CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 11734 del 8 giugno 2016
LAVORO – CONTRATTO DI APPRENDISTATO – LAVORAZIONI IN SERIE – PREVIA COMUNICAZIONE ALL’ISPETTORATO DEL LAVORO
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 1313/2010, depositata il 29 ottobre 2010, la Corte di appello di L’Aquila, in accoglimento del gravame proposto da L.C. in qualità di titolare della C.I. di C.L. e in riforma della sentenza del Tribunale di Teramo n. 635/2008, respingeva, nella contumacia dell’appellata, la domanda di S.S. volta a ottenere la declaratoria di nullità del contratto di apprendistato, in virtù del quale aveva lavorato alle dipendenze di C.I. di C.L. dall’1/3/1999 al 15/9/2000, e la condanna al pagamento di euro 7.592,00 per differenze retributive, previo accertamento dello svolgimento di mansioni di operaia generica di 2° livello.
A sostegno della propria decisione la Corte rilevava come la disciplina dell’apprendistato consentisse al datore di lavoro di adibire l’apprendista anche alle lavorazioni in serie, purché per il tempo strettamente necessario all’addestramento e previa comunicazione all’Ispettorato del Lavoro; osservava peraltro come la circostanza che la S. fosse stata adibita nel corso del rapporto a lavorazioni semplici non era incompatibile con la disciplina e le finalità del contratto di apprendistato; come fosse dimostrato, dalle risultanze delle prove testimoniali assunte, che la stessa aveva ricevuto formazione e addestramento adeguati, senza peraltro essere inserita a pieno ritmo nel ciclo produttivo a differenza degli altri dipendenti non apprendisti; come non potesse dirsi acquisita, sulla base delle medesime risultanze, la prova dell’effettuazione di lavoro straordinario, non avendo i testi precisato che il tempo impiegato per la pulizia delle macchine fosse successivo all’ordinario orario di lavoro.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la S., affidandosi a tre motivi; L.C. ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Il difensore della ricorrente ha depositato in udienza osservazioni sulle conclusioni del pubblico ministero.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 327 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché difetto di motivazione su un punto decisivo, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.: deduce al riguardo che la sentenza di primo grado era stata depositata il 24/6/2008 mentre il ricorso in appello era stato depositato il 31/7/2009 e, pertanto, oltre il termine annuale stabilito dalla norma previgente, ancora applicabile ratione temporis; né la Corte si era avveduta dell’erroneità del riferimento, contenuto nell’atto di appello, all’art. 5 D.L. 28 aprile 2009, n. 39 (convertito con modificazioni dalla I. 24 giugno 2009, n. 77), recante, fra le altre, anche disposizioni relative alla sospensione dei termini processuali, nel quadro di interventi urgenti per le popolazioni interessate dal sisma che aveva colpito l’Abruzzo, posto che la sospensione dei termini prevista da tale norma non trovava applicazione nei confronti dei soggetti che – come l’appellante e il suo co-difensore (nominato peraltro in forza di mandato disgiunto e unico legale a sottoscrivere sia l’atto di appello sia l’autentica di firma) – risiedessero e avessero sede operativa, l’uno, o esercitassero la propria attività professionale, l’altro, al di fuori dei comuni indicati nel D.P.C.M. 16 aprile 2009.
Con il secondo motivo viene denunciato il vizio di violazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) in relazione agli artt. 75 c.p.c.e 2082 c.c., posto che la procura alle liti presente nell’atto di appello risultava rilasciata (in data 30/7/2009) e sottoscritta dal C. nella sua qualità di titolare della C.I. di C.L. corrente in Tortoreto, la quale peraltro aveva cessato ogni attività già il 31/12/2007.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 11, lett. I), 1. 19 gennaio 1955, n. 25 e di altre disposizioni in materia di apprendistato, avendo la Corte, nel valutare la disciplina applicabile ai rapporto dedotto in giudizio, erroneamente ritenuto che fosse consentito al datore di lavoro adibire l’apprendista anche alle lavorazioni in serie, purché per il tempo strettamente necessario all’addestramento e previa comunicazione all’Ispettorato del Lavoro, senza considerare che tale disposizione era stata abrogata con legge 2 aprile 1968, n. 424 e sostituita con altra, vigente al tempo in cui il rapporto si era svolto, che invece faceva divieto al datore di lavoro di adibire gli apprendisti alle produzioni in serie: ciò che aveva indotto la Corte a non esaminare le risultanze dell’istruttoria e, in particolare, ad omettere l’esame della circostanza se la lavoratrice fosse stata addetta a tali lavorazioni. Con il medesimo motivo viene altresì censurata la sentenza, ai sensi dell’art. 360 n. 5, per avere travisato le risultanze probatorie con riferimento alla domanda di pagamento di differenze retributive per lavoro straordinario, anche tenuto conto della previsione di fonte collettiva, secondo la quale, ove effettuata oltre i limiti dell’orario contrattuale di lavoro, la pulizia del macchinario, di cui avevano riferito i testi assunti, era da considerarsi come prestazione straordinaria ai fini retributivi.
Il primo motivo non può essere accolto.
E’, infatti, assorbente a tal fine la circostanza che la procura in calce al ricorso in appello fosse stata rilasciata anche all’avv. M.V., iscritta al Foro dell’Aquila e con studio professionale in tale città, rendendo conseguentemente applicabile, nei confronti della stessa, la sospensione dei termini processuali (dal 6 aprile 2009 al 31 luglio 2009) disposta dall’art. 5, comma 3, decreto legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito dalla I. 24 giugno 2009, n. 77.
Né rileva, in senso contrario, che il mandato non fosse congiunto e che il co-difensore, avv. F.D.T., appartenente al Foro di Teramo e, pertanto, con studio nel territorio di un comune non compreso nel “cratere” sismico, quale definito dal decreto cit., avesse pieni poteri di rappresentanza processuale, non potendo dubitarsi del diritto di ciascuno dei difensori di svolgere l’attività richiesta dall’interesse del proprio assistito.
Anche il secondo motivo non può essere accolto.
Come più volte precisato da questa Corte di legittimità, la ditta individuale coincide con la persona fisica titolare di essa e perciò non costituisce un soggetto giuridico autonomo, sia sotto l’aspetto sostanziale che sotto quello processuale (cfr., fra le molte, Cass. 17 gennaio 2007, n. 977).
Ne consegue che la domanda proposta da o nei confronti di una ditta individuate deve, rispettivamente, considerarsi svolta, ai fini della legittimazione attiva o passiva, da o contro la persona fisica del suo titolare, il quale, pertanto, individua, nelle controversie di cui all’art. 409 c.p.c., il soggetto datoriale alle cui dipendenze e sotto la cui direzione la prestazione lavorativa è stata resa.
E’ invece fondato e deve essere accolto il terzo motivo di ricorso, nel profilo attinente alla violazione della disciplina in tema di apprendistato.
La Corte territoriale ha, infatti, erroneamente identificato la disciplina da applicarsi al rapporto controverso (pacificamente svoltosi dall’1/3/1999 al 15/9/2000), pervenendo alla conclusione che essa consentisse l’adibizione dell’apprendista a lavorazioni in serie, purché per il tempo strettamente necessario all’addestramento e previa comunicazione all’Ispettorato del Lavoro.
In particolare, la Corte ha applicato la disciplina di cui alla versione originaria dell’art. 11 l. 19 gennaio 1955, n. 25, il quale, nel definire gli obblighi del datore di lavoro, vietava (lettera f) di sottoporre l’apprendista a lavorazioni “a incentivo o in serie, se non per il tempo strettamente necessario all’addestramento e previa comunicazione all’Ispettorato del Lavoro”: norma peraltro modificata dall’art. 2 I. 2 aprile 1968, n. 424, nel senso di vietare al datore, senza alcun limite o condizione, di adibire gli apprendisti a lavori “di produzioni in serie” (e ciò in aggiunta al divieto, già presente nella I. n. 25/1955, di sottoporre l’apprendista a lavorazioni retribuite a cottimo o ad incentivo o a lavori di manovalanza), e ancora in vigore al tempo del rapporto dedotto in giudizio, risultando abrogata solo con il d.lgs. 6 ottobre 2004, n. 251.
Ed è precisamente alla stregua di tale norma imperativa che il giudice di appello avrebbe dovuto esaminare il materiale probatorio acquisito al giudizio, vagliando la questione preliminare se la lavoratrice fosse stata o meno sottoposta a lavorazioni vietate, solo all’esito di tale approfondimento potendo e dovendo considerare il rispetto di ogni altro obbligo a carico del datore di lavoro e, più generale, l’intervenuto allineamento della fattispecie concreta alla disciplina dettata in materia di rapporto di apprendistato.
Né può condividersi l’assunto del controricorrente, ad avviso del quale la Corte sarebbe pervenuta alla sua decisione indipendentemente dalla risoluzione di detta questione.
Si deve in proposito rilevare che all’incipit della motivazione, con funzione anticipatoria delle conclusioni raggiunte (“L’appello è fondato”), fa seguito immediatamente proprio la parte del percorso motivazionale dedicata all’esame della normativa applicabile, tra l’altro introdotta da parole (“Ed invero”) che rafforzano e confermano la veridicità di tale conclusione e la collegano, secondo un nesso evidente, alle considerazioni successive.
Ne consegue che la disamina della disciplina applicabile non può essere marginalizzata dal più ampio contesto in cui si è inserita, di cui rappresenta, al contrario, il primo ed essenziale momento argomentativo; ed anche il riferimento alle lavorazioni “semplici”, che compare nel rigo seguente, lungi dal concorrere ad integrare un’autonoma ragione decisoria, non ha altro valore se non di impropria declinazione lessicale di un concetto (quello di “lavorazioni in serie”) ontologicamente diverso, in quanto legato alla natura del processo produttivo e al ruolo determinante che vi riveste l’utilizzo delle macchine.
Il terzo motivo è invece inammissibile laddove denuncia vizio di motivazione in relazione al rigetto della domanda di pagamento dello straordinario, limitandosi a proporre una lettura delle prove diversa da quella fatta propria dal giudice di merito ed esente da vizi logici, peraltro neppure specificamente dedotti.
La sentenza deve conseguentemente essere cassata in relazione al terzo motivo, nel profilo e per i rilievi indicati, e la causa rinviata, anche per le spese, alla Corte di appello di L’Aquila in diversa composizione, la quale provvederà al riesame della fattispecie alla luce della disciplina applicabile ratione temporis al rapporto di apprendistato.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di appello di L’Aquila in diversa composizione.
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