CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 giugno 2022, n. 17808
Agricoli – Operaio a tempo determinato – Indennità di disoccupazione – Salario minimo contrattuale – Denuncia di violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro – Ammissibilità limitatamente ai contratti collettivi nazionali – Esclusione dei contratti collettivi provinciali
Rilevato che
con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda dell’odierna parte ricorrente volta alla declaratoria del proprio diritto ad aver corrisposta l’indennità di disoccupazione agricola, per l’anno 2013, quale operaia a tempo determinato parametrandone il valore al salario minimo contrattuale previsto dal contratto provinciale di lavoro per gli operai agricoli e florovivaisti della medesima provincia, da maggiorarsi del c.d. terzo elemento, nonché del proprio diritto ad aver corrispondentemente accreditata la relativa contribuzione figurativa; per quanto solo rileva in questa sede, la Corte territoriale ha disatteso la tesi volta a maggiorare di una percentuale corrispondente al c.d. terzo elemento la retribuzione del contratto provinciale da assumere a base di calcolo dell’anzidetta indennità, ritenendo che il terzo elemento vi fosse già incluso; ha consequenzialmente rilevato l’infondatezza della domanda concernente la rideterminazione della contribuzione figurativa per i periodi di disoccupazione, siccome fondata su presupposti di cui aveva previamente verificato l’inconsistenza, e ha compensato le spese del grado;
ha proposto ricorso per cassazione L. C., con quattro motivi di censura. L’INPS ha resistito con controricorso;
la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis cod.proc.civ.;
Considerato che
con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonché dell’art. 49 CCNL, per gli operai agricoli e florovivaisti del 25.05.2010 e dell’art. 14 CCP, per gli operai agricoli e florovivaisti della provincia di Reggio Calabria del 14.03.2013, per avere la Corte territoriale ritenuto che il salario contrattuale indicato dal contratto collettivo provinciale cit. non dovesse essere maggiorato del 30,44% a titolo di c.d. terzo elemento, in quanto il valore della retribuzione prevista dal medesimo contratto per gli operai agricoli a tempo determinato sarebbe già stato calcolato in modo comprensivo del terzo elemento;
con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 264 del 1949, art. 32, del D.L. n. 942 del 1977, art. 3, (conv. con L. n. 41 del 1978), e della L. n. 155 del 1981, art. 8, per avere la Corte di merito rigettato la domanda volta alla consequenziale riliquidazione della contribuzione figurativa accreditatale per i periodi di disoccupazione;
con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ingiustamente rigettato l’appello e aver conseguentemente esonerato l’INPS dall’obbligo di rifonderle le spese di lite;
con il quarto motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c., per avere la Corte territoriale confermato la regolamentazione delle spese del primo grado, senza considerare che il deposito in grado di appello della dichiarazione reddituale avrebbe dovuto condurre alla rideterminazione della soccombenza nel giudizio dinanzi al Tribunale;
il ricorso è infondato;
va premesso che analoghe fattispecie sono state valutate da questa Corte e decise con diverse pronunce (v. Cass. nr. 40400 del 2021, Cass. nn. 436 e 437 del 2022 e numerose alt:re) le cui argomentazioni, condivise dal Collegio, meritano conferma integrale in questa sede;
il primo motivo è infondato;
al riguardo, si osserva che la denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro è ammissibile limitatamente ai contratti collettivi nazionali, con esclusione dunque dei contratti collettivi provinciali (così da ult. Cass. n. 551 del 2021), per i quali ultimi la censura rimane possibile, così come in genere per i contratti di diritto comune, nei limiti della violazione delle regole di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., ovvero dell’omesso esame circa fatti decisivi (giurisprudenza costante fin da Cass. n. 947 del 1962);
ciò posto, va rilevato, da un lato, che difetta il deposito integrale del CCNL richiamato a fondamento delle censure (Cass., sez.un., nr. 20075 del 2010) e dall’altro che, nel motivare il rigetto della domanda proposta da parte ricorrente, i giudici di merito non hanno affatto negato che, giusta la previsione dell’art. 49 CCNL cit., il terzo elemento debba entrare a far parte della retribuzione spettante agli operai a tempo determinato, siccome emolumento che remunera festività nazionali e infrasettimanali, ferie, tredicesima e quattordicesima mensilità, né che esso debba essere pari al 30,44% del salario contrattuale come definito dal contratto provinciale, ma hanno piuttosto ritenuto, sulla base di un’interpretazione sistematica condotta ex art. 1363 cod.civ., che la retribuzione indicata per gli operai agricoli a tempo determinato nel contratto collettivo provinciale fosse già comprensiva del terzo elemento, calcolato quale maggiorazione del 30,44% della retribuzione spettante agli operai a tempo indeterminato. E considerato che nell’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune ruolo preminente dev’essere assegnato alla regola di cui all’art. 1363 c.c., stante la natura complessa e particolare dell’iter formativo della contrattazione sindacale, la non agevole ricostruzione della comune volontà delle parti contrattuali attraverso il mero riferimento al senso letterale delle parole, l’articolazione della contrattazione su diversi livelli, la vastità e complessità della materia trattata in ragione dei molteplici profili della posizione lavorativa e, da ultimo, il particolare linguaggio in uso nel settore delle relazioni industriali, che include il ricorso a strumenti sconosciuti alla negoziazione tra parti private quali preamboli, premesse, note a verbale, ecc. (così, tra le più recenti, Cass. n. 11834 del 2009), nessuna violazione degli anzidetti canoni di ermeneutica può rimproverarsi alla sentenza impugnata;
né a diverse conclusioni potrebbe pervenirsi in ragione della plausibilità della diversa interpretazione del contratto provinciale propugnata nel ricorso per cassazione, essendosi da tempo chiarito che la censura per cassazione dell’interpretazione del contratto fatta propria dal giudice di merito non può risolversi nella mera prospettazione di un’interpretazione ritenuta più confacente alle aspettative della parte ricorrente rispetto a quella accolta nella sentenza impugnata (così Cass. n. 9950 del 2001, Cass. n. 319 del 2003, e innumerevoli successive conformi);
considerato che l’infondatezza del primo motivo determina l’assorbimento del secondo e del terzo, infondato è, anche, il quarto motivo di censura: è sufficiente sul punto ricordare che dalla previsione di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c., che fa carico alla parte, che versi nelle condizioni reddituali per poter beneficiare dell’esonero degli oneri processuali in caso di soccombenza, di rendere apposita dichiarazione sostitutiva “nelle conclusioni dell’atto introduttivo”, impegnandosi “a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell’anno precedente”, si può ricavare che l’autocertificazione allegata al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado può esplicare la sua efficacia anche nelle fasi successive, così come pure che l’interessato conserva la facoltà di rendere tale dichiarazione nei gradi successivi al primo, ove le condizioni dell’esonero fossero originariamente insussistenti e si siano concretizzate nel prosieguo del giudizio (così Cass. n. 16284 del 2011 e Cass. n. 21630 del 2013), ma non anche che la dichiarazione resa in grado successivo al primo possa valere a guadagnare alla parte, che non l’abbia allegata al giudizio di primo grado, l’esonero dalle spese di quel procedimento: a tale dichiarazione, infatti, la legge riconnette un’assunzione di responsabilità che, oltre ad essere personalissima e non delegabile al difensore (così Cass. n. 5363 del 2012 e succ. conf.), segna il punto di bilanciamento tra l’esigenza di assicurare l’effettivo accesso alla tutela di diritti costituzionalmente garantiti e quella di prevenire e reprimere gli abusi, resa palese dal rinvio dell’art. 152 disp. att. c.p.c., ai controlli della Guardia di Finanza di cui al T.U. n. 115 del 2002, art. 88; ed è evidente che tale ultima esigenza resterebbe inevitabilmente frustrata se si consentisse l’ingresso nel processo di dichiarazioni autocertificative di un passato non più suscettibile di controllo alcuno;
il ricorso, pertanto, va rigettato, nulla pronunciandosi sulle spese del giudizio di legittimità ex art. 152 att. c.p.c.;
tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.