COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE CAMPOBASSO – Sentenza 07 maggio 2013, n. 68
Misure cautelari – sequestro conservativo – periculum in mora – valutazioni
Svolgimento del processo
Col ricorso in epigrafe compiutamente indicato l’Agenzia delle Entrate di Campobasso, premesso:
A) che la guardia di finanza, in esito ad una verifica fiscale, nel corso della quale erano state effettuate anche indagini bancarie, aveva notificato a B.V. un processo verbale di contestazione col quale erano state contestate violazioni alla normativa fiscale dalle quali era scaturito un debito erariale per € 228.251,30 per Irpef, Iva, Irap, addizionali e sanzioni, debito desunto da movimentazioni bancarie, versamenti e prelevamenti, ricollegabili all’attività del B.:
B) che nei fatti era ravvisabile sia il fumus boni juris, individuabile nelle indagini diligentemente condotte dalla GGFF, sia il periculum in mora, deducibile dalla scarsa consistenza del patrimonio immobiliare del debitore e nella sussistenza, quale unica garanzia all’adempimento dell’obbligazione tributaria, dei conti correnti…con il rischio che le provviste potrebbero essere deviate su altri conti intestati a soggetti compiacenti”;
sulla base di tali premesse chiedeva di essere autorizzata a procedere al sequestro conservativo, fino a concorrenza del suo credito, dei beni immobili e dei conti correnti intestati al B.
Instauratosi il contraddittorio si costituiva il B. che deduceva: 1) che l’Agenzia delle entrate aveva fatto propri i rilievi della GGFF notificandogli due avvisi di accertamenti, rispettivamente per l’anno 2009 e 2010, provvedimenti per i quali aveva presentato istanza di accertamento con adesione anche per l’anno 2011; 2) che, contrariamente a quanto apparentemente desumibile, con l’Istituto di Credito MPS egli aveva un solo rapporto di conto corrente relativo ad un finanziamento peraltro definito; 3) che con altri Istituti di Credito (come ad es. l’Unicredit) egli intratteneva rapporti non a titolo personale ma in nome e per conto confluivano gli introiti relativi ad attività svolte per conto di enti locali ed erano prelevate somme per la remunerazione dei dipendenti della società, si che un eventuale sequestro dei conti avrebbe creato difficoltà anche ai dipendenti predetti.
Il B. concludeva chiedendo che nella specie, essendo insussistenti i requisiti per disporre il sequestro conservativo, fosse rigettato il ricorso dell‘A.F., vinte le spese del giudizio.
Nella odierna udienza camerale, sentite le parti, questo giudicante ha deciso come da dispositivo.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Come è ben noto per la concessione delle misure cautelari (sequestro conservativo o ipoteca) si richiede la contestuale sussistenza del c.d. fumus boni juris e del c.d. periculum in mora.
Il primo dei detti requisiti va inteso come prognosi probabilistica e di verosimiglianza che deve essere compiuta sull’esistenza del diritto cautelando, e questo perché l’ordinamento impone una soglia di plausibilità per la pretesa di merito del ricorrente cautelare rilevabile prima facie o comunque sulla base di una cognizione sommaria al di sotto della quale il pregiudizio prospettato non potrebbe rivestire alcuna valenza di antigiuridicità.
Il secondo requisito consiste nel fondato timore del creditore di perdere le garanzie del credito vantato e la valutazione in ordine alla sua sussistenza deve essere effettuata non solo sulla base di dato oggettivi (quale ad es. la scarsa consistenza del patrimonio del debitore) ma anche in base a dati soggettivi, quale il comportamento, anche pregresso, del debitore desunto da fatti non equivoci (ad es. atti di dismissione dei propri beni) che esprimono inequivocabilmente il proposito di ridurre il proprio patrimonio per sottrarsi alle obbligazioni verso l’erario.
È da precisare che l’elemento oggettivo e quello soggettivo devono essere valutati congiuntamente in modo da integrarsi e bilanciarsi e vicendevolmente, poiché mentre una precaria situazione economica non è sufficiente a concretare il periculum in mora se difetta un comportamento soggettivo del debitore finalizzato ad aggravare la propria situazione economica, d’altra parte non deve essere autorizzata la misura cautelare nei confronti di un debitore che, pur avendo un patrimonio tale da garantire il credito, compia atti di disposizione volti a diminuire la consistenza.
Orbene nella concreta fattispecie è quanto meno dubbio il requisito del fumus boni juris, poiché salva edimpregiudicata ogni valutazione che sarà effettuata nella competente sede sugli avvisi di accertamento nelle more notificati a B., e pur senza ignorare che costui ha formulato istanza di accertamento con adesione (in tal modo riconoscendo almeno in parte la pretesa erariale) risulta documentato dallo stesso rapporto della guardia di Finanza che il B. effettuava operazioni bancarie anche per conto di terzi (la snc G. e la omonima srl).
È appena il caso di rilevare che la valutazione sulla esistenza del fumus deve essere effettuata con sufficiente rigore in modo particolare quando si tratta di autorizzare misure cautelari che, come il sequestro richiesto, sono in grado di incidere in maniera rilevante sulla attività del ricorrente, compromettendo la corresponsione delle retribuzioni dei dipendenti delle società dallo stesso amministrare.
Ma nemmeno è ravvisabile il periculum in mora, poiché, contrariamente a quanto opina la ricorrente, a tal fine non può rilevare (come in precedenza premesso) unicamente la scarsa consistenza patrimoniale del debitore, poiché una tale interpretazione dell’art. 671 c.c. sarebbe palesemente in contrasto con l’art. 3 Cost. (il sequestro potrebbe disporsi solo nei confronti di chi abbia scarso patrimonio) mentre è ben noto che alle leggi deve sempre essere data interpretazione rispettosa dei principi posti dalla carta costituzionale.
Per la sussistenza del periculum in mora si richiede invece necessariamente la dimostrazione che il debitore abbia tenuto un comportamento, anche pregresso, che induca a ritenere che possa essere dispersa la garanzia del creditore (ad es. atti di disposizione dei suoi beni).
Nel caso del B. la ricorrente non ha nemmeno indicato gli elementi in base ai quali possa fondatamente prospettarsi una tale eventualità, e tanto anche con riferimento alle provviste contenute sui conti bancari dei quali, peraltro, deve essere accertata la effettiva titolarità.
Le esposte considerazioni inducono a respingere il ricorso.
Per il principio di soccombenza di cui all’art. 15 d.lgs, n. 546/92, le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, sono a carico della ricorrente.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, spese che liquida in complessivi € 500,00 oltre quanto dovuto per legge.
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