AGENZIA DELLE ENTRATE – Circolare 08 novembre 2013, n. 33/E
Deducibilità degli accantonamenti ai fondi per indennità suppletiva di clientela
INDICE
1 Premessa
2 Quadro normativo
2.1 Periodi d’imposta anteriori al 1° gennaio 1993
2.2 Periodi d’imposta successivi al 1° gennaio 1993
3 Giurisprudenza della Corte di Cassazione
3.1 Periodi d’imposta anteriori al 1° gennaio 1993
3.2 Periodi d’imposta successivi al 1° gennaio 1993
4 Prassi dell’Agenzia delle entrate
5 Gestione del contenzioso
1. Premessa
Alcune Direzioni regionali hanno chiesto chiarimenti in merito alla gestione delle controversie nelle quali siano in discussione rilievi fondati sulla indeducibilità, per competenza, degli accantonamenti ai fondi per indennità suppletiva di clientela, spettante ai sensi dell’art. 1751 del codice civile agli agenti di commercio in occasione della cessazione del rapporto di lavoro.
2. Quadro normativo
L’articolo 105, comma 1, del TUIR consente la deduzione dal reddito d’impresa degli “accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente…nei limiti delle quote maturate in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolamentano il rapporto di lavoro…”; il successivo comma 4 estende la possibilità di operare accantonamenti anche in relazione “alle indennità di fine rapporto di cui all’articolo 17, comma 1, lettere c), d) e f)”, tra le quali rientra [lettera d)] anche la “indennità per la cessazione del rapporto di agenzia”, la cui disciplina civilistica si rinviene nell’art. 1751 del codice civile, il quale è stato oggetto di rilevanti modifiche introdotte a decorrere dal 1° gennaio 1993, ad opera dell’art. 4 del D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303.
2.1 Periodi d’imposta anteriori al 1° gennaio 1993
Nella formulazione in vigore fino al 31 dicembre 1992, l’articolo 1751, comma 1 del codice civile disponeva che “All’atto dello scioglimento del contratto a tempo indeterminato, il proponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità proporzionale all’ammontare delle provvigioni liquidategli nel corso del contratto e nella misura stabilita dagli accordi economici collettivi, dai contratti collettivi, dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità”.
L’accordo economico collettivo degli agenti di commercio, richiamato dalla predetta disposizione, nelle sue formulazioni che si sono succedute nel tempo (NOTA 1) suddivide l’indennità di cessazione del rapporto di agenzia in tre distinti emolumenti: “indennità di risoluzione del rapporto”; “indennità suppletiva di clientela” e “indennità meritocratica”. Il medesimo accordo specifica altresì che l’indennità suppletiva di clientela è corrisposta all’agente o rappresentante direttamente dalla ditta preponente solo a determinate condizioni, ossia “se il contratto a tempo indeterminato si scioglie ad iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all’agente o rappresentante”; tale indennità è calcolata “sull’ammontare globale delle provvigioni per le quali è sorto il diritto al pagamento per tutta la durata del rapporto in favore dell’agente o rappresentante, anche se le stesse somme non sono state interamente corrisposte al momento della cessazione del rapporto”.
In sintesi, quindi:
– l’art. 1751, senza sottoporre direttamente l’erogazione dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia a condizioni, faceva rinvio alla contrattazione collettiva per la determinazione della sua “misura”;
– la contrattazione collettiva distingueva, all’interno dell’unitaria categoria della “indennità di cessazione del rapporto di agenzia”, una particolare sottocategoria (“indennità suppletiva di clientela”) la cui erogazione era sottoposta a specifica condizione (“se il contratto a tempo indeterminato si scioglie ad iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all’agente o rappresentante”).
2.2 Periodi d’imposta successivi al 1° gennaio 1993
Nella nuova formulazione l’art. 1751 disciplina in modo unitario l’indennità di fine rapporto spettante agli agenti di commercio, senza più rinviare alle previsioni del contratto collettivo di categoria.
Secondo l’attuale formulazione, “All’atto della cessazione del rapporto, il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità se ricorrono le seguenti condizioni:
– l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;
– il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.
L’indennità non è dovuta:
– quando il preponente risolve il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto;
– quando l’agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all’agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell’attività;
– quando, ai sensi di un accordo con il preponente, l’agente cede ad un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto d’agenzia.
L’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione.
La concessione dell’indennità non priva comunque l’agente del diritto all’eventuale risarcimento dei danni.
L’agente decade dal diritto all’indennità prevista dal presente articolo se, nel termine di un anno dallo scioglimento del rapporto, omette di comunicare al preponente l’intenzione di far valere i propri diritti.
Le disposizioni di cui al presente articolo sono inderogabili a svantaggio dell’agente.
L’indennità è dovuta anche se il rapporto cessa per morte dell’agente”.
In sintesi, quindi, l’art. 1751:
– disciplina l’indennità di cessazione senza operare più alcun riferimento ad altre fonti, costituendo pertanto l’unica fonte normativa in ordine alla relativa disciplina;
– non ripropone la distinzione (prevista dalla contrattazione collettiva) tra “indennità di risoluzione del rapporto”, “indennità suppletiva di clientela” e “indennità meritocratica”), fornendo quindi una nozione unitaria e compiuta dell’indennità di cessazione;
– fornisce una disciplina unitaria della “indennità di cessazione del rapporto di agenzia” sottoponendola a determinate condizioni.
Nell’attuale quadro normativo, in conclusione, sono deducibili, ai sensi del richiamato art. 105 del TUIR, gli accantonamenti per “indennità per la cessazione di rapporti di agenzia” di cui all’art. 17, comma 1, lettera d) del TUIR, i quali sono disciplinati in via esclusiva ed unitaria dall’art. 1751 del codice civile.
3 Giurisprudenza della Corte di Cassazione
3.1 Periodi d’imposta anteriori al 1° gennaio 1993
Con riferimento al previgente testo dell’art. 1751, anteriore alla modifica del 1993, la Corte di Cassazione, dopo essersi pronunciata per la deducibilità degli accantonamenti per indennità suppletiva di clientela,(NOTA 2) ha successivamente mutato orientamento nel senso di ritenere che i predetti accantonamenti non fossero deducibili.
In particolare, nella sentenza 16 maggio 2003 n. 7690 (NOTA 3) la Corte ha rilevato che “l’indennità suppletiva di clientela (…) è caratterizzata dalla mera eventualità dell’obbligo del preponente alla sua corresponsione, condizionata … alla ricorrenza della ipotesi che il contratto di agenzia si sciolga “ad iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all’agente”: e ciò, a differenza dell’indennità di cui all’art. 1751 c.c. … alla cui corresponsione il preponente è, in ogni caso, obbligato per legge” (NOTA 4).
Conseguentemente ha affermato che “l’indennità in questione – in quanto connotata, per la disciplina collettiva che la regola, dall’incertezza dell’obbligo del preponente alla sua corresponsione – costituisce, in pendenza del rapporto di agenzia, un costo meramente eventuale sia nell’ “an” che nel “quantum” e, come tale, (non accantonabile fiscalmente e, quindi) non deducibile dal reddito d’impresa, manifestando, invece, la qualità di componente negativo deducibile solo nell’esercizio in cui venga concretamente corrisposta”.
Nella successiva sentenza del 24 novembre 2006, n. 24973 i giudici di legittimità hanno inoltre affermato che la diversa tesi favorevole alla deducibilità dell’accantonamento relativo all’indennità suppletiva “non considera che il primo comma del D.P.R. n. 917 del 1986, Art. 70, (ora art. 105, c. 1 del Tuir), consente la deducibilità soltanto delle “quote maturate nell’esercizio” e che l’indennità in questione … non matura affatto in costanza di rapporto”, e quindi, non tiene conto che “la natura aleatoria” dell’erogazione in questione (…) esclude la possibilità di considerare come “maturata” nell’anno una qualche quota della stessa”.
3.2 Periodi d’imposta successivi al 1° gennaio 1993
Più di recente la Corte di Cassazione, affrontando la questione della deducibilità dell’accantonamento per “indennità suppletiva di clientela” alla luce della modifica normativa intervenuta a decorrere dal 1° gennaio 1993 (che ha riformulato, come illustrato nel paragrafo precedente, l’articolo 1751 del codice civile), ne ha riconosciuto la deducibilità (Cass. 11 giugno 2009, nn. 13506, 13507, 13508).
In particolare, nelle citate pronunce la Corte ha evidenziato che le precedenti sentenze contrarie alla deducibilità del predetto accantonamento muovendo “da un diverso presupposto normativo e di fatto, non contrastano… obbiettivamente con la presente decisione”. Tali sentenze riguardavano invero controversie riferite a periodi di imposta anteriori alla data di entrata in vigore della modifica normativa dell’art. 1751 c.c, nei quali “le indennità di fine rapporto potevano dirsi effettivamente distinte, nei termini sopra indicati (NOTA 5), non essendo ancora entrata in vigore (1.1.1993) la menzionata modifica dell’art. 1751 c.c. che le ha unificate, rendendo così univoca, nel senso della deducibilità dell’accantonamento, l’interpretazione delle norme fiscali”.
Con riferimento invece alla formulazione della norma in vigore dal 1° gennaio 1993 i giudici hanno evidenziato che “poiché l’art. 1751 c.c. contiene ormai l’intera disciplina dell’indennità di fine rapporto dell’agente di commercio – essendo caduta, per effetto della modifica normativa suddetta, la distinzione fra “indennità di scioglimento del contratto”, obbligatoria perché di origine codicistica, e “indennità suppletiva di clientela”, sorgente da contrattazione collettiva e fruibile solo a determinate condizioni (fra le tante, Cass. nn. 2126/2001, 4586/1991) -, l’espressione “indennità per la cessazione di rapporti di agenzia”, contenuta nell’art. 16, comma 1, lett. d), T.U.I.R., (ora art. 17, comma 1, lett. d del Tuir) ha portata estesa, senza ulteriori distinzioni, alla materia regolata dalla citata norma del codice. Né l’interprete può escludere – anche se la norma sia di stretta e rigorosa interpretazione – ciò che il legislatore non ha inteso esplicitamente escludere”.
Sulla base delle predette considerazioni i giudici hanno infine affermato che “a fronte della chiara lettera normativa, e della conseguita unitarietà del trattamento di fine rapporto dell’agente di commercio, l’esclusione della deducibilità dell’accantonamento, fondata sul carattere aleatorio dell’indennità in parola, non convince: anche i fondi di previdenza del personale, cui si riferisce l’art. 70, comma 1, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (ora art. 105 del Tuir) e, in genere, tutti gli accantonamenti per rischi, … , contemplano spese di carattere aleatorio senza che, per questo, se ne possa desumere, contra legem, l’indeducibiltà”.
Tale orientamento può ritenersi confermato dalla sentenza dell’11 aprile 2011, n. 8134, nella quale la Cassazione ha ribadito che “in tema di determinazione del reddito d’impresa, il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 70 (vecchia numerazione: ora art. 105) – il quale disciplina la deducibilità fiscale degli accantonamenti per le indennità di fine rapporto – trova applicazione anche all’indennità suppletiva di clientela, spettante agli agenti, dovendo quest’ultima ritenersi compresa tra le “indennità per la cessazione di rapporti di agenzia” cui fa riferimento l’art. 16, comma 1, lett. d), del medesimo D.P.R., richiamato dall’art. 70 cit., comma 3: detta locuzione va infatti riferita a tutta la materia regolata dall’art. 1751 cod. civ., il quale contiene ormai l’intera disciplina dell’indennità di fine rapporto dell’agente di commercio, essendo venuta meno, per effetto del D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303, art. 4 (di esecuzione della direttiva 86/653/CEE) ogni distinzione fra “indennità di scioglimento del contratto” (obbligatoria perché di origine codicistica) ed “indennità suppletiva di clientela” (derivante dalla contrattazione collettiva e fruibile solo a determinate condizioni), e non potendosi escludere la deducibilità dei relativi accantonamenti in virtù del carattere aleatorio dell’indennità in parola”.
Nella più recente pronuncia del 4 aprile 2013, n. 8288 la Suprema Corte sottolinea che “La giurisprudenza di questa Corte, in effetti, è oramai giunta a ritenere, sul presupposto della “unificazione”, da parte dell’art. 1751 c.c., riformato, di tutte le indennità di cessazione rapporto – e al di là del carattere eventuale dell’indennità di clientela, questa soltanto dovuta in caso di scioglimento del contratto a tempo indeterminato ad iniziativa del preponente per fatto non imputabile all’agente – che anche la ridetta convenzionale indennità suppletiva di clientela rientri nella previsione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 70, applicabile ratione temporis (trasfuso nel vigente art. 105 TUIR), che prevedeva la deducibilità delle indennità inerenti la cessazione del rapporto d’agenzia nei limiti “delle quote maturate nell’esercizio” (Cass. n. 13506 del 2009)”.
Nelle richiamate sentenze la Suprema Corte afferma quindi che la deducibilità degli accantonamenti non può più essere negata in relazione “al carattere aleatorio dell’indennità”; né appare possibile fondare l’indeducibilità sull’insussistenza dei requisiti di certezza e determinabilità fissati dall’art. 109 TUIR. Al riguardo l’Avvocatura Generale dello Stato, in sede consultiva, ha precisato che “il dubbio potrebbe prospettarsi in considerazione del connotato di eventualità che caratterizza la componente costituita dalla indennità suppletiva di clientela …: senonché da un lato va osservato che il principio enunciato nel richiamato co. 1 dell’art. 109 è destinato ad operare in quanto “le precedenti norme della presente sezione non dispongono diversamente” (e come si è accennato il precedente art. 105 contenuto nella stessa sezione concerne e disciplina specificamente gli accantonamenti relativi alle indennità che trovano causa nella fine del rapporto anche di agenzia); e d’altro lato, che per natura loro propria, gli accantonamenti (pur fiscalmente deducibili per competenza nei casi e nei limiti fissati dalla legge) in quanto anticipano all’esercizio una quota di costo destinato a verificarsi in futuro hanno necessariamente alla loro base un elemento previsionale e probabilistico (e non già certo o oggettivamente determinabile nel suo ammontare) come si desume anche dagli artt. 106 e 107 del TUIR e, in definitiva, pure dall’ultimo comma dell’art. 105 il quale, come più volte ribadito, consente espressamente l’accantonamento per indennità di fine rapporto di agenzia” (parere del 02.10.2013 n. 391527).
4. Prassi dell’Agenzia delle entrate
In relazione all’accantonamento per indennità di cessazione del rapporto di agenzia come disciplinata dal citato art. 1751 cod. civ., nella formulazione della norma civilistica in vigore a decorrere dal 1° gennaio 1993, l’Agenzia delle entrate ne aveva sostenuto la deducibilità dal reddito d’impresa con la risoluzione 9 aprile 2004, n. 59/E; successivamente – in considerazione dell’indirizzo interpretativo espresso all’epoca dalla Cassazione (NOTA 6) – nella circolare 6 luglio 2007, n. 42, si è affermata la non deducibilità, per competenza, dal reddito d’impresa della casa mandante, degli accantonamenti effettuati per indennità suppletiva di clientela e si è ritenuta “non ulteriormente sostenibile la tesi interpretativa secondo cui l’accantonamento ai fondi per indennità di cessazione del rapporto di agenzia, valorizzato nelle sue diverse componenti (indennità di risoluzione, indennità suppletiva e, se ne ricorrono i presupposti, indennità meritocratica) è fiscalmente deducibile nei limiti dell’importo massimo previsto dall’articolo 1751, terzo comma, del codice civile.”
5. Gestione del contenzioso
Alla luce dell’evoluzione del quadro normativo illustrato al paragrafo 1, e preso atto dell’indirizzo della Corte di Cassazione, degli orientamenti di prassi e del parere dell’Avvocatura Generale dello Stato illustrati nei paragrafi precedenti, si ritiene che le istruzioni fornite con la Circolare del 6 luglio 2007, n. 42/E restino valide esclusivamente per le controversie riguardanti accantonamenti effettuati in periodi di imposta anteriori alla data di entrata in vigore della modifica normativa dell’art. 1751 c.c. (1° gennaio 1993).
Riguardo a tali vertenze, infatti, può ancora essere sostenuta la linea interpretativa secondo cui l’indennità suppletiva di clientela – in quanto connotata, per la disciplina collettiva che la regola, dall’incertezza dell’obbligo del preponente alla sua corresponsione – costituisce, in pendenza del rapporto di agenzia, un costo meramente eventuale sia nell’an che nel quantum e, come tale, non deducibile, per competenza, dal reddito d’impresa, manifestando, invece, la qualità di componente negativo deducibile solo nell’esercizio in cui venga concretamente corrisposta.
Diversamente, per le controversie relative a fattispecie disciplinate dall’art. 1751 c.c. nella formulazione in vigore dal 1° gennaio 1993, in considerazione della oramai consolidata posizione della Corte di Cassazione richiamata al paragrafo 3.2, deve ritenersi corretta la tesi favorevole alla deducibilità, per competenza, dell’accantonamento per indennità di cessazione del rapporto di agenzia in tutte le sue componenti, senza che possa invocarsi a contrario la carenza dei requisiti di certezza e determinabilità fissati dall’art. 109 TUIR: nell’attuale quadro normativo le condizioni per la corresponsione dell’indennità di cessazione si riferiscono a tutta l’indennità di cessazione del rapporto di agenzia, di talché l’aleatorietà dovrebbe eventualmente comportare l’indeducibilità dell’intero accantonamento, in aperto contrasto con l’art. 105 del TUIR.
Pertanto, anche gli accantonamenti per l’indennità suppletiva di clientela, dovuta in applicazione della norma recata dall’art 1751 in vigore dal 1° gennaio 1993, devono ritenersi deducibili dal reddito di impresa della casa mandante, in quanto detta indennità è compresa tra le “indennità per la cessazione di rapporti di agenzia”, cui fa riferimento l’art. 17, primo comma, lettera d) del Tuir. Si invitano, quindi, le strutture territoriali a riesaminare le controversie pendenti concernenti la materia in esame e ad abbandonare – con le modalità di rito, tenendo conto dello stato e del grado di giudizio – la pretesa tributaria qualora non conforme al trattamento tributario nei termini sopra delineati, sempre che non siano sostenibili altre questioni.
Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.
—
NOTE:
(NOTA 1) Art. 10 dell’accordo del 9 giugno 1988 come modificato in data 27 novembre 1992; art. 12 dell’accordo del 26 febbraio 2002.
(NOTA 2) Cfr Cassazione 9 giugno 2003, n. 9179; 27 giugno 2003, n. 10221; secondo tale orientamento, riferito alla formulazione dell’art. 1751 ante 1993, la deducibilità dell’accantonamento relativo all’indennità suppletiva di clientela si basa sul fatto che (cfr. Cass. 10221 del 2003) “L’art. 70, comma 3 del D.P.R. n. 917 del 1986, che prevede che sono deducibili gli accantonamenti di fine rapporto di cui alla lettera d) dell’art. 16, 1° comma, del D.P.R. n. 917 del 1986, si riferisce alle indennità percepite per la cessazione del rapporto di agenzia delle persone fisiche, tra le quali rientra l’indennità suppletiva di clientela. In contrario non vale rilevare che dal contratto collettivo che disciplina detta indennità suppletiva risulta che essa non viene corrisposta sempre ma soltanto nelle ipotesi di scioglimento di un contratto a tempo indeterminato per fatto non imputabile all’agente. La natura aleatoria dell’indennità, infatti, non consentiva all’Ufficio di contestare in radice la legittimità dell’accantonamento a solo di determinare il “quantum” di quest’ultimo sulla base di criteri statistici, che tenessero conto delle probabilità di cessazione del rapporto di agenzia per fatto imputabile all’agente”.
(NOTA 3) Indirizzo confermato nelle successive sentenze 18 novembre 2005 n. 24448, 24 novembre 2006, n. 24973 e 30 gennaio 2007, n. 1910
(NOTA 4) La “indennità di cui all’art. 1751 c.c.” cui la Corte fa riferimento corrisponde alla “indennità di risoluzione del rapporto” menzionata dall’accordo collettivo.
(NOTA 5) Cioè secondo la tripartizione, desunta dalla contrattazione collettiva, tra “indennità di risoluzione del rapporto”, “indennità suppletiva di clientela” e “indennità meritocratica”.
(NOTA 6) Affermatosi a partire in specie dalla citata pronuncia 16 maggio 2003, n. 7690, poi confermata dalle sentenze 18 novembre 2005, n. 24443, 24 novembre 2006, n. 24973 e 30 gennaio 2007, n. 1910.
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