COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA Sentenza 15 marzo 2013, n. 63
IVA – SALE & SALE BACK – INTERPOSIZIONE FITTIZIA – TRASFERIMENTO E PAGAMENTO DEL PREZZO FITTIZI – NON MERITEVOLE DI TUTELA GIURIDICA – DETRAIBILITA’ DELL’IMPOSTA – NON SUSSISTE
MASSIMA
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Nel caso in esame si è in presenza di una vera e propria operazione di finanziamento dissimulata da una compravendita dello stesso bene, senza l’impiego di capitali propri, con l’intento di ottenere profitti legati agli interessi applicati alle somme erogate, ai rimborsi spese di procedura, alle commissioni applicate sulle operazioni effettuate. Il contribuente, da parte sua, grazie al simulato riacquisto del proprio bene, si è costituito un credito IVA con conseguente danno all’Erario. Le operazioni poste in essere violano i precetti tanto dell’art. 19 che dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/72.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data 30.09.2010 l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale B.A.T. notificava, al sig. C. M., avviso di accertamento n…. per recupero a tassazione, ai sensi degli artt. 19 e 21, comma 7 D.P.R. n. 633/72, dell’imponibile di euro 72.000,00 e conseguente imposta di euro 14.400,00 per applicazione dell’aliquota I.V.A. del 20% a seguito di mancata esibizione della documentazione attestante le movimentazioni finanziarie relative alle operazioni commerciali intrattenute con le società G. s.p.a., G. s.p.a., G. s.r.l. e ditta M.R.M. La verifica fiscale prendeva origine da un simulato trasferimento di un trattore agricolo fabbricato nel 1994. Emergeva, infatti, che il C. in data 11.10.2005, avesse venduto il suddetto trattore alla società G. la quale, a sua volta, lo rivendeva allo stesso prezzo, alla G. s.p.a. con indicazione del destinatario dell’acquisto alla Sig.ra M. R.M. – coniuge del C. – che a sua volta, in data 31.12.2005, lo rivendeva allo stesso prezzo al C.M., con aggravio di euro 125,00 per spese.
Tanto portava l’Ufficio a ritenere che il trattore non fosse mai stato spostato dal locale deposito del C. e che tutta l’operazione simulata avesse come scopo quello di fornire, a quest’ultimo, una immediata liquidità non ottenibile altrimenti attraverso i normali canali bancari.
L’Ufficio, pertanto, determinava una imposta IVA dovuta dal contribuente di euro 15.899,00 oltre sanzioni.
In data 20.11.2010 il C. proponeva ricorso, chiedendo l’annullamento dell’atto impugnato, per i seguenti motivi:
1. Infondatezza nel merito dell’avviso di accertamento in quanto le compravendite rientravano in un’operazione di “sale & sale back” e che, pertanto, non sussisteva simulazione oggettiva assoluta.
2. Infondatezza nel merito dell’avviso di accertamento in quanto la ricostruzione operata dall’Ufficio era inattendibile perché basata su presupposti falsi: assoluta infondatezza della contestazione di simulazione di interposizione soggettiva;
3. Violazione del principio di autonomia privata ex art. 1322 c.c. e della libertà di iniziativa economia privata, art. 41 Cost.;
4. Nullità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 54 c. 2 D.P.R. n. 633/72, con che degli artt. 2727 e 2729 c.c. in materia di prova.
5. Violazione art. 7 L.212/00 per insufficiente e/o carente motivazione;
6. Errata interpretazione degli artt. 19, 21 e 7 e 54 D.P.R. n. 633/72;
7. Violazione del principio dell’affidamento nel funzionamento e per aver il ricorrente agito in buona fede.
Concludeva chiedendo l’annullamento dell’atto impugnato.
Con memoria depositata il 21.01.2011 l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale B.A.T., chiedeva il rigetto del ricorso, ritenendolo infondato in fatto e diritto.
Con sentenza n. 162/04/2011, depositata l’11.07.2011, la C.T.P. di Bari, ritenendo che nella operazione commerciale in esame non fossero state commesse “delle illegittimità” e che “ottenere con scopi leciti un finanziamento per potenziare l’attività della propria azienda è pienamente legittimo” accoglieva il ricorso annullamento l’avviso di accertamento.
Avverso tale sentenza, con atto regolarmente notificato e depositato il 22.11.2012, che qui si ha per conosciuto, ha proposto appello l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale BAT., chiedendone la totale riforma per i seguenti motivi.
Illegittimità della sentenza di primo grado “per violazione dell’art. 36 D.Lgs 546/92 in quanto reca motivazione illogica, errata e/o comunque insufficiente, basata su una erronea valutazione dei fatti di causa”.
L’appellante lamenta che i primi giudici non abbiano preso nella dovuta considerazione “le varie fasi delle operazione in frode accertate dall’Agenzia delle Entrate, che come precisato dallo stesso accertamento alle pagine 4 e 5 si sostanzia in un giro esclusivamente cartolare caratterizzato da emissioni di fatture secondo uno schema triangolare non supportato da relativa movimentazione materiale dei beni oggetto di compravendita, né da regolare movimentazione di mezzi finanziari”. Lamenta inoltre l’A.F., che i primi giudici non abbiano tenuto conto delle prove fornite ed in particolare che la G. s.r.l. non aveva mai avuto lavoratori dipendenti e/o collaboratori, non aveva mai puntato al profitto derivante dall’attività per la quale risulta costituita, e per non aver la stessa mai svolto “una reale attività di impresa” ed essere stata invece utilizzata solo quale “mero interposto al fine di simulare contratti di compravendita”.
Evidenzia, inoltre, come i primi giudici non abbiano correttamente valutato che le operazioni prese in esame “non supportate da valide ragioni economiche” risultassero solo “puramente strumentali all’ottenimento del finanziamento il che non giustifica la emissione da parte dei soggetti di imposta di fatture …. ” Sottolinea, poi “che le fatture emesse, ricevute e registrate sono per esplicita ammissione o riconoscimento degli stessi soggetti di imposta, avulse dalla rispettive e specifiche finalità di impresa” e pertanto vietate dalla disciplina fiscale richiamata, con la conseguenza che “l’IVA sulle fatture di acquisto è indetraibile ai sensi dell’art. 19 D.P.R. n. 633/72, mentre l’IVA applicata sulle fatture emesse è dovuta ai sensi art. 21, comma 7 dello stesso DPR”.
L’Amministrazione rileva che a seguito dell’illecita attività esercitata dalla G. s.r.l. è stata indebitamente detratta l’IVA sia da parte della G. per l’acquisto del macchinario usato, sia da parte del C. che ha riacquistato lo stesso macchinario dalla G. s.p.a.
Per ultimo sostiene che i primi giudici hanno errato anche nel ritenere carente di motivazione l’avviso di accertamento; l’accertamento è invece compiutamente motivato e tanto è provato “dallo stesso tenore articolato e consapevole del ricorso introduttivo del presente giudizio”.
Conclude chiedendo la riforma della sentenza appellata con conseguente dichiarazione di legittimità dell’avviso di accertamento impugnato.
Con memoria depositata il 31.12.12 si è costituito il C. chiedendo il rigetto dell’appello.
Preliminarmente eccepisce la inammissibilità dello stesso appello, sostenendo che non sarebbero “stati specificati ritualmente i motivi di appello”.
Nel merito ribadisce che l’accertamento impugnato scaturisce da una errata interpretazione dei fatti e degli elementi raccolti, dal momento che l’operazione presa in esame è una legittima operazione di “sale & sale back”, simile al “sale & lease back”.
A controprova della correttezza e legittimità dell’operazione vi è la circostanza che il contratto di vendita veniva depositato presso la cancelleria del Tribunale di Bari con la richiesta di trascrizione dello stesso contratto con privilegio ai sensi dell’art. 3 L. 1329/65.
Solo dopo la stipula di tale contratto, venivano emessi dalla M.M.R. cambiali con scadenza semestrale per l’importo complessivo del prezzo di riacquisto, e che, giusto mandato conferito la G. s.p.a. “curava i rapporti con la banca per la procedura di sconto dei titoli emessi da M.M.R.”.
Sostiene che corretto risulta l’operato dei primi giudici per essere l’avviso di accertamento infondato e basato su presupposti e fatti falsi e che nel caso di specie non si tratta né di contratti inesistenti né di contratti simulati.
Richiama poi i motivi tutti già proposti in ricorso ed in particolare ribadisce l’assoluta buona fede del C. che “non avrebbe potuto dubitare circa la legalità dell’operazione tenuto conto che la stessa è stata effettuata per l’intervento di due pubblici ufficiali”.
Richiama poi numerosi precedenti giurisprudenziali favorevoli al deducente.
Alla udienza del 14.01.2013, presenti il Dott. F.C. per il contribuente e per dell’Ufficio, la Dott.ssa M. F., che si sono riportati alle proprie difese, udito il relatore, l’appello è stato deciso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, in ordine alla eccezione di inammissibilità dell’appello avanzata dal C., il Collegio, ritenendola infondata e priva di pregio la respinge. Ancorché non enunciati numericamente i motivi di appello, dalla lettura dell’atto di appello risultano chiaramente delineate e formulate le censure proposte dall’Amministrazione avverso la decisione dei primi giudici. Tanto è comprovato dalle puntuali controdeduzioni punto per punto avanzate dall’appellante.
Nel merito l’appello, fondato, merita accoglimento. Il Collegio non condivide l’iter logico giuridico seguito dai giudici di primo grado, poiché non risultano adeguatamente valutati tutti gli elementi offerti dall’Ufficio.
L’atto accertativo, adeguatamente motivato e legittimamente emesso per la presenza dei presupposti ed essendo le violazioni contestate supportate da adeguati elementi di prova, va confermato.
Le argomentazioni del contribuente, volte a contestare il carattere fraudolento delle operazioni messe in atto, attribuendo alle stesse una specifica tipologia contrattuale, denominata “sale & sale back”, assimilata al contratto di “sale & lease back”, sono prive di pregio.
Il collegio osserva che con il contratto di “sale & lease back “, riconosciuto legittimo a livello internazionale, si concreta la cessione di un bene strumentale della società di leasing, perfezionata con il regolare pagamento del relativo prezzo, la consegna del titolo rappresentativo della proprietà del bene. Il bene permane nella disponibilità del cedente attraverso la stipulazione contemporanea di un contratto di locazione alla cui scadenza è previsto il diritto di riscatto. E’ una particolare tipologia di contratto di leasing con la variante che vi è coincidenza fra il soggetto che cede il bene e il locatario, per effetto di due contratti interdipendenti, giuridicamente perfezionati che permettono l’accesso a canali di finanziamento, alternativi a quelli bancari anche se, talvolta utilizzati per usufruire di una fiscalità di vantaggio.
Nel caso di specie il contribuente ha messo in atto delle operazioni prive degli elementi necessari affinché quelle possano ritenersi, sul piano giuridico, contratti di compravendita perfezionati, come risulta inequivocabilmente dalla documentazione in atti.
Il Collegio ricorda che l’art. 1470 c.c. statuisce “la vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto (1376 a segg., 1476) verso il corrispettivo di un prezzo (1448, 1473 e segg. 1498)”.
L’Ufficio ha prodotto elementi di prova da cui si evince in primo luogo che il corrispettivo della vendita del bene strumentale, effettuata dal contribuente, risulta svincolato dal valore effettivo del bene, e che lo stesso corrispettivo non è stato materialmente mai versato alla G. s.r.l. e da questa alla G. s.p.a. Il regolamento finanziario dell’operazione è avvenuto esclusivamente attraverso operazioni scritturali; inoltre, non vi è stato trasferimento del bene rimasto nella piena e unica disponibilità del contribuente.
La operazione si è concretizzata con la interposizione fittizia della società G. s.r.l. che, sulla carta, ha acquistato il bene strumentale usato, nel caso di specie obsoleto, rivendendolo allo stesso prezzo alla società G. s.p.a., che a sua volta ha provveduto alla rivendita al contribuente, senza alcuna regolare movimentazione di mezzi finanziari.
Come provato dall’Ufficio, inoltre, la società G. s.r.l. è una società cartiera priva di una sede, di dipendenti e una struttura commerciale. Il suo intervento, in assenza di ricarico nella successiva fatturazione della vendita, conferma il carattere fraudolento delle operazioni e legittima la presunzione dell’Ufficio.
E’ indubbio che l’operazione messa in atto dal contribuente “vendita con vendita di ritorno” di un bene usato, tradisca la finalità della legge, per utilizzarla, seppur con rinuncia al contributo in conto interessi a carico dello Stato, in modo strumentale per i fini non voluti dalla legge.
Il Collegio ritiene che dal punto di vista fiscale, l’anomalia dell’operazione debba ricercarsi nel fatto che la stessa si avvale strumentalmente di un documento, qual è la fattura, la cui emissione non può essere artificiosamente utilizzata al mero fine di raggiungere risultati che prescindano totalmente dagli effetti fiscali conseguenti alla emissione del documento stesso.
In altri termini la emissione della fattura, documento preordinato alla sottoposizione della operazione alla imposizione indiretta (IVA) e diretta (sui redditi che essa concorre a determinare), non è rimessa alla facoltà ad libitum dell’impresa, ma deve avere una specifica ed immediata ragione che coinvolga, in maniera diretta, il soggetto emittente e quello destinatario.
E’ innegabile che nel caso di specie le fatture non corrispondono ad un reale trasferimento del bene e che la loro emissione ha il solo scopo di creare il presupposto per procurare un finanziamento al C. e non da parte della G. s.r.l. né della G. s.p.a, ma con lo sconto degli effetti cambiari emessi.
Non vi è dubbio, allora, che le fatture fanno riferimento a trasferimenti fittizi che non meritano tutela giuridica dal punto di vista fiscale, in quanto operazioni simulate, come si desume chiaramente dalla lettura dei relativi contratti, dalla documentazione prodotta dal ricorrente e dalle sue deduzioni: il contribuente, bisognoso di liquidità e non potendo esperire con successo forme tradizionali di finanziamenti presso istituti di credito, si è prestato, consapevolmente, ad essere compartecipe di un meccanismo “artificioso” per raggiungere lo stesso fine con l’emissione e il ricevimento di fatture fittizie.
Tanto porta a ritenere che, contrariamente a quanto sostenuto dal C. nelle sue difese, lo stesso non ha agito in buona fede.
Il Collegio ritiene, quindi, che nel caso sottoposto al suo esame, si è in presenza di una vera e propria operazione di finanziamento dissimulata da una compravendita dello stesso bene, senza l’impiego di capitali propri, con l’intento di ottenere profitti legati agli interessi applicati alle somme erogate, ai rimborsi spese di procedura, alle commissioni applicate sulle operazioni effettuate. Il contribuente, da parte sua, grazie al simulato riacquisto del proprio bene, si è costituito un credito IVA con conseguente danno all’Erario. Le operazioni poste in essere violano i precetti tanto dell’art. 19 che dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/72.
Inconferente risulta poi il richiamo a precedenti giurisprudenziali ed in particolare alla decisione n. 137/09/11 della C.T.R. di Bari. Pur trattandosi di fattispecie simile, in quel caso la C.T.R. di Bari ha accolto l’appello del contribuente, in quanto l’A.F. aveva sostenuto non la simulazione, ma l’assoluta inesistenza delle operazioni. La C.T.R., infatti, ha contestato, in quella decisione, alla Agenzia delle Entrate, di essersi limitata a “contestare la inesistenza delle operazioni; avrebbe dovuto, invece, essendo evidente che i contratti posti in essere non erano finalizzati all’affettivo trasferimento del bene ma all’ottenimento di un finanziamento con risparmi di imposta, contestare l’abuso di diritto delle operazioni economiche effettuate….E’ notorio, infatti, che il divieto di abuso di diritto si traduce in un principio generale antielusivo che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere una agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di regioni economicamente apprezzabili che giustificano l’operazione … “. Alla luce delle suesposte considerazioni, il Collegio accoglie l’appello e, conseguentemente, in riforma della sentenza di primo grado, dichiara la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato relativo all’anno 2005.
Per la complessità e la particolare natura delle questioni trattate, stante anche la mancanza di univoco orientamento giurisprudenziale, sussistono giuste ragioni per la totale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio .
P.Q.M.
Nel giudizio proposto dall’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale Barletta Andria Trani, contro C. M., sub n.3164/12, avverso la sentenza della C.T.P. di Bari n. 162/04/2011, così provvede: “Accoglie l’appello e in riforma della sentenza di primo grado, dichiara la legittimità dell’avviso di accertamento con tutte le conseguenze di legge. Compensa le spese del doppio grado di giudizio”.
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