CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 novembre 2017, n. 27791
Tributi – IVA – Imposta di registro – Compravendita immobiliare – Istanza di rimborso IVA – Termini di decadenza
Rilevato che
– M.P. Srl, esercente attività di locazione di immobili propri, in relazione ad un atto di compravendita immobiliare del 4 dicembre 2004, deduce: di aver erroneamente applicato l’iva anziché l’imposta di registro, provvedendo ai relativi versamenti dal 15 dicembre 2004; di aver, quindi, ottemperato, a fronte dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro del 21 giugno 2007, al pagamento richiesto; di aver chiesto, infine, il 7 settembre 2007, il rimborso dell’Iva indebitamente corrisposta, ricevendone risposta negativa, con le forme del silenzio-rifiuto da parte dell’Amministrazione;
– impugnato il silenzio-rifiuto, il giudice di primo grado rigettava il ricorso con decisione confermata dal giudice d’appello;
– la contribuente ricorre per cassazione con un motivo, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso;
Considerato che
– va disattesa, in primo luogo, l’eccezione di inammissibilità del ricorso per insufficiente narrazione di fatti di causa, la cui esposizione, che deve essere “sommaria”, risulta adeguata ed idonea a fornirne una sufficiente rappresentazione della vicenda e dei profili processuali;
– quanto all’eccepita inammissibilità dell’atto introduttivo per tardività atteso il decorso del termine biennale ex art. 21 d.P.R. n. 633 cit., la questione attiene, in realtà, al merito della controversia e non si traduce, in sé, in una autonoma eccezione processuale;
– l’unico motivo denuncia violazione degli artt. 19, comma 1, lett. g, e 21, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992: M.P. Srl si duole, in sostanza, che la decorrenza del termine decadenziale sia stata ancorata dal momento del pagamento dell’Iva e non dal momento in cui l’Amministrazione finanziaria ha richiesto l’imposta effettivamente dovuta;
– il motivo è infondato;
– nella vicenda in esame, infatti, il credito di rimborso nasce da una indebita applicazione di imposta (Iva in luogo dell’imposta di registro: art. 10, n. 8 bis, d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo vigente ratione temporis, per cui sono esenti dall’Iva “le cessioni di fabbricati, o di porzioni di fabbricato, a destinazione abitativa, effettuate da soggetti diversi dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltataci, gli interventi di cui all’articolo 31, primo comma, lettere c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457, ovvero dalle imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la rivendita dei predetti fabbricati o delle predette porzioni”) versata nel 2004, e pertanto, trattandosi di domanda di rimborso non rientrante tra quelle previste dall’art. 30 del d.P.R. n. 633 del 1972, rimane soggetta al termine di decadenza biennale di cui all’art. 21, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992;
– tale ultima disposizione prevede che “la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento, ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”;
– nella specie, è incontroverso che il pagamento della prima rata dell’Iva è stato effettuato nel 2004, mentre l’istanza di rimborso risale al settembre 2007, sicché il termine biennale era già decorso e la decadenza, prevista a tutela di diritti patrimoniali indisponibili dell’ufficio, maturata (Cass. n. 11652 del 11/05/2017);
– il ricorrente, invero, deduce che, nella specie, la decorrenza non può farsi decorrere dal pagamento ma solo dalla richiesta da parte dell’Amministrazione finanziaria dell’imposta effettivamente dovuta, non avendo avuto la contribuente, prima di tale momento, la consapevolezza e la certezza giuridica dell’errore in cui era incorsa;
– giova peraltro osservare che, nella concreta fattispecie, il pagamento era indebito sin dall’origine, mentre, per contro, non ha nessuna rilevanza l’incertezza soggettiva sul diritto al rimborso, che è questione di mero fatto, non incidente sulla possibilità giuridica di ripetere l’indebito e, quindi, sulla decorrenza del termine in base al principio generale di cui all’art. 2935 c.c. (v. Cass. n. 3306 del 19/02/2004; Cass. n. 19478 del 30/09/2016);
– non rileva, in senso contrario, l’invocato precedente di cui alla sentenza n. 6331 del 2008 in materia di imposte dirette, relativo ad una situazione, a differenza di quella in esame, di originaria incertezza giuridica dell’effettiva imputazione dei costi, definita solo a seguito del passaggio in giudicato del relativo giudizio (v. anche negli stessi termini Cass. n. 3261 del 11/02/2013);
– neppure, infine, appare conferente il richiamato precedente della Corte di Giustizia (Banca Antoniana Popolare Veneta Spa, in C – 427/2010) che attiene ad una situazione differente e relativa a soggetto che aveva “agito come un operatore economico prudente”, aveva “correttamente assoggettato all’IVA le operazioni di riscossione dei contributi consortili da essa effettuate” e “correttamente versato detta imposta all’amministrazione finanziaria, in ossequio alla prassi seguita da tale amministrazione all’epoca della fatturazione di dette operazioni”, regime poi “rimesso in discussione, retroattivamente” dalla stessa Amministrazione, lasciando il soggetto passivo esposto all’azione del suo committente, condizioni tutte che non ricorrono nella vicenda in esame attesa l’assenza di una azione di rimborso da parte degli aventi causa e l’obbiettività originaria dell’indebito (v. Cass. n. 6600 del 15/03/2013; Cass. n. 25988 del 10/12/2014);
– il ricorso va pertanto rigettato;
– le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.
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