CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 11783 depositata il 4 maggio 2023

Tributi – Domanda di rimborso IRAP – Decorrenza del termine per la proposizione – Individuazione dies a quo – Versamento acconto – Metodologia storica – Tempestività della domanda – Onere della prova – Rigetto

Rilevato che

1. La contribuente chiedeva in primo grado, a seguito del silenzio-rifiuto dell’amministrazione, il rimborso dell’IRAP versata per l’anno 2006, derivante da versamento al lordo delle quote di svalutazione eccedenti il plafond dello 0,60 % del valore dei crediti risultanti a bilancio. L’adita CTP respingeva la domanda, pur riconoscendo in motivazione la fondatezza del credito, in relazione alla tardività della domanda di rimborso in quanto non rapportata alla data del versamento degli acconti, allorché la società avrebbe già avuto gli elementi necessari per ritenere l’inesistenza parziale dell’obbligo di versamento.

2. La CTR, adita dalla contribuente (e anche dall’Agenzia in via incidentale) in sede di gravame, riformava la sentenza di primo grado, ritenendo non solo la fondatezza nel merito ma altresì la tempestività dell’istanza di rimborso. Viene così proposto ricorso in cassazione affidato dall’Agenzia a due motivi. La contribuente si è costituita a mezzo di controricorso per resistere all’impugnativa.

Considerato che

1. Con il primo motivo l’Agenzia denuncia violazione del D.P.R. n. 28 ottobre 1973, n. 602, art. 38 (ndr D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38), in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c..

Assume la difesa erariale che erroneamente i giudici d’appello hanno ritenuto la tempestività dell’istanza di rimborso, posto che già nella prospettazione della contribuente era rappresentata la piena conoscenza da parte della stessa della parziale non debenza delle somme versate, non avendo la parte dedotto nel calcolo le quote di svalutazione proprio dopo aver letto il comunicato stampa dell’Agenzia del 19 giugno 2006 (che appunto negava la deducibilità). Ne’ avrebbe rilievo il fatto, allegato dalla contribuente, secondo cui il calcolo degli acconti sarebbe avvenuto in base al disposto del d.p.r. 7 dicembre 2001, n. 435, art. 17 e pertanto sulla scorta dell’entità dell’imposta corrisposta per l’anno precedente (c.d. metodologia storica), sia perché la contribuente non avrebbe provato tale circostanza, sia perché l’imposta venne calcolata presumibilmente tenendo conto dell’interpretazione della normativa anteriore, che consentiva la deduzione delle sole svalutazioni eccedenti il plafond dello 0,60 %, come da normativa allora pacificamente vigente.

1.1. Il principio cui s’ispira la legislazione in tema di decorrenza del termine per la proposizione dell’istanza di rimborso, di cui al d.p.r. n. 602 del 1973, art. 38 così come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte, è costituito dall’individuazione del relativo dies a quo col momento in cui – nell’assolvere al pagamento – il contribuente sia pienamente consapevole della non debenza della somma. Solo se ricorre tale requisito (cioè se già in quel momento il contribuente avesse la certezza della non debenza in tutto o in parte delle somme versate in acconto), il termine decorre dal momento stesso del versamento dell’acconto, mentre in diversa ipotesi – cioè allorché la non debenza emerga in sede di pagamento del saldo – è da quest’ultimo momento che decorre l’indicato termine, rimanendo invece del tutto indifferente la data della presentazione della dichiarazione.

In tale ottica, assume rilievo anche il versamento effettuato in via provvisoria (Cass., sez. un., 16/06/2014, n. 13676), perché anche in tal caso non vi è correlazione tra la struttura del calcolo dell’acconto e la contestazione che fonda la domanda di rimborso. Ed è proprio quanto allega di aver fatto la parte contribuente, in applicazione del d.p.r. n. 435 del 2001, art. 17. Rispetto a tale deduzione, peraltro, l’amministrazione eccepisce la mancata dimostrazione che proprio al versamento relativo all’importo per l’anno precedente si sia ricorsi.

Sul punto la sentenza impugnata ha ritenuto che non sarebbe concettualmente ammissibile la decorrenza del termine dalla data di versamento dell’acconto, “in ragione della natura precaria, provvisoria ed ipotetica del titolo cui l’obbligo del versamento è scaturito”, ciò in quanto “l’effettiva misura dell’obbligazione sarebbe stata determinata solo una volta eseguito il versamento a saldo, allorché era possibile verificarne i presupposti per richiedere il rimborso parziale”.

Ora, sebbene sia non rispondente ai principi espressi da questa Corte il ragionamento della CTR, in quanto parrebbe dallo stesso desumersi la concettuale impossibilità di far decorrere in ogni caso il termine dal versamento dell’acconto, è del pari evidente che nella specie la rigorosa applicazione dei principi espressi fa concludere nel senso che solo al momento del saldo vi sarebbe stata la certezza del diritto al rimborso, visto che lo stesso dipendeva da dati di bilancio, ed in particolare dall’entità dei crediti ivi annotati.

Non solo la determinazione degli acconti sulla base dell’imposta versata per l’anno precedente è resa fondata dal riferimento al d.p.r. n. 435 del 2001, art. 17 (c.d. metodologia storica), ma la difesa erariale non deduce in quale punto e come abbia la stessa eccepito l’assenza di prova circa l’entità dell’imposta per l’anno 2005, peraltro dalla stessa conosciuta perché evidentemente percepita ed oggetto di dichiarazione.

Alla luce di quanto precede, emerge come la domanda di rimborso appaia in effetti tempestivamente proposta.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 2697 e 2702 c.c., e 115, 88 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c..

Deduce infatti la difesa erariale come la decisione d’appello abbia finito per gravare impropriamente l’Agenzia dell’onere probatorio sul quantum, posto che – contestata appunto l’entità del dovuto e su tal base impostata la domanda restitutoria – la contribuente si sarebbe limitata a esporre la propria pretesa restitutoria, né l’eventuale mancata specifica contestazione del quantum, una volta contrastata la pretesa, si sarebbe potuta qualificare ai sensi dell’art. 115 c.p.c., poiché nel giudizio di rimborso il contribuente, assumendosi creditore, assume le vesti dell’attore in senso sostanziale. In ogni caso l’amministrazione aveva espressamente contestato il quantum ed in particolare l’assenza di documentazione contabile a supporto.

2.2. Il motivo è infondato.

Esso si basa sulla ritenuta mancata prova da parte della contribuente in ordine ai presupposti per ottenere il rimborso, ed in particolare alla mancata produzione dei dati contabili. Orbene la sentenza d’appello non pone a carico dell’amministrazione impropriamente l’onere della prova, ma ha anzi affermato che l’onere stesso incomba sulla parte assunta creditrice, e – sulla base di un accertamento di fatto non sindacabile in questa sede – ha ritenuto che l’onere stesso sia stato assolto, nella specie attraverso la produzione della dichiarazione, che conteneva, nel prospetto del relativo quadro RS dei diversi anni, le eccedenze delle svalutazioni formatesi, non senza aggiungere che la contribuente appartiene ad un gruppo bancario i cui bilanci sono obbligatoriamente certificati dalla società di revisione e la cui attività è soggetta alla vigilanza della Banca d’Italia.

Ne deriva che la censura si esaurisce nella ritenuta insufficienza degli elementi probatori posti a fondamento dell’accertamento di fatto che, come detto, sfugge all’esame di legittimità.

3. Il ricorso dev’essere dunque respinto, con aggravio di spese in capo alla ricorrente soccombente.

Nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, non sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, nel testo introdotto dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non potendo tale norma trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass., 29/01/2016, n. 1778).

P.Q.M.

Respinge il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 10.179,00 oltre, rimborso forfettario nel 15 % dell’onorario, Euro 200,00 per esborsi, oltre i.v.a. e c.p.a., se dovute.