La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 9243 depositata il 4 aprile 2023, intervenendo in tema di lavoro stagionale, nell’affermare, ai fini della validità dei contratti stagionali, l’obbligo della contrattazione collettiva pur parlando di punte di attività in determinati periodi dell’anno non ha tipizzato le attività che si ritengono stagionali, ha ribadito che “… nel concetto di attività stagionale possono comprendersi soltanto situazioni aziendali collegate ad attività stagionali in senso stretto, ossia ad attività preordinate ed organizzate per un espletamento temporaneo (limitato ad una stagione) e non anche situazioni aziendali collegate ad esigenze d’intensificazione dell’attività lavorativa determinate da maggiori richieste di mercato o da altre ragioni di natura economico- produttiva …”
La vicenda ha riguardato un società di capitale, datrice di lavoro, che era stata chiamata in giudizio da alcuni dipendenti per violazione della normativa sui contratti a termine e stabilire la conversione in contratto di lavoro indeterminato.
I giudici di prime cure respingevano il ricorso dei lavoratori, i quali impugnavano la sentenza di primo grado. I giudici di appello riformavano la sentenza impugnata ed accertava l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con le decorrenze e gli inquadramenti specificati per ognuno dei lavoratori.
Avverso la decisione della Corte di Appello la datrice di lavoro proponeva ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.
Gli Ermellini, nel rigettare il ricorso, evidenziano che “… L’attività stagionale è aggiuntiva rispetto a quella normalmente svolta ed implica un collegamento con l’attività lavorativa che vi corrisponde. Le fluttuazioni del mercato e gli incrementi di domanda che si presentino ricorrenti in determinati periodi dell’anno rientrano nella nozione diversa delle c.d. punte di stagionalità che vedono un incremento della normale attività lavorativa connessa a maggiori flussi. La stagionalità inoltre può essere riferita, oltre che all’attività imprenditoriale nel suo complesso, anche alla specifica prestazione lavorativa svolta dal singolo lavoratore, potendo discendere anche solo dal tipo di prestazione richiesta al lavoratore l’esigenza di una sua limitazione temporale. …”
Inoltre, aspetto più interessante, i giudici di legittimità hanno affermato che solo la contrattazione collettiva, che l’art. 5 comma 4 ter del d.lgs. n. 368 del 2001 autorizza ad individuare le attività stagionali rispetto alle quali opera la deroga al divieto di superamento del limite massimo di trentasei mesi di durata cumulativa dei contratti a termine di cui all’art. 5 comma 4 bis, deve elencare specificatamente quali sono le attività che si caratterizzano per la stagionalità.
Pertanto le attività stagionali devono essere specificatamente elencate dalla contrattazione collettiva; e che l’elenco delle attività stagionali definite dal d.P.R. 7 ottobre 1963 n. 1525 è tassativa e non suscettibile pertanto di interpretazione analogica, delle attività da considerarsi stagionali.
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