanto non è configurabile un danno patrimoniale. Non sussiste nel caso in esame una mora credendi.
Il motivo è infondato: la giurisprudenza prima citata riconosce il diritto del lavoratore a chiedere un danno “ulteriore” rispetto a quello corrispondente alla retribuzioni dovute ex art. 18 L. n. 300/70 e non sussistono ragioni di sorta per escludere il danno economico purché strettamente dipendente dall’inottemperanza datoriale all’ordine di reintegrazione che è fonte di eventuali altri “danni” purché specificamente provati.
Con il terzo motivo si allega l’omessa motivazione o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riguardo anche agli artt. 2727, 2728, 2729 c.c. e l’onere della prova circa la sussistenza di un danno ” ulteriore” che sia derivato dalla mancata reintegra. Non era stata offerta la prova sia riguardo il danno patrimoniale che quello non patrimoniale; non vi sono elementi per ritenere che il B. avrebbe percepito i compensi indicati ove fosse stato immediatamente reintegrato; non era stata disposta una consulenza medica diretta ad accertare l’effettivo stato di salute del B. dopo il recesso e l’ascrivibilità di malattie eventualmente sofferte alla situazione lavorativa, inoltre il B. si sarebbe dovuto attivare nel cercare altre occasioni lavorative onde contenere gli eventuali danni non patrimoniale.
Il motivo appare infondato. Circa il danno patrimoniale, ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte prima richiamata l'”ulteriore danno” derivato al lavoratore dalla mancata tempestiva reintegrazione nel posto di lavoro può essere comprovato attraverso la “prova presentiva” (Cass. n. 15915/2009) o in via equitativa (Cass. n. 26561/2007) la Corte territoriale ha osservato che se l’ordine di reintegrazione fosse stato prontamente ottemperato il B. avrebbe, svolgendo le ordinarie mansioni di lavoro, conseguito i compensi indicati per indennità di disponibilità, indennità notturna, indennità festiva, maggiorazioni per straordinario, compensi che sono stati calcolati confrontando gli statini relativi al periodo in cui il B. era in servizio con il periodo successivo. Si tratta di una motivazione congrua e logicamente coerente e correlata a dati obiettivi, non contestati sotto il profilo quantitativo nel motivo; le censure sono generiche in quanto non si allegano ragioni di sorta per le quali ciò che era pacificamente avvenuto nel periodo precedente al licenziamento non sarebbe avvenuto, secondo un giudizio di plausibilità e verosimiglianza, anche per quello successivo.
Discorso analogo si deve fare in ordine al danno non patrimoniale. La Corte territoriale ha richiamato una serie di elementi che nel loro complesso hanno determinato- in conseguenza della mancata reintegrazione del posto di lavoro- una lesione ” di interessi inerenti la persona, non connotati a rilevanza economica, ma meritevoli di tutela anche per la loro rilevanza costituzionale” che è stata complessivamente valutata alla luce della giurisprudenza di questa Corte onde evitare una duplicazione risarcitoria. Ora la Corte territoriale ha ricordato che il B. è stato licenziato all’età di 58 anni e quindi in una fascia di età nella quale è notoriamente difficile reimpostare la propria carriera, che è stato privato nonostante l’ordine di reintegra (non eseguita per ben sei anni dal momento del recesso del 2002 a quello del pensionamento nel 2008, nonostante il B. si fosse presentato più volte in Ospedale chiedendo di lavorare) della possibilità di operare nella struttura medica nella quella si era stabilmente inserito, che la notizia del licenziamento certamente aveva fatto il giro degli ambienti medici ed ospedalieri, che secondo le norme di ordinaria esperienza il recesso lo aveva sicuramente pregiudicato impedendogli di proseguire in modo lineare nel processo di aggiornamento e nell’attività chirurgica, che lo stato di forzata inattività aveva procurato un’indubbia situazione di stress e di perdita di fiducia come attestato dalla documentazione medica e della relazioni dei medici curanti. Questo complesso di ripercussioni negative su vari fronti e profili, facilmente evitabili dal datore di lavoro ove avesse tempestivamente provveduto alla pronta reintegrazione del dipendente dopo il primo accertamento giudiziario del 2003, ha – per la Corte territoriale – determinato un danno non patrimoniale (valutato come detto nel suo complesso) rapportabile a quello subito dal lavoratore che subisce una totale e forzosa inattività per colpa del datore di lavoro e che è stato liquidato- tenuto conto anche della giurisprudenza formatasi in ordine a quest’ultima situazione- nella misura del 20% della retribuzione base. Ora sul punto la motivazione appare congrua, logicamente coerente, strettamente riferita a dati provenienti dalla comune esperienza o ad emergenze documentali di ordine medico-legali, ed appare coerente con la giurisprudenza di questa Corte in ordine alla prova equitativa del danno non patrimoniale ed alla determinazione unitaria dell’entità dello stesso; per contro le censure appaiono assolutamente generiche o di merito, inammissibili in questa sede. L’ipotesi che il B., licenziato a 58 anni, potesse agilmente ritrovare altre occasioni di lavoro, nonostante la sua forzata espulsione dal luogo di lavoro e la reiterata decisione di mantenerlo inattivo nonostante l’ordine di reintegrazione emesso da più Giudici è rimasta priva di riscontri di sorta.
Con l’ultimo motivo si allega la violazione di norme di diritto e/o la falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2697 c.c. e dei principi sull’onere della prova a carico del lavoratore in caso di domanda di risarcimento di danni ulteriori a quelli riconosciuti ex art. 18 L. n. 300/70. I trattamenti retributivi riconosciuti sono variabili ed eventuali; il danno biologico ed esistenziale non risulta provato né emerge dalle consulenze di parte.
Il motivo appare infondato e reitera in sostanza quanto già allegato nel motivo precedente. La prova presuntiva in ordine al danno patrimoniale risulta offerta in base alla ricostruzione dei trattamenti percepiti prima del licenziamento e dopo la reintegrazione; non è stata indicata alcuna ragione per la quale il B., una volta reintegrato, non avrebbe potuto tornare a svolgere le mansioni precedentemente assolte. Circa il danno non patrimoniale si è detto supra: la Corte territoriale ha indicato un pluralità di elementi, anche di ordine medico-legale, che portano a ritenere una analogia con la situazione di totale inattività di un dipendente per colpa del datore di lavoro, per cui il danno è stato liquidato in via equitativa con riferimento alla giurisprudenza formatasi in ordine a tale ultima situazione, secondo una valutazione congruamente e logicamente motivata e coerente con la giurisprudenza di legittimità in ordine alla valutazione e liquidazione in via equitativa del danno non patrimoniale.
Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese di lite – liquidate come al dispositivo – seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 50,00 per spese nonché in euro 5.000,00 per compensi oltre accessori.
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