CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10021 del 16 maggio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – LICENZIAMENTO – CONTESTAZIONE DISCIPLINARE – LITE SUL LAVORO – INTENSITA’ DELL’ELEMENTO PSICOLOGICO – NON SUSSISTE
Fatto
Con ricorso depositato in data 17.4.2014 A.A. adiva il Tribunale di Genova, con il rito di cui all’articolo 1 co. 47 L. 92/2012, impugnando il licenziamento intimatogli dalla società GRUPPO C. spa in data 28.8.2013 per ragioni disciplinari e chiedendo la condanna del datore di lavoro alla reintegra nelle mansioni ed al risarcimento del danno ed, in subordine, la applicazione della tutela indennitaria; agiva altresì per la condanna della società al risarcimento dei danni alla persona, da liquidarsi previa ctu o in via equitativa. Esponeva che la contestazione disciplinare consisteva nell’avere adoperato mezzi fisici in data 29 maggio 2013 nel riprendere la dipendente del punto vendita C.B.
Il giudice della prima fase rigettava il ricorso; in sede di opposizione lo stesso giudice, nei cui confronti era proposta istanza di ricusazione respinta dal Collegio con sentenza del 26.6.2014 (nr. 736) confermava il rigetto della domanda.
Con ricorso del 25.6.2014 proponeva reclamo l’A.
Con sentenza del 7.11.2014 (nr. 457) la Corte d’appello di Genova dichiarava la nullità della sentenza impugnata per violazione del principio di terzietà del giudicante, in quanto pronunziata dallo stesso giudice che aveva emesso l’ordinanza opposta; ritenendo non sussistere una ipotesi di regressione del giudizio in primo grado, procedeva all’esame di tutte le questioni introdotte con la opposizione ed annullava il licenziamento intimato ad A.A., condannando la società GRUPPO C. spa alle reintegrazione del dipendente ed al risarcimento del danno – nella misura di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre accessori – ed al versamento dei contributi.
La Corte di merito rilevava che la contestazione disciplinare riguardava il solo comportamento tenuto dall’A. durante il colloquio con la dipendente C. allorché la sua mano urtava il labbro della stessa, ferendola e non anche la condotta immediatamente successiva (l’avere omesso di prestare soccorso, continuando la discussione). La contestazione era stata formulata in termini di intenzionalità – e non di accidentalità – della condotta mentre le risultanze istruttorie circa la volontarietà del gesto mostravano contraddizioni, non superabili neppure in ragione della condotta tenuta dall’A. nella immediatezza dei fatti.
Riteneva configurabile la ipotesi della insussistenza del fatto, ex articolo 18 co. 4 L. 300/70, dovendo intendersi il fatto anche nella sua componente soggettiva, nella specie non provata.
Per la Cassazione della sentenza ricorre la società GRUPPO C. spa, articolando cinque motivi.
Resiste con controricorso A.A.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Diritto
Preliminarmente deve essere superata la questione di inammissibilità del ricorso per difetto della procura del difensore della società C. GROUP spa, sollevata dal controricorrente sotto il profilo della provenienza del mandato difensivo da persona priva del potere di gestione del rapporto controverso.
Come è stato affermato da questa Corte (Cass. sez. un. n. 20596 del 2007), in tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità allorquando l’organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto costitutivo o dallo statuto, poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa; nel caso in cui il potere rappresentativo abbia invece origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere, a condizione, però, che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva.
Nella fattispecie di causa nella intestazione del ricorso è indicata la fonte del potere rappresentativo del soggetto che conferisce il mandato difensivo- procura per notaio dott. F.C. in data 23.4.201′, rep. 123261; il suddetto atto pubblico è stato prodotto dalla società ricorrente ai sensi dell’articolo 372 cpc.
1. Con il primo motivo la società ricorrente denunzia – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cpc – violazione e falsa applicazione dell’articolo 51 nr. 4 cpc e dell’articolo 1 commi 51-57 L. 92/2012.
La censura investe la statuizione di nullità della sentenza di primo grado, resa dalla Corte di merito sul dichiarato presupposto della natura impugnatoria della fase di opposizione.
La ricorrente deduce che nel rito speciale la opposizione non ha tale natura ma quella di prosecuzione dell’unico grado introdotto con il ricorso originario ed assume che dalla dichiarata nullità della sentenza era derivata la pretermissione della necessaria ed indispensabile valutazione della stessa sentenza.
Il motivo è inammissibile.
Va sul punto premesso che la deduzione della struttura bifasica dello svolgimento davanti al Tribunale del procedimento ex art. 1 co. 47 e segg. L. 92/2012 e della natura non impugnatoria della fase della opposizione è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, a partire da S.U. ordinanza 18 settembre 2014 n. 19674 (Cfr Cass, sez. lav. ordinanza 20 novembre 2014, n. 24790; sentenze 17 febbraio 2015, n. 3136 e 16 aprile 2015, n. 7782), cui in questa sede si presta adesione.
Deriva da quanto precede la inapplicabilità alla fase della opposizione delle previsioni di cui all’articolo 51 nr 4 cpc, sulla incompatibilità del magistrato che ha conosciuto del giudizio in altro grado del processo.
La questione di costituzionalità dell’articolo 51 nr. 4 cpc (sollevata sul presupposto la natura non-impugnatoria della opposizione) in ragione della mancata previsione dell’ incompatibilità del giudice della opposizione ove abbia già giudicato sulla prima fase è stata dichiarata infondata dalla Corte Costituzionale con sentenza 78/15, nella quale il giudice delle legge ha parimenti ritenuto la “ravvisabilità, nella specie, di un giudizio unico anche se contraddistinto da due fasi, in conformità, del resto, al diritto vivente ormai univocamente formatosi sulla questione”.
Resta tuttavia decisivo ai fini della inammissibilità del motivo il difetto di interesse della società ricorrente alla impugnazione sul punto della sentenza.
Sotto questo profilo la ricorrente avrebbe dovuto prospettare quali lesioni fossero, in concreto, derivate alle sue facoltà processuali dalla erronea dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado: I’interesse alla impugnazione infatti deriva non dal solo vizio processuale ma dal pregiudizio derivatone alle attività difensive della parte che lo deduce.
In talune ipotesi il pregiudizio è direttamente ricavabile dai contenuti della decisione impugnata, come, ad esempio, nel caso in cui il vizio consista nella mancata rimessione della causa al giudice del primo grado, in cui vi è la perdita di un grado di merito.
Nella fattispecie concreta, invece, la sentenza impugnata dopo avere statuito sulla nullità della sentenza di primo grado ha esaminato il merito della controversia, facendo dichiaratamente derivare dalla affermata nullità la sola conseguenza dell’esame di tutte le questioni introdotte dal lavoratore con il giudizio di opposizione (“la nullità della sentenza comporta, nella specie … l’esame di tutte le questioni introdotte con il giudizio di opposizione”).
L’interesse alla impugnazione sarebbe stato dunque prospettabile laddove le ragioni della opposizione fossero state diverse – e più ampie – rispetto ai motivi fatti poi valere dal dipendente nel successivo grado di reclamo sì da determinare una effettiva lesione alla attività defensionale della società GRUPPO C. spa, che tanto nella opposizione che nel reclamo aveva una posizione di resistenza.
Nulla al riguardo è dedotto in ricorso.
2. Con il secondo motivo si lamenta – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cpc – violazione e falsa applicazione dell’articolo 2119 cc. e dell’articolo 5 L. 604/1966.
Si censura la sentenza per non avere sussunto il fatto, come accertato, nella ipotesi di cui all’articolo 2119 cc.
La società ricorrente evidenzia che nella lettera di contestazione il fatto veniva descritto nella sua materialità, senza alcuna precisazione dell’elemento soggettivo dell’agente e che il dolo ben poteva configurarsi come dolo d’impeto, compatibile con il dolo eventuale.
La condotta dell’A., che dopo avere colpito e ferito al labbro la C. aveva continuato il suo discorso, mostrando indifferenza, confermava la volontarietà della azione; una ulteriore conferma risultava dalla inverosimile ricostruzione dell’accaduto prospettata nelle giustificazioni rese nella sede disciplinare e nel ricorso introduttivo della lite.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente pur muovendo dalla condivisibile premessa che il vizio di violazione di norme di diritto – ex articolo 360 nr. 3 cpc – può essere individuato soltanto riguardo alla sussunzione del fatto materiale, per come ricostruito in sentenza, alla fattispecie astratta contemplata dal legislatore (nella specie l’articolo 2119 cc) ed avere ricordato, in maniera egualmente condivisibile, che in presenza di clausole elastiche – quale quella sulla giusta causa – la qualificazione del fatto materiale alta luce della nozione legale individuata dalla clausola elastica fa parte dei procedimento di sussunzione, rivolge poi le ragioni di impugnazione non già al procedimento logico di sussunzione, come appena delineato, alla ricostruzione del fatto materiale operata nella sentenza.
Invero l’accertamento della volontarietà – piuttosto che della accidentalità – della condotta e dell’evento (le lesioni procurate alla dipendente) costituisce giudizio di fatto – giacché l’elemento psicologico della condotta fa parte del fatto materiale di rilievo disciplinare riservato al giudice del merito.
3. Con il terzo motivo la società ricorrente denunzia – ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cpc – l’omesso esame di un fatto oggetto di discussione tra le parti e decisivo, consistente nel clima dì tensione e sudditanza determinato dall’A. nel negozio di cui questi era responsabile.
Rileva che tale fatto aveva carattere decisivo, in quanto dimostrativo della intensità dell’elemento psicologico dell’illecito disciplinare, era stato oggetto di discussione tra le parti sin dagli atti introduttivi e risultava dalle deposizioni dei testi A., Q. e F..
Il motivo è infondato.
Il fatto decisivo è la volontarietà della condotta, elemento psicologico che è stato esaminato ed escluso dal giudice del merito sicché al riguardo non è ipotizzabile – neppure astrattamente – il vizio di cui all’articolo 360 nr. 5 cpc, come delineato nel nuovo testo normativo; il clima di sudditanza di cui si lamenta l’omesso esame è invece un fatto accessorio, in sé privo di decisività perché non riferibile direttamente alla decisione resa ma al solo fatto principale (il dolo) già oggetto di esame.
4. Con il quarto motivo la ricorrente denunzia – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cpc – violazione e falsa applicazione dell’articolo 437 co. 2 cpc e dell’articolo 112 cpc, in combinato disposto con l’articolo 5 L. 604/66.
La denunzia investe il mancato accoglimento delle richieste istruttorie, reiterate nella fase del reclamo, quali l’audizione della teste C., che aveva visto la C. subito dopo l’accaduto ed il confronto tra la teste C. e la teste Q. nonché la mancata attivazione dei poteri istruttori d’ufficio ex articolo 437 co 2 cpc ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo.
Il motivo è infondato.
La omessa ammissione/attivazione dei mezzi Istruttori è deducibile come vizio della motivazione, in quanto attinente all’esercizio del potere discrezionale del giudice di accertamento dei fatti controversi.
Sotto questo profilo il ricorrente avrebbe dovuto allegare – ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cpc – il fatto decisivo non esaminato per effetto della mancata ammissione della prova; tale fatto viene nella specie ravvisato nella intenzionalità della condotta dell’A., fatto che è stato tuttavia esaminato (ed escluso) dal giudice del merito.
5. Con il quinto motivo la ricorrente denunzia – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cpc – violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 cpc.
La censura investe la pronunzia di condanna alle spese resa dal giudice dell’appello.
Il motivo è palesemente infondato.
La pronunzia sulle spese è accessoria alla statuizione principale sulla domanda azionata e viene automaticamente caducata in ipotesi di cassazione dei decisum.
La violazione dell’articolo 91 cpc è autonomamente deducibile unicamente sotto il profilo della attribuzione del carico delle spese in violazione della regola della soccombenza.
Il motivo del ricorso investe invece non la pronunzia accessoria sulle spese ma la decisione principale sulla domanda, che fonda la soccombenza.
Le spese del presente grado, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1 co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 3.500 per compensi professionali ed € 100,00 per esborsi oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con attribuzione.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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