COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Lombardia sentenza n. 1552 sez. 13 depositata il 9 luglio 2020
In tema di doppia imposizione, a seguito di adesione alla procedura di volontaria collaborazione, il termine biennale per proporre l’istanza di rimborso dell’Euroritenuta decorre dalla data del pagamento delle somme dovute
Testo:
L’Agenzia delle Entrate, direzione provinciale di Pavia, proponeva appello avverso la sentenza n. 526/03/19 emessa il 5.12.2019, notificata il 23.12.2019 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Pavia, avente ad oggetto la seguente vicenda.
In data 11.9.2015, la contribuente presentava istanza di collaborazione volontaria di cui al d.lgvo n. 186 del 2014, per gli anni dal 2009 al 2013, versando interamente gli importi previsti dagli inviti a comparire notificati dall’ufficio ai sensi dell’art. 5 comma 1 bis d.lgvo n. 218/97.
Gli inviti in esame contenevano la tassazione analitica dei redditi di capitale di fonte estera cui era stata applicata, a seconda della tipologia di reddito conseguito, l’aliquota del 12,50% o quella del 20%.
Le imposte sostitutive complessivamente dovute erano pari a 55.213 euro, oltre interessi e sanzioni pari a 9.202, 17 euro.
La ricorrente sottoscriveva gli inviti al pagamento, pervenendo ad un accordo ex d. lgvo n. 218/97, pagando poi la procedura di voluntary, per godere degli effetti premiali.
Il 16.3.2018, la i, richiamando un conto corrente detenuto presso una Banca Svizzera, Banca dello Stato del Canton Ticino – sede di Lugano, intestato a L. 4. , invocava il divieto di doppia imposizione e presentava presso l’agenzia delle entrate istanza di rimborso dell’euro ritenuta operata dalla banca medesima sugli interessi da attività finanziarie, in relazione all’anno d’imposta 2013, per l’ammontare complessivo di 30.893,34 euro.
L’ufficio opponeva silenzio rifiuto, avverso il quale M. S. proponeva ricorso con istanza di reclamo/mediazione.
Stante il diniego dell’ufficio la contribuente adiva la Commissione Provinciale Tributaria di Pavia, sostenendo di aver corrisposto due vote l’importo del quale chiedeva il rimborso, una volta come euro trattenuta in misura del 35% da parte dello stato estero e poi come somme versate in seguito all’adesione alla Voluntary Disclosure.
L’ufficio si costituiva in giudizio, rappresentando la differenza tra gli istituti dell’euro ritenuta degli operatori bancari esteri ai sensi dell’art. 11 della direttiva 2003/48/CE e quello della Voluntary disclosure di cui alla legge 186 del 2014.
L’ufficio, in via preliminare, chiedeva, altresì, ai Giudici di primo grado di accertare la tardività dell’istanza, presentata il 16.3.2018, dopo oltre due anni dalla richiesta di adesione alla procedura di collaborazione volontaria dell’ ll.9.2015.
La S. depositava memoria con la quale contestava l’eccezione di tardività assumendo che la procedura suindicata si concludeva con il pagamento integrale del dovuto, pertanto, il dies a quo per il conteggio del biennio, coincideva con la presentazione dei modelli F24, avvenuta il 30.3.2016.
A tale prospettazione aderivano i Giudici di primo grado.
In sede di appello l’ufficio riproponeva l’inammissibilità del ricorso per tardività, ai sensi dell’art. 21 d. lgvo n. 546 del 1992, che indica che il termine del biennio decorre dalla data del pagamento o, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.
Secondo l’ufficio la data dei pagamenti dell’euroritenuta risaliva ai vari anni d’imposta dal 2009 al 2013, e dunque rispetto ai versamenti l’istanza di rimborso del 16.3.2018 era tardiva.
Volendo, invece, considerare quale presupposto per la restituzione della euroritenuta l’istanza di adesione alla procedura di collaborazione volontaria, il dies a quo era 1’11.9.2015 e dunque restava tardiva l’istanza di rimborso presentata nel 2018.
Passando all’esame del merito, l’ufficio contestava che si trattasse di doppia imposizione, atteso che i redditi esteri non erano mai stati dichiarati in Italia, dove non era stata versata alcuna imposta.
Ciò comporterebbe l’applicazione dell’art.165 comma 8 del d. lgvo n. 84 del 18.4.2018, che stabilisce che non può essere fatto valere il diritto alla detrazione del credito d’imposta se il reddito non è stato dichiarato.
Sosteneva, altresì, l’ufficio che nell’ambito della procedura di Voluntary disclosure si realizzasse sostanzialmente il perfezionamento di un accertamento con adesione, come tale soggetto all’applicazione dell’art. 2 comma 3 d.lgvo n. 218 del 1997, che stabilisce che tale tipo di accertamento non è soggetto ad impugnazione, né integrabile o modificabile da parte degli uffici.
La contribuente, peraltro, avrebbe potuto aderire alle deroghe previste dall’art. 13 della richiamata direttiva in materia di procedura della ritenuta alla fonte, avendo invece scelto di conservare l’anonimato, aveva perso pertanto il diritto di ottenere la restituzione di quanto dovuto.
L’ufficio concludeva, pertanto, perché si dichiarasse in via preliminare la tardività del ricorso, o, in via principale che fosse dichiarata la legittimità del silenzio rifiuto, con vittoria di spese.
Si costituiva in giudizio depositando controdeduzioni la contribuente, rilevando quanto alla tempestività dell’istanza di rimborso, che, ai sensi del già richiamato art. 21 comma 2 dl.gvo n. 546 del 1992, il presupposto successivo al pagamento in tal caso era costituito dalla doppia imposizione sullo stesso reddito, realizzatosi con il pagamento delle imposte nazionali a seguito della Voluntary disclosure, avvenuto il 30.3.2016, peraltro, in un’unica soluzione.
Passando al merito, la S. deduceva l’inapplicabilità al caso in esame dell’art. 165 comma 8 del tuir.
Ed, invero, la contribuente aveva avanzato istanza di rimborso ai sensi dell’art. 10 comma 2 d.lgvo n. 84 del 2005 di attuazione della direttiva Risparmio n. 2003/48/CE delle ritenute alla fonte subite all’estero e riversate allo Stato Italiano con le modalità previste dalla citata direttiva sui redditi di capitale di fonte estera, esclusi dall’applicazione dell’art. 165 comma 8 del tuir.
Sui predetti redditi la S., in seguito alla adesione alla Voluntary disclosure, aveva nuovamente versato imposte all’erario italiano, realizzandosi così una doppia imposizione, vietata dall’art. 14 della citata direttiva 2003/48/CE e dall’art. 10 d.lgvo n. 84 del 2005.
Il diritto al rimborso dell’ euroritenuta, peraltro, sarebbe stato recepito anche da circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 55/E del 2005.
Fuorviante sarebbe, altresì, il motivo d’appello inerente all’impossibilità di impugnare un atto di accertamento con adesione volontaria, atteso che nel caso in esame la contribuente non chiedeva il rimborso di quanto versato nell’ambito della procedura della voluntary disclosure, bensì la restituzione delle ritenute alla fonte operate all’estero e percepite dallo Stato Italiano sui redditi di capitale di fonte estera, esclusi dall’applicazione dell’art. 165 del tuir.
Su tali redditi invero, la S,, dopo l’adesione alla voluntary disclosure, aveva nuovamente versato allo Stato italiano le imposte, con conseguente doppia imposizione.
La contribuente, pertanto, concludeva per il rigetto dell’appello e la condanna alle spese di controparte.
Ritiene il Collegio che l’appello debba essere accolto e la sentenza di primo grado confermata.
Ed, invero, tempestiva deve ritenersi l’istanza di rimborso il cui termine biennale previsto dall’art. 21 d.lgvo n. 546 del 1992 decorre dalla data del pagamento delle somme dovute a seguito dell’adesione alla procedura di volontaria collaborazione, in quanto è da quel momento che si realizza la doppia imposizione.
Nel caso in esame la voluntary disclosure si era perfezionata con il pagamento integrale degli importi dovuti a titolo di imposte, interessi e sanzioni, il 30.3.2016 e l’istanza di rimborso veniva presentata il 16.3.2018, dunque nei termini.
Quanto al merito, la preclusione al recupero dell’Euroritenuta in caso di accesso alla Voluntary disclosure risulterebbe contraria all’accordo dell’Unione europea con la Confederazione elvetica, contro la doppia imposizione, e ciò violerebbe, altresì, la direttiva 2003/48/CE, che, vietando la doppia imposizione, prevede all’art. 14 che lo Stato di residenza fiscale, in questo caso l’Italia, possa sostituire il meccanismo del credito con un rimborso della ritenuta alla fonte.
Alla stregua di quanto esposto, l’appello deve essere rigettato e la sentenza di primo grado confermata.
La peculiarità della materia in esame e l’assenza di giurisprudenza consolidata sul punto giustificano la compensazione delle spese per entrambi i gradi del giudizio.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti per la definizione del procedimento; gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dalla Commissione ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.
P.Q.M.
La Commissione rigetta l’appello dell’ufficio e conferma la sentenza impugnata.
Spese compensate.