CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 1955 del 4 febbraio 2015
AVVISO DI LIQUIDAZIONE – CESSIONE D’AZIENDA – OMESSA REGISTRAZIONE CONTRATTO – CONTRATTI DI FORNITURA – SOCIETà – ABUSO DEL DIRITTO – RECUPERO A TASSAZIONE – SUSSISTE
FATTO
Con sentenza n. 117/44/12, depositata il 27.9.2012 la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava gli appelli riuniti proposti dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano n. 396/01/10 che ha annullato l’avviso di liquidazione di imposta di registro e irrogazioni sanzioni, nei confronti della societa’ O-I Manufacturing s.p.a., per l’omessa registrazione del contratto di cessione d’azienda,risultante dal complesso di operazione posta in essere dalla societa’ O-I Europe s a r.l., quale avente causa dalla societa’ O-I Manufacturing s.p.a., per un valore di cessione di Euro 199.325.190,00.
Rilevava, al riguardo, la Commissione Tributaria Regionale la carenza probatoria in relazione agli atti presupposti che avrebbero integrato la cessione del ramo d’azienda, osservando come il trasferimento contestato di otto dipendenti dalla societa’ O-I Manufacturing s.p.a. alla societa’ O-I Europe s a r.l. aveva trovato riscontro documentale in relazione a un unico soggetto, che la lista clienti della societa’ O-I Manufacturing s.p.a. era stata ceduta, quale componente del ramo di azienda preposto alla distribuzione, alla societa’ O-I Sales and Distribution e non alla societa’ O-I Europe s a r.l. e che i programmi software asseritamente trasferiti ritenuti provvisti di contenuti innovativi ideati dalla O-I Manufacturing s.p.a., sono risultati i fogli di calcolo Microsoft excel senza prova che siano stati funzionali alla implementazione del sistema informatico SAP a livello di gruppo.
In relazione al subentro di contratti di fornitura tra le predette societa’ la CTR ha osservato che la societa’ O-I Europe s a r.l. aveva esteso i rapporti contrattuali limitate l’Italia a piu’ vasto contesto di nazioni Europee, rilevando, con riferimento all’abuso del diritto, che l’ufficio nulla aveva argomentato al riguardo.
Con sentenza n. 30/44/13, depositata il 8.5.2013, la Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava l’appello proposto dalla societa’ O-I Europe s a r.l., avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli n. 272/21/12 che ha confermato l’avviso di accertamento Iva,per gli anni 2006 e 2007, per un maggior importo rispettivamente di Euro 20.281.981,00 e 3.090.088,00, oltre, su entrambi gli importi, interessi e sanzioni, nei confronti della societa’ O-I Europe s a r.l.,
La somma veniva recuperata a tassazione, in relazione al primo accertamento, per la ritenuta indetraibilita’ dell’Iva in relazione a un’operazione di cessione di beni esistenti nel magazzino della societa’ O-I Manufacturing s.p.a., mentre, con riferimento all’anno 2007, veniva ritenuta la indetraibilita’ dell’Iva in relazione a una somma riconosciuta versata dalla societa’ O-I Manufacturing s.p.a. quale indennizzo di spoliazione.
La CTR affermava, al riguardo, la natura di cessione di ramo d’azienda della operazione commerciale di cessione dalla societa’ O-I Manufacturing s.p.a. alla societa’ O-I Europe s a r.l. dei beni di magazzino, con conseguente esclusione dell’applicazione dell’Iva e dei conseguenti meccanismi della relativa rivalsa e detrazione che avevano comportato la neutralizzazione dell’imposta.
Rilevava anche la Commissione Tributaria Regionale la insussistenza dei presupposti per la sospensione necessaria del giudizio in attesa della decisione di quello pendente dinanzi alla CTR della Lombardia, avente ad oggetto la qualificazione della natura giuridica delle medesime operazioni, rilevando come si tratti di identita’ di questione giuridica tale da poter determinare un potenziale contrasto di giudicati, rilevando come non sussista, tuttavia una pregiudizialita’ logica tra le due questioni.
Osservava la CTR della Campania come le emergenze probatorie consentissero di ritenere integrata la cessione del ramo d’azienda, rilevando, in particolare,come la cessione del magazzino non costituiva operazione a se’ stante ma andava inquadrata in una complessa operazione di ristrutturazione in base alla quale la societa’ italiana ha dismesso l’attivita’ suindicata per conto proprio, limitandosi a produrre per conto terzi e subentrando in quella di commercializzazione la societa’ O-I Europe s a r.l., divenuta proprietaria di tutte le materie prime necessarie per la produzione dei contenitori di vetro, nonche’ degli stampi.
Con riferimento alla remunerazione di Euro 14.938.000,00 per il c.d. “valore di spoliazione”, i giudici di merito rilevavano come in effetti riguardasse il valore dell’avviamento oggetto di cessione e che, con tale ulteriore atto, la societa’ cedente era stata ricompensata per il trasferimento del ramo d’azienda. Aggiungeva, inoltrera’ CTR come le parti non abbiano inteso solo cedere i beni di magazzino, ma anche la proprieta’ del prodotto finito, della materia prima e degli stampi, finalizzata all’accentramento, in capo la societa’ cessionaria, dell’attivita’ di produzione che la societa’ cedente ha proseguito solo per conto terzi, in quanto privata di ogni autonomia decisionale e responsabilita’ gestionale, deducendone i giudici di merito che proprio la mancanza dell’attivita’ produttiva in proprio, ma solo quale contoterzista e sulla base delle direttive della societa’ O-I Europe s a r.l., era indicativa dell’avvenuta cessione del ramo d’azienda da parte della O-I Manufacturing s.p.a. alla O-I Europe s a r.l..
Osservava, inoltre che, al fine di celare la reale natura dell’atto, solo per un dipendente, peraltro in posizione apicale vi era stato un formale trasferimento mentre per altri dipendenti era stato operato un distacco e per due di essi un trasferimento presso la OI Sales and Distribution (societa’ partecipata al 90% dalla O-I Europe s a r.l. che prosegue l’attivita’ di produzione per conto di quest’ultima). Rilevava,confrontando le ulteriori argomentazioni difensive della societa’ O-I Europe s a r.l. come la valutazione del complessivo contenuto in funzione dell’atto negoziale era nel senso di ritenere che fosse stato stipulato, tra le indicate societa’, cessione di ramo d’azienda, coerente con il complessivo processo di riorganizzazione a livello Europeo dell’attivita’ della societa’ cessionaria.
La CTR respingeva anche la l’eccezione relativa alla violazione dei principi di neutralita’ ed effettivita’ dell’Iva.
L’Agenzia delle entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia deducendo i seguenti motivi: a) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, non avendo i giudici di merito rilevato come l’operazione ha comportato anche una cessione di beni materiali da O- I Manufacturing s.p.a. a O-I Europe s a r.l., omettendo di valutare nel loro insieme la cessione dell’intero magazzino, materie prime, stampi e prodotti finiti, trasferimento di beni materiali (know how, marketing intangibles e software), subentro nei contratti in essere con i fornitori, cessione di contratti, distacco di personale con funzioni chiave presso societa’ O-I Europe s a r.l.;
b) vizio di motivazione su un fatto decisivo e’ controverso del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, avendo omesso la sentenza di giustificare le ragioni per le quali e’ stato disatteso il contenuto del p.v.c. nella parte in cui si precisava che la ricostruzione dei verificatori si concentrava sulle mansioni svolte pre e post restructuring del personale in posizione apicale (dirigenti) che avrebbero cessato di svolgere le proprie mansioni della societa’ italiana e iniziato a svolgerle per la societa’ elvetica, non avendo valutato che la cessione di ramo di azienda cosi’ realizzata, con riferimento al personale dipendente, anche nell’ipotesi in cui lo stesso, in misura prevalente, sia transitato alle dipendenze solo funzionali della cessionaria (nello specifico in posizione di distacco) costituisce un abuso finalizzato ad occultare l’intervenuta effettiva cessione del ramo d’azienda;
c) violazione e falsa applicazione dell’art. 2555 c.c., del D.P.R. n. 131 del 1986, e del principio del divieto di abuso del diritto, rilevando come la CTR non abbia valutato che la cessione di ramo d’azienda possa realizzarsi anche nell’ipotesi in cui il personale dipendente della cedente,in misura largamente prevalente, sia transitato alle dipendenze solo funzionali della cessionaria, nello specifico in posizione di distacco.
d) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, e del principio del divieto di abuso del diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, rilevando come il contratto di cessione di ramo d’azienda sia stato occultato abusando dell’operazione di ristrutturazione del gruppo, senza che sia necessario che il transito del personale avvenga alle dipendenze formali del cessionario; La intimata si e’ costituita con controricorso, presentando anche memorie.
La O-I Europe s a r.l., impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania deducendo i seguenti motivi:
a) violazione e falsa applicazione dell’art. 19 della direttiva 2006/112/CE e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, rilevando come la normativa nazionale esclude dal campo di applicazione dell’Iva la cessione di azienda o di rami di azienda, e costituisce norma di attuazione dell’art. 19 della direttiva 2006/112/CE (c.d. sesta direttiva Iva). Rilevava inoltre: 1) errata individuazione di un trasferimento di azienda in assenza di sostituzione da parte dell’asserito cessionario dell’attivita’ svolta dall’asserita cedente, chiedendo, in via subordinata il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 2) errata qualificazione come trasferimento di azienda di operazioni che coinvolgono una pluralita’ di soggetti asseritamente cessionari e non solo la societa’ O-I Europe s a r.l., in contrasto con la direttiva 2006/112/CE e la relativa norma di recepimento in ambito nazionale, in quanto l’azienda non puo’ essere smembra e ceduta a una pluralita’ di cessionari, essendo necessario che l’operazione riguardi un unico cedente e un unico cessionario;
b) omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non avendo la CTR valutato ai fini della ritenuta cessione del ramo di azienda, l’esistenza di un software elaborato da O-I Manufacturing s.p.a. e ceduto a OI CH e le circostanze che i contratti con i fornitori erano nuovi e diversi rispetto a quelli della societa’ asseritamente cedente, e l’effettivo riconoscimento dell’indennita’ di spoliazione;
c) omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella versione vigente ante novella L. n. 83 del 2012, non avendo la CTR valutato le circostanze di fatto sopra evidenziate;
d) violazione e falsa applicazione del principio di neutralita’ dell’Iva, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, non essendosi prodotto alcun danno erariale in quanto O-I Manufacturing s.p.a. ha versato l’Iva addebitata a Oi – CH;
e) violazione e falsa applicazione del principio di effettivita’ dell’Iva, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la negazione del diritto di detrazione dell’Iva si pone in contrasto con il principio di definitivita’ nella riscossione dell’imposta, rilevando come, in forza delle pronunce della Corte di Giustizia, il principio di definitivita’ risulta violato ogniqualvolta, in presenza di indebito versamento Iva, il soggetto passivo non possa effettivamente reclamare il rimborso dell’imposta di cui trattasi nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria di uno Stato membro che ha incassato, senza titolo, l’imposta medesima;
f) violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia da parte della CTR della dedotta violazione del principio di effettivita’ dell’Iva in entrambi i gradi di merito;
g) violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, essendosi la verifica posta a fondamento degli avvisi di accertamento protratta per oltre un anno;
h) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, e della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ritenendo sussistenti obiettive condizioni di incertezza sulla portata e l’ambito applicativo della norma violata da cui scaturisce la pretesa erariale;
i) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, rilevando l’erronea applicazione dell’istituto della continuazione, ritenendo applicabile, con riguardo al periodo d’imposta 2007, l’istituto del cumulo giuridico, aumentando di un quarto la sanzione base per la violazione piu’ grave;
La Agenzia delle entrate si e’ costituita con controricorso.
Le societa’ presentavano memorie.
Il ricorso e’ stato discusso alla pubblica udienza del 7.11.2014, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Osserva preliminarmente il Collegio che i due ricorsi proposti avverso atti impositivi riguardanti un unitario contesto di operazioni aziendali, vanno riuniti, stanti gli evidenti motivi d’intima connessione soggettiva ed oggettiva.
Detta riunione puo’ essere disposta ai sensi dell’art. 273 c.p.c., applicabile anche al giudizio di Cassazione, in quanto le Sezioni unite di questa Corte (sentenza 13 settembre 2005, n. 18125) hanno affermato che l’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 c.p.c., in quanto volto a garantire l’economia e il minor costo dei giudizio, oltre alla certezza del diritto, risulta applicabile anche in sede di legittimita’, in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, in ossequio al precetto costituzionale della ragionevole durata del processo, cui e’ funzionale ogni opzione semplificatoria e acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale sulla domanda di giustizia, e in conformita’ al ruoto istituzionale della Corte di Cassazione che, quale organo supremo di giustizia, e’ preposta proprio ad assicurare l’uniforme interpretazione della legge, nonche’ l’unita’ del diritto oggettivo nazionale”. Tale principio tanto piu’ vale in presenza di sentenze legate l’una all’altra da un rapporto di connessione (o pregiudizialita’) e impugnate, ciascuna, con separati ricorsi per Cassazione (cfr. anche Cass. 4 aprile 1997, n. 2922; 18 aprile 2003, n. 6328; Cass. 5 aprile 2006 n. 7966; Cass. 22 giugno 2007 n. 14607; Cass. 17 giugno 2008 n. 16405; Cass. S.U. 4 agosto 2010 n. 18050 e 23 gennaio 2013 n. 1521; nonche’, in materia tributaria, Cass. 19 gennaio 2007 n. 1237; Cass. 11 maggio 2007 n. 10792; Cass. 26 febbraio 2009 n. 4627, in motivazione).
Nella fattispecie il ricorso 28856/2012 ha ad oggetto l’avviso di liquidazione imposta di registro ed accessori e sanzioni, per violazione dell’obbligo di chiedere la registrazione D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 10 e ss., per cessione di ramo d’azienda da parte della O-I Manufacturing alla O-I Europe. CTP e la CTR Lombardia ha ritenuto infondata la pretesa erariale, non reputando configurabile la cessione di ramo d’azienda, privilegiando, in sostanza, la prospettazione “atomistica” dell’oggetto delle cessioni.
Il ricorso 23405/2013 ha ad oggetto un avviso di accertamento per il recupero di IVA 2006, ritenuta dall’Ufficio indetraibile in relazione a cessione di beni del magazzino qualificata dall’ufficio quale cessione del ramo d’azienda, nonche’ un altro avviso di accertamento per recupero di IVA 2007 ritenuta indetraibile dall’ufficio in relazione a somma riconosciuta alla O-I Manufacturing quale “indennizzo di spoliazione” a seguito della riorganizzazione.
La CTR Campania, confermando la sentenza della CTP di Napoli, ha respinto le censure avverso gli atti impositivi, considerando configurabile la cessione di ramo d’azienda, tenuto conto dell’unitarieta’ del complesso dei beni trasferiti.
2 In relazione al ricorso R.G. 23405/13 va, preliminarmente, rigettata l’eccezione di nullita’ di notifica del ricorso perche’ effettuata direttamente presso l’Avvocatura generale dello Stato, anziche’ presso l’Agenzia delle entrate, risultando il vizio sanato, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., dalla rituale costituzione nel giudizio di cassazione dall’Agenzia delle entrate, rappresentate e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato.
3. Il settimo motivo del ricorso R.G. 23405/13, esaminato prioritariamente in ordine logico, va disatteso.
Ancorche’ debba ritenersi che la societa’ contribuente, attuale ricorrente (O-I Europe s a r.l.) non direttamente sottoposta a controllo, ma nei cui confronti venga comunque esercitata la pretesa erariale sulla base delle verifica compiuta nei confronti di un soggetto terzo (O-I Manufacturing s.p.a.) sia legittimata a contestare l’illegittimita’ di una verifica fiscale effettuata nei confronti della O-I Manufacturing s.p.a., per violazione del’art. 12 dello Statuto del contribuente, riverberandosi gli effetti anche nei confronti della O-I Europe s a r.l., tuttavia il motivo e’, oltre che carente di autosufficienza, anche infondato.
Anzitutto non e’ consentito a questa Corte, in relazione al vizio lamentato, accedere direttamente agli atti del giudizio al fine di valutare la dedotta violazione che non risulta documentata “per tabulas” da altro atto prodotto.
Peraltro, in tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione Finanziaria presso la sede del contribuente e’ meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullita’ degli atti compiuti dopo il suo decorso, ne’ la nullita’ di tali atti puo’ ricavarsi dalla ratio delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla piu’ lunga permanenza degli agenti dell’amministrazione (cfr Cass. 5 ottobre 2012, n. 17002), fermo restando la sanzionabilita’ degli operatori sotto il profilo disciplinare e dell’eventuale risarcimento del danno subito dal contribuente in conseguenza della violazione di tale principio.
4. In via preliminare all’esame dei motivi di entrambi i ricorsi (alcuni dei quali dedotti come vizio di motivazione), va osservato che le sentenze impugnate, per quanto soggette al regime di cui al novellato art. 360 c.p.c., conseguente al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 10, lett. b), in ragione della data di pubblicazione (27.9.2012 e 8.5.2013), non sono interessate dal filtro selettivo della c.d. doppia conforme sui fatti, in vista della limitata utilizzabilita’ del mezzo di cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.
Appare risolutivo l’aspetto di diritto temporale, in quanto il principio della c.d. doppia conforme in fatto astrattamente riferito al giudizio di cassazione anche in materia tributaria (come precisato da Cass. sez. un. n. 8053-14), limita l’impiego del mezzo suddetto. Tanto si evince con chiarezza dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, il comma 2, del quale stabilisce che le disposizioni del comma 1, lett. a), (appunto riferite al principio in esame, in correlazione con le modifiche apportate agli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c.) si applicano, al pari di quelle di cui alle lett. a), c), c bis), d) ed e), “ai giudizi d’appello introdotti con ricorso o con citazione di cui sia stata chiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione”.
Se ne desume che, quanto al ricorso per cassazione, e ai fini della soggezione al filtro selettivo della c.d. doppia conforme sui fatti, non e’ decisivo di per se’ il momento di pubblicazione della sentenza gravata dal ricorso (espressamente riferito, dall’art. 54, comma 3, all’applicabilita’ delle modifiche apportate al codice di procedura civile dalla sola lett. b) del 1 comma, 4 significativamente non menzionata nel ripetuto 2 comma del medesimo art. 54), quanto piuttosto il fatto che l’appello sia stato introdotto a partire dalla data sopra considerata, (cfr anche Cass. 14714/14) Nel caso di specie, per quanto le sentenza impugnata siano state depositate il 27.9.2012 e 8.5.2013 l’appello risulta proposto con ricorso proposto rispettivamente in data 9.8.2011 e, quindi, in epoca antecedente al’entrata in vigore della predetta normativa (11.9.2012).
5. Il secondo e terzo motivo del ricorso R.G. 23405/13, con cui si deduce, rispettivamente omesso esame di fatti decisivi e omessa motivazione circa un fatto controverso sono inammissibili alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile al giudizio di cassazione anche avverso le sentenze delle Commissioni tributarie (Cass., S.U., 7 aprile 2014 n. 8053).
Il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risultati dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass., S.U., 7 aprile 2014 n. 8053) Dopo la modifica normativa dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134) la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito e’ sindacabile in sede di legittimita’ soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili. (Cass. Sez. 6 – 3, 9/06/2014 n. 12928).
Quindi l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimita’ e’ solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in se’, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali (Cass., S.U., 7 aprile 2014 n. 8053).
Con riferimento alla omessa valutazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio, ancora denunciabile ex art. 360 c.p.c., n. 5, la parte ricorrente deve indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4:
– a) il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso;
– b) il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza;
– c) il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti; – d) la “decisivita’” del fatto stesso. (Cass., S.U., 7 aprile 2014 n. 8053).
Oggetto di contestazione e’ esclusivamente il rilievo relativo alla detrazione dell’Iva inerente alle operazioni di cessione di attivita’ della O-I Manufacturing s.p.a. alla O-I Europe s a r.l. e le relative conseguenze inerenti alle sanzioni.
Con riferimento ai motivi 2 e 3 dedotti non risultano soddisfatte le ultime due condizioni in relazione alla denuncia dei fatti asseritamente omessi (esistenza di un software elaborato da O-I Manufacturing s.p.a. e ceduto a 01 CH, contratti nuovi e diversi rispetto a quelli della societa’ asseritamente cedente, mancato riconoscimento dell’indennita’ di spoliazione).
Inoltre va anche segnalato il difetto di autosufficienza in quanto dalla sentenza della CTR Campania impugnata non risulta che il contribuente abbia formulato le relative questioni con il ricorso introduttivo, ne’ – ove le avesse proposte – che le abbia “riproposte” in appello ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, e art. 346 c.p.c..
Qualora, infatti, una determinata questione giuridica, che implichi accertamenti di fatto – come nella specie l’esame del documento costituito dall’avviso di accertamento notificato al contribuente – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimita’, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della cesura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia affatto, trascrivendone il contenuto o le parti essenziali di esso, onde dare modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (giurisprudenza consolidata: (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 2.4.2004 n. 6542; id. 3^ sez. 10.5.2005 n. 9765; id. 3^ sez. 12.7.2005 n. 14599; id. sez. lav. 11.1.2006 n. 230; id. 3^ sez. 20.10.2006 n. 22540; id. 3^ sez. 27.5.2010 n. 12912).
La articolata valutazione di merito in base alla quale la CTR ha ritenuto configurarsi nella fattispecie una cessione di azienda, tenuto conto dell’unitarieta’ del complesso dei beni trasferiti non e’ piu’ soggetta al sindacato di legittimita’ di questa Corte e le circostanze evidenziate nella sentenza impugnata, unitamente a quelle accertate nella sentenza di primo grado, sono state ritenute idonee a configurare tale operazione. Non e’ stato rilevata la decisivita’, ai fini dell’esclusione dell’accertato trasferimento di azienda, dell’omesso rilievo del mancato trasferimento di un software di elevato valore commerciale, il mancato trasferimento di contratti con i fornitori e dell’avviamento commerciale, trattandosi di elementi che non possono, di per se’ soli, implicare l’insussistenza della cessione di azienda, accertata in forza degli ulteriori elementi e circostanze accertate dai giudici di merito, tra cui l’indennizzo da spoliazione.
Emerge infatti dalle pronunce impugnate che la O-I Manufacturing s.p.a. ha ceduto alla O-I Europe s a r.l., che ha acquisito la proprieta’ del prodotto finito futuro, stampi, prodotti finiti, materie prime e materiale da imballo, pagando un indennizzo da spoliazione, con conseguente trasferimento delle funzioni strategiche e dei rischi aziendali in capo alla societa’ cessionaria.
Sono stati inoltre trasferiti alla cessionaria figure professionali della O-I Manufacturing s.p.a., a prescindere dalla formale assunzione (in molti casi ricorrendo alla figura del distacco). 6. Per connessione logica vanno esaminati il terzo e quarto motivo formulato dall’Agenzia nel ricorso R.G. 28856/12, assorbenti degli altri deducenti vizio di motivazione.
Alla luce delle considerazioni sopra espresse e’ nella organizzazione del complesso dei beni che va riconosciuta la componente immateriale caratteristica dell’azienda, o di un suo ramo, atteso che i beni, singolarmente considerati, prospettano solo la loro specifica essenza, ma la loro “organizzazione”, finalizzata alla produzione, conferisce al complesso dei beni il carattere di complementarieta’ necessario perche’ possa attribuirsi ad esso la definizione di azienda (Cass. n. 4319 del 1998). Il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, (T.U. Imposta Registro) recita: “1. l’imposta e’ applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”. Ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, il criterio, fissato dal sovracitato articolo, dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici degli atti comporta che, nell’imposizione di un negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale e alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche se mediante una pluralita’ di pattuizioni non contestuali. Ne’, ove l’operazione economica sia unitaria, al di la’ delle forme giuridiche in cui la sia rivestita, puo’ darsi valore preminente alla diversita’ di oggetto e di causa relativi, ad esempio, a due contratti, per negare il loro collegamento e consentire un intento elusivo di una fattispecie tributaria (Cass. n. 13580 del 2007).
L’art. 20 cit., costituisce indubbio indice rivelatore di criteri di qualificazione autonomi rispetto alle ordinarie interpretative civilistiche, attesa la preminenza del principio generale antiabuso (SU 30005/08; C. 12042/09) e della regolamentazione reale degli interessi (C. 9162/10, 11769/08) oggettivizzata nell’indagine sulle possibili conseguenze giuridiche di atti e negozi (Cass. n. 1405 del 2013).
Cio’ comporta che, ancorche’ non si prescinda dall’interpretazione della volonta’ negoziale secondo i canoni generali, nell’individuazione della materia imponibile dovra’ darsi la preminenza assoluta alla causa reale sull’assetto cartolare.
Ne consegue la tangibilita’, sul piano fiscale, delle forme negoziali, in considerazione della funzione antielusiva sottesa alla disposizione in parola. Sicche’ l’autonomia contrattuale e la rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi (e non anche di quelli economici, riferiti alla fattispecie globale) restano necessariamente circoscritti alla regolamentazione formale degli interessi delle parti, perche’ altrimenti finirebbero per sovvertire i detti criteri impositivi (C. 10273/07; cfr. C. 11457/05 e 14900/01).
La scelta legislativa di privilegiare, nella contrapposizione fra la intrinseca natura e gli effetti giuridici e “il titolo o la forma apparente di essi”, la sostanza dell’operazione implica che “gli stessi concetti privatistici sull’autonomia negoziale regrediscano a semplici elementi della fattispecie tributaria”, di guisa che, anche se non si puo’ prescindere dall’interpretazione della volonta’ negoziale secondo i canoni generali, nella individuazione della materia imponibile ha preminenza assoluta la “causa reale sull’assetto cartolare” (Cass. n. 14900/2001; Cass. n. 10660/2003; Cass. n. 11457/05 sottolinea l’indisponibilita’ della qualificazione contrattuale ai fini fiscali, da ultimo, Cass. 8 maggio 2013, n. 10740 e Cass. n. 6405/2014).
Per conseguenza, i rilievi della societa’ sono irrilevanti, nella parte in cui fanno leva, ai fini della valenza fiscale delle operazioni compiute, sul fatto che molteplici fossero i contratti di cessione di beni aziendali: cio’ che importa non e’ cosa le parti hanno scritto (mediante i contratti conclusi) ma cosa esse hanno effettivamente realizzato col complessivo regolamento negoziale adottato, anche indipendentemente dal contenuto delle dichiarazioni rese.
Significativo e’ il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 4, il quale stabilisce che “per gli atti che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse il valore di cui al comma 1 e’ controllato dall’ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento ed esclusi i beni indicati nell’art. 7 della parte prima della tariffa, al netto delle passivita’ risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile, tranne quelle che l’alienante si sia espressamente impegnato ad estinguere e quelle relative ai beni di cui al citato art. 7 della parte prima della tariffa e art. 11 bis della tabella. L’ufficio puo’ tenere conto anche degli accertamenti compiuti ai fini di altre imposte e puo’ procedere ad accessi, ispezioni e verifiche secondo le disposizioni relative all’imposta sul valore aggiunto”. La norma riflette la piu’ antica e tradizionale concezione dell’azienda come oggetto unitario della vicenda traslativa, ovvero come unitaria realta’ economica;la commisurazione del tributo al “valore complessivo dei beni che la compongono”, e non gia’ al valore dei singoli beni e rapporti trasferiti, implica la necessita’ di assumere ad elementi della base imponibile anche i beni ed i rapporti diversi da quelli formalmente oggetto del contratto di cessione d’azienda, se comunque afferenti all’azienda ceduta ed oggetto della complessiva regolamentazione attuata. Poiche’ l’imposta di registro ha per oggetto il negozio giuridico e non l’atto documentale, essa richiede l’interpretazione unitaria del negozio, anche se frazionata in atti distinti. La prevalenza della natura intrinseca dell’atto e dei suoi effetti giuridici sul suo titolo e sulla sua forma apparente, vincolando l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma, comporta la necessita’ di verificare se sia configurabile “il risultato di un comportamento sostanzialmente unitario rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicita’ di comportamenti formali” (Cass. 25 febbraio 2002, n. 2713); di qui la conseguenza che “l’incorporazione in un solo documento di una sola dichiarazione negoziale ad effetto giuridico unico, l’incorporazione in un solo documento di piu’ dichiarazioni negoziali, produttive di effetti giuridici distinti e l’incorporazione in documenti diversi di dichiarazioni negoziali miranti a realizzare, attraverso effetti giuridici parziali, un unico effetto giuridico finale traslativo, costitutivo o dichiarativo costituiscono tecniche operative alternative per i contribuenti, che si trovano, pero’, dinanzi ad una sola e costante qualificazione giuridica formulata dal legislatore tributario: la sottoposizione ad imposta di registro del loro atto o dei loro atti in base alla natura dell’effetto giuridico finale dei loro comportamenti, semplici o complessi che essi siano”. Ne’ si puo’ argomentare, in senso contrario, dalla natura d’imposta d’atto del tributo di registro, dovendo essere tale espressione intesa, come gia’ chiarito, nel senso della necessita’ della commisurazione del tributo agli effetti giuridici degli atti sottoposti a registrazione. 7. Anche il primo motivo del ricorso R.G. 23405/13 e’ infondato.
La CTR ha rilevato come la O-I Manufacturing s.p.a. abbia dismesso in Italia l’attivita’ di produzione, di commercializzazione dei contenitori di vetro in parte proseguita per conto terzi e in parte ceduta alla neo costituita OI Sales and Distribution, partecipata al 90% dalla societa’ O-I Europe s a r.l., ritenendo, con valutazioni di merito, che proprio il mutamento della posizione del cedente che non svolge piu’ attivita’ produttiva in proprio, ma solo quale soggetto contoterzista e sulla base delle direttive della O-I Europe s a r.l.” e’ assolutamente indicativa dell’avvenuta cessione del ramo di azienda, dalla quale O-I Manufacturing Italy e’ stata conseguentemente deprivata”.
Emerge dalla sentenza impugnata che la societa’ italiana ha continuato a svolgere attivita’ lavorativa attraverso svariati siti produttivi, anche se non piu’ in proprio, avendo trasferito alla societa’ svizzera il potere di gestione del rischio d’impresa, operando quale contoterzista e, quindi quale mero esecutore materiale delle direttive impartite da O-I Europe s a r.l., privandosi, a favore della O-I Europe s a r.l., della disponibilita’ del magazzino, degli stampi, dei prodotti finiti, del materiale da inballo e delle figure apicali della sua organizzazione.
Risulta realizzata quindi la cessione alla O-I Europe s a r.l. che ha assunto e gestito l’attivita’ di produzione, del rischio operativo, il rischio di mercato e del rischio tecnologico, non assumendo rilevanza, ai fini della rilevata cessione di azienda la circostanza che l’attivita’ materiale di produzione sia rimasta affidata allo stesso soggetto cedente, essendo sufficiente a configurare la cessione di azienda il trasferimento della titolarita’ dell’attivita’ produttiva, senza che assuma rilevanza contraria al riguardo la circostanza che l’attivita’ di distribuzione e di commercializzazione sia stata formalmente trasferita ad altra societa’ (01 Sales and Distribution), peraltro quasi interamente controllata dalla stessa O- I Europe s a r.l. (al 90%);
Ai fini di configurare la cessione di azienda non e’ necessario il trasferimento delle attivita’ svolte dalla cedente alla cessionaria ma e’ sufficiente che sia trasferita, come nel caso di specie, con riferimento all’attivita’ produttiva, un’unita organizzativa autonoma, avendo i giudici di merito valutato le circostanze, ai fini di individuare la cessione di azienda, nella loro unitarieta’ e il non sotto il profilo atomistico.
Appare inoltre, irrilevante, ai fini della predetta qualificazione, che il personale della O-I Manufacturing s.p.a. che ha successivamente prestato attivita’ lavorativa a favore della O-I Europe s a r.l., sia stato formalmente assunto dalla societa’ cessionaria distaccato dalla O-I Manufacturing s.p.a., avendo la CTR rilevato, nel merito, che il personale apicale addetto all’attivita’ di produzione non ha piu’ svolto mansioni per la societa’ italiana, lavorando per la societa’ elvetica, ma non fornendo prova alcuna la parte che tale personale e’ stato sostituito con altro presso la cedente.
Inoltre nella relazione del consiglio di amministrazione, relativa alla gestione dell’esercizio 2006 della OI Sales and Distribution, riportata nel controricorso, emerge che tale ultima societa’ opera come distributore di prodotti di proprieta’ di O-I Europe s a r.l. sul territorio nazionale in forza di apposito contratto di distribuzione il quale prevede che i rischi sostanziali legati all’attivita’ caratteristica della societa’ siano trasferiti in capo alla controllante O-I Europe s a r.l..
L’impugnata sentenza si palesa dunque immune da censura, ponendosi, con motivazione congrua, nel solco dell’interpretazione unitaria dell’operazione negoziale complessivamente intesa.
Il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, vincola l’interprete a privilegiare il dato giuridico reale rispetto ai dati formalmente enunciati – anche frazionatamente – in uno o piu’ atti, e percio’ il risultato di un comportamento sostanzialmente unitario rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicita’ di comportamenti formali. Cosi’, una pluralita’ di negozi, strutturalmente e funzionalmente collegati al fine di produrre un unico effetto giuridico finale, vanno considerati, ai fini dell’imposta di registro, come un fenomeno unitario, anche in conformita’ al principio costituzionale di capacita’ contributiva.
Proprio in relazione a fattispecie di trasferimento immobili e cessione di azienda con atti separati, si e’ gia’ evidenziato (Cass. 10660/2003) che in tema di interpretazione degli atti ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, il criterio fissato dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici degli atti comporta che, nell’imposizione di un negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale e alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche se mediante una pluralita’ di pattuizioni non contestuali, cosicche’ nessun valore preminente puo’ essere attribuito alla diversita’ di oggetto e di causa relativi a due contratti, per negare il loro collegamento (cfr. Cass. 9162/2010 e Cass. 15192/2010).
A tal proposito e’ sufficiente correggere, nel senso che segue, la motivazione dell’impugnata sentenza (art. 384 c.p.c., u.c.).
In caso di operazioni distinte di cessione del magazzino della societa’ O-I Manufacturing s.p.a., di riconoscimento di indennizzo di spoliazione, formale trasferimento di un dipendente in posizione apicale e distacco di due di essi presso la societa’ presunta cessionaria e trasferimento di un altro presso una societa’ partecipata al 90% dalla O-I Europe s a r.l. (OI Sales and Distribution) che prosegue l’attivita’ di produzione per conto di quest’ultima, il fenomeno ha, a tal fine, come riconosciuto, peraltro, dai primi giudici, carattere unitario (in conformita’ al principio costituzionale di capacita’ contributiva ed all’evoluzione della prestazione patrimoniale tributaria dal regime della tassa a quello dell’imposta) ed e’ configuratale come cessione di azienda, senza necessita’ di ricorrere all’abuso del diritto in forza della elusivita’ della operazione, per cui non grava sull’Amministrazione l’onere di provare i presupposti dell’abuso di diritto atteso che i termini giuridici della questione sono gia’ tutti desumibili dal criterio ermeneutico di cui al citato art. 20. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3481 del 14/02/2014).
A sostegno del frazionamento in piu’ atti di un’unitaria operazione possono infatti esservi ragioni fisiologiche e non solo patologiche, senza che cio’ escluda la configurabilita’ di un’operazione unitaria ai fini dell’assoggettabilita’ all’imposta di registro.
Cio’ non significa che l’operazione economica non possa anche configurare gli estremi di una elusione fiscale, ma non e’ necessario ricorrere a tale figura nel caso in cui si siano conseguiti vantaggi fiscali mediante uso distorto di strumenti giuridici, potendo, al riguardo, supplire il criterio ermeneutico di cui all’art. 20 cit.. Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, non e’ soltanto una norma interpretativa degli atti registrati, ma una disposizione intesa a identificare l’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario il quale e’ dato dall’oggetto e viene fatto coincidere con gli effetti giuridici indicativi della capacita’ contributiva dei soggetti che compiono gli atti (cfr Cass. n. 2713-02).
In simile contesto, la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla loro forma apparente vincola l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma, cioe’ il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a cio’ che formalmente e’ enunciato, anche frazionatamente, in uno o piu’ di questi atti.
Con la conseguenza di doversi riferire l’imposizione al risultato di un comportamento sostanzialmente unitario, rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicita’ di comportamenti formali. Il D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 1 e 20, vanno interpretati nel senso che oggetto dell’imposta di registro, per quanto genericamente e formalmente individuata nel riferimento dell’art. 1 agli atti soggetti a registrazione o volontariamente presentati per la registrazione, e’, nella sostanza, costituito dagli effetti giuridici di tali atti.
Il criterio di interpretazione degli atti, fissato dall’art. 20 cit., comporta quindi che, nella qualificazione di un negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale e alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche se mediante una pluralita’ di pattuizioni non contestuali, o di singole operazioni. E non e’ decisiva, in caso di negozi collegati, la rispettiva differenza di oggetto (cfr Cass. n. 9541-13; n. 14150-13; n. 17965-13).
Nel caso in esame, e’ stata ricostruita ed apprezzare l’oggettiva intenzione delle parti, determinandone, di conseguenza, gli effetti giuridici, rilevanti sul piano tributario, accertando quale sia, secondo la volonta’ dei contraenti, l’oggetto specifico del contratto, allo scopo di stabilire se quei determinati beni o operazioni siano stati considerati nella loro autonoma individualita’ o non piuttosto nella loro unitaria e strumentale funzione, si’ da comportare al tempo stesso l’alienazione del ramo d’azienda cui essi si ricollegano.
Le condotte evidenziate vanno ricondotte ad unita’ e con valutazione di merito, esente da censure, sono state considerate, dalla CTR della Campania, alla stregua di unitario atto di cessione di ramo d’azienda a titolo oneroso.
Trattasi, quanto al merito dell’operazione, di un tipico giudizio di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita’, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o di motivazione perplessa ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione (principio affermato dalle S.U. anche dopo la modifica normativa dell’art. 350 c.p.c., n. 5 (Cass., S.U., 7 aprile 2014 n. 8053).
Una cosi’ ampia nozione di azienda e’ d’altronde pienamente coerente, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte contribuente col primo, quarto e quinto motivo del ricorso R.G. 23405/13, con la disciplina comunitaria dell’azienda nel sistema dell’iva: l’art. 5, n. 8, della sesta direttiva iva (riprodotto dall’art. 19 della direttiva 2006/112/CE) prevede che, in caso di trasferimento a titolo oneroso o sotto forma di conferimento ad una societa’ di una universalita’ totale o parziale di beni, gli Stati membri “possono considerare l’operazione come non avvenuta e che il beneficiario continua la persona del cedente”; la giurisprudenza comunitaria specifica che, a tal fine, il trasferimento di un’azienda o di un suo ramo corrisponde al trasferimento dell’insieme di beni, materiali e immateriali, che “complessivamente costituiscono un’impresa o una parte d’impresa idonea a continuare un’attivita’ economica autonoma…” (Corte giust. 10 novembre 2011, C-444/10, Cristel Schriever, che ha ricompreso nel trasferimento d’azienda, in quanto tale non assoggettabile ad iva, la cessione dello stock di merci e dell’attrezzatura di un negozio).
E questa nozione d’azienda si specchia nelle definizioni di azienda utili ai fini della direttiva 69/335/CE in tema di raccolta di capitali (art. 7, n. 1, lett. b) nonche’ della direttiva 434/90/CE, relativa al regime da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti societa’ di Stati membri diversi (art. 2, lett. i). (cfr Cass. n. 19752 del 2013, in motivazione).
L’impugnata sentenza si palesa dunque immune da censure, ponendosi, con motivazione congrua, nel solco dell’interpretazione unitaria dell’operazione negoziale complessivamente intesa.
8. Sono infondati i motivi 4, 5 e 6 del ricorso R.G. 23405/13 essi pure tra loro connessi e suscettibili di unitaria trattazione con cui viene lamentata la violazione dei principi di neutralita’ e di effettivita’ dell’Iva, ancorche’ su tali questioni non si siano pronunciati i giudici di merito (motivo 6), trattandosi di questioni di diritto che non implicano alcun accertamento fattuale e nessun impedimento si frappone all’esame della questione da parte di questa Corte (cfr Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10208 del 03/05/2007).
Entrambe le societa’ cedente e cessionaria, soggetti iva appartenenti allo stesso gruppo, hanno neutralizzato l’onere economico dell’imposta per effetto dei meccanismi della rivalsa e della detrazione, tuttavia si trovano a dover sopportare, in forza della presente decisione, l’onere dell’applicazione dell’imposta di registro in quanto, essendo stata accertata, nel caso in esame, una cessione di azienda, non e’ applicabile il regime dell’iva ma l’imposta di registro.
E’ anche pacifico che OI M Italia abbia versato l’iva addebitata alla ricorrente OI CH. che ha portato in detrazione l’imposta.
La questione controversa, sottoposta all’attenzione di questa Corte, consiste nell’accertare se il cessionario dell’azienda possa portare in detrazione l’Iva, assolta erroneamente dal cedente, trattandosi di operazione esente.
L’invocato principio della neutralita’ dell’imposta consiste nel fatto che il carico fiscale subito dal consumatore finale, non deve essere influenzato dal numero dei passaggi del ciclo produttivo- distributivo ed inoltre lo stesso deve essere esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi consumati.
Il tributo, conseguentemente, non incide (di norma) sull’operatore economico, risultando una mera partita di giro, salvo divenire un effettivo elemento di costo quando il destinatario della prestazione, anche se operatore economico, agisce in veste di consumatore finale, ovvero in qualche caso puo’ gravare anche sull’attivita’ economica nelle ipotesi in cui sussistano limitazioni alla detrazione per il soggetto passivo del tributo.
Per altro verso, il principio di neutralita’ fiscale e’ stato definito a piu’ riprese dalla Corte di Giustizia Europea (cfr causa C- 174/08 del 29/10/2009), quale principio fondamentale e quale specificazione del piu’ generale principio di parita’ di trattamento (Causa C-309/06 Marks & Spencer), che assume rilievo costituzionale. I principi di neutralita’ fiscale, di proporzionalita’ e del legittimo affidamento devono essere interpretati nel senso che non ostano a che il destinatario di una fattura si veda negare il diritto a detrarre l’imposta sul valore aggiunto a monte a causa dell’assenza di un’operazione imponibile effettiva, anche se, nell’avviso di accertamento in rettifica indirizzato all’emittente di tale fattura, l’imposta sul valore aggiunto dichiarata da quest’ultimo non e’ stata rettificata (Corte di Giustizia UE, sez. 3^, sentenza 11.04.2013 n. C- 138/12).
Il diritto alla restituzione dell’imposta emerge, dal carattere neutrale dell’Iva che impone, accanto al momento di “esigibilita’” raffiancamento fisiologico dell’aspetto della deducibilita’ dell’imposta. Si tratta di fasi che, normalmente, riguardano due soggetti diversi e che devono necessariamente verificarsi perche’ il carattere neutrale dell’imposta sia preservato.
Tuttavia, nel caso di specie, la OI CH cessionaria dell’azienda, va parificata al consumatore finale che deve sopportare per intero il peso dell’Iva in quanto soltanto il prestatore di servizi o il cedente di beni va considerato di fronte alla autorita’ tributarie debitore dell’Iva.
Il cessionario ha, invece, sia pure erroneamente, pagato al cedente l’iva non dovuta, ma non sorge in capo allo stesso il diritto alla detrazione, potendo richiedere solo nei confronti del cedente il pagamento di un indebito di cui lo stesso cedente puo’, a sua volta, chiedere, nei limiti della decadenza e prescrizione, il rimborso al Fisco. Ne’ la ricorrente puo’ invocare, al riguardo il principio di effettivita’ che trova applicazione nei confronti del soggetto che ha effettuato un indebito versamento Iva nei confronti del Fisco e che puo’ sempre reclamare il rimborso dell’imposta erroneamente versata nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria di uno stato membro che ha incassato, senza titolo, l’imposta medesima (Corte Giust., 15.11.2011, Causa C-427/10).
Tale principio non trova, invece, applicazione nei confronti del cessionario che ha indebitamente chiesto il rimborso dell’Iva e che puo’ esperire l’azione di ripetizione di indebito nei confronti della cedente, non essendo consentito portare in detrazione l’iva pagata alla cedente, essendo comunque legittimata alla richiesta di rimborso solo la cedente che ha effettivamente pagato indebitamente l’imposta. Ne’ il recupero dell’imposta indebitamente detratta puo’ essere messo in discussione dalla difficolta’ della societa’ cessionaria di recuperare l’imposta versata in via di rivalsa alla cedente, trattandosi di mera questione di fatto,irrilevante ai fini della dedotta “compensazione” (neanche prospettabile tra debitori e creditori diversi), di cui peraltro non e’ stata fornita prova, sotto il profilo della autosufficienza, che sia stata prospettata nei precedenti gradi di giudizio e, dovendosi anche rilevare che trattasi, comunque, di societa’ appartenenti allo stesso gruppo. Nel caso di specie erroneamente sono state ritenute soggette ad Iva le operazioni realizzate con la conseguenza che il cedente che l’ha versata ne puo’ chiedere il rimborso (nei limiti della decadenza) e il cessionario che l’ha pagata al cedente potra’ richiederla al cedente ma non portarla in detrazione.
In quest’ultimo caso verrebbe meno proprio il principio di neutralita’ invocato in quanto, nel caso di rimborso dell’iva alla cedente, il Fisco subirebbe una indebita detrazione di una imposta da parte della cessionaria, comunque non dovuta.
La giurisprudenza comunitaria esamina e valuta non la posizione del soggetto che ha effettuato l’indebita detrazione, ma la posizione del soggetto che ha effettuato l’indebito versamento consentendogli di recuperare l’imposta non dovuta indebitamente versata senza soverchie difficolta’, senza che cio’ possa tradursi nel diritto del cessionario di richiedere la detrazione dell’imposta non dovuta. Il principio di effettivita’ non implica, in estrema sintesi, che si debba riconoscere al cessionario il diritto insussistente alla detrazione dell’iva, potendo solo richiedere il rimborso al cedente della somma a lui erogata a titolo di Iva.
Ne’, al riguardo, e’ possibile sostenere che sussistono limiti che rendano impossibile o eccessivamente oneroso per il cedente il recupero dell’iva, soggetta solamente alla decadenza che puo’ essere evitata con la semplice domanda di rimborso.
E’ stato affermato dalla Corte di Giustizia che “il principio di effettivita’ non osta ad una normativa nazionale che prevede un termine di prescrizione per l’azione civilistica di ripetizione dell’indebito, esercitata dal committente di servizi nei confronti del prestatore di tali servizi, soggetto passivo dell’IVA, piu’ lungo rispetto al termine di decadenza previsto per l’azione di rimborso di diritto tributario, esercitata da detto prestatore nei confronti dell’amministrazione finanziaria, purche’ tale soggetto passivo possa effettivamente reclamare il rimborso dell’imposta di cui trattasi nei confronti della predetta amministrazione. Quest’ultima condizione non e’ soddisfatta qualora l?applicazione di una normativa siffatta abbia la conseguenza di privare completamente il soggetto passivo del diritto di ottenere dall’amministrazione finanziaria il rimborso dell’IVA non dovuta che egli stesso ha dovuto rimborsare al committente dei suoi servizi”. (Corte Giust., 15.11.2011, Causa C- 427/10).
Mancano, quindi, i presupposti per sollevare alcuna questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia, con riferimento alla questione proposta dalla societa’ O-I Europe s a r.l., in quanto il principio di effettivita’ potrebbe, tutt’al piu’, trovare applicazione estensiva in caso di “compensazione” tra iva versata e iva detratta tra i medesimi soggetti interessati e non tra soggetti diversi, come nella fattispecie, non potendosi compensare l’iva erroneamente versata dal cedente con l’illegittima detrazione operata dal cessionario, ben potendo il primo chiedere autonomamente il rimborso dell’iva, a fronte della illegittima detrazione operata dalla cessionaria, potendosi verificare, in tale ultima ipotesi un possibile danno erariale.
Potrebbe tuttavia verificarsi l’ipotesi, peraltro neanche prospettata dalla O-I Manufacturing s.p.a., ma plausibile alla luce delle risultanze emerse, che va, comunque, esaminata al fine di evitare contrasti con la giurisprudenza della Corte di giustizia, nel caso in cui la O-I Manufacturing s.p.a., come nella fattispecie, sopporti essa stessa il pagamento dell’IVA non dovuta, senza avere la possibilita’ di reclamarne effettivamente il rimborso nei confronti dell’amministrazione finanziaria per effetto del decorso del termine di decadenza biennale, ma la dovesse rimborsare, a seguito di azione di ripetizione dell’indebito, previa relativa prova, nei confronti della O-I Europe s a r.l., dopo la scadenza di tale termine.
Una tale evenienza priverebbe completamente la O-I Manufacturing s.p.a., della possibilita’ di recuperare l’iva versata, dovendola eventualmente rimborsare alla cessionaria O-I Europe s a r.l.,oltre ad essere soggetta alla tassa di registro in forza della accertata cessione di azienda.
Occorre porsi il problema, al riguardo, se i principi di effettivita’, di neutralita’ fiscale e di non discriminazione ostino ad una normativa nazionale relativa alla ripetizione dell’indebito che prevede un termine di decadenza per l’azione di rimborso di diritto tributario che e’ piu’ breve del termine previsto per l’azione civile per la ripetizione dell’indebito, cosicche’, nella fattispecie, la O-I Europe s a r.l., qualora eserciti tale azione nei confronti di O-I Manufacturing s.p.a., possa ottenere da tale societa’ il rimborso dell’IVA non dovuta senza che quest’ultima possa a sua volta ottenerne il rimborso da parte dell’amministrazione finanziaria.
Deve ritenersi, in linea di principio, rispettato il principio di effettivita’ nel caso di un termine nazionale di prescrizione asseritamente piu’ favorevole all’amministrazione finanziaria rispetto al termine di prescrizione in vigore per i privati (sentenza 8 settembre 2011, cause riunite C 89/10 e C 96/10,); di conseguenza, la previsione di un termine di decadenza di due anni entro il quale il soggetto passivo puo’ reclamare il rimborso dell’IVA erroneamente versata nei confronti dell’amministrazione finanziaria, mentre il termine di prescrizione per le azioni di ripetizione dell’indebito oggettivo tra privati e’ decennale, non e’ di per se’ contraria al principio di effettivita’ (Corte Giust., 15.11.2011, Causa C-427/10).
La Corte di Giustizia ha segnatamente dichiarato che il principio di effettivita’ non osta ad una normativa nazionale in forza della quale soltanto il cedente/prestatore di servizi e’ legittimato a chiedere il rimborso delle somme indebitamente versate alle autorita’ tributarie a titolo di IVA, mentre il destinatario dei servizi puo’ esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti di tale cedente/prestatore di servizi, (sentenza Reemtsma Cigarettenfabriken causa C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken punto 42 (Racc. pag. 1-2425).
Per la O-I Manufacturing s.p.a., sarebbe quanto meno eccessivamente difficile, ottenere, con un’azione proposta nel termine di decadenza di due anni, il rimborso dell’IVA versata, in considerazione, in particolare, della circostanza che la stessa era risultata vittoriosa sia in primo che in secondo grado davanti alla CTR della Lombardia.
La Corte di Giustizia ha gia’ dichiarato che “un’autorita’ nazionale non puo’ eccepire il decorso di un termine di prescrizione (a cui va equiparato anche quello di decadenza) ragionevole se il comportamento delle autorita’ nazionali, in combinazione con l’esistenza di un termine di prescrizione, finisca col privare totalmente un soggetto della possibilita’ di far valere i suoi diritti dinanzi ai giudici nazionali” prevedendo che “il principio di effettivita’ sarebbe violato nell’ipotesi in cui il soggetto passivo non avesse avuto ne’ il diritto di ottenere il rimborso del tributo in questione durante il termine a sua disposizione per l’azione nei confronti dell’amministrazione finanziaria, ne’, in seguito a un’azione di ripetizione dell’indebito esperita nei suoi confronti dai propri clienti successivamente alla scadenza di detto termine, la possibilita’ di rivalersi contro l’amministrazione finanziaria, cosicche’ le conseguenze dei pagamenti indebiti dell’IVA imputabili allo Stato sarebbero sopportate esclusivamente dal soggetto passivo di tale imposta” (Corte Giust, 15.11.2011, Causa C-427/10 e v., per analogia, sentenza Q Beef e Bosschaert, ivi cit, punto 51).
Il principio di effettivita’ non sarebbe, quindi, soddisfatto se la O- I Manufacturing s.p.a.,fosse privata completamente del diritto di ottenere dall’A.F. il rimborso dell’iva non dovuta nel caso in cui la stessa societa’ l’abbia dovuta rimborsare alla O-I Europe s arl.
9. Anche l’ottavo motivo del ricorso R.G. 23405/13 con cui si deduce la non debenza delle sanzioni e’ infondato.
La norma indicata dalla ricorrente, che prevede nell’errore sulla “portata ed ambito applicativo” della norma tributaria una causa di non punibilita’, e’ riprodotta anche nel D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2, (recante “Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violini delle norme tributarie a norma della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 133”) e nella L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3.
Questa Corte (cfr. Corte Cass. 28.11.2007 n. 24670; id. 21 marzo 2008, n. 7765; id. 11.9.2009 n. 19638) e’ ripetutamente intervenuta a definire l’ambito di applicazione delle norme richiamate enunciando i seguenti principi di diritto:
– per “incertezza normativa oggetti va tributaria’” deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che e’ caratterizzata dall’impossibilita’, esistente in se’ ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie;
– l’incertezza normativa oggettiva costituisce una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto come emerge dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, che distingue in modo netto le due figure dell’incertezza normativa oggettiva e dell’ignoranza (pur ricollegandovi i medesimi effetti) e percio’ l’accertamento di essa e’ esclusivamente demandata al giudice e non puo’ essere operato dalla amministrazione;
– l’incertezza normativa oggettiva non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilita’, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria. L’essenza del fenomeno “incertezza normativa oggettiva” si puo’ rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente: 1) nella difficolta’ d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficolta’ di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficolta’ di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorieta’; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente. Tali fatti indice devono essere accertati ed esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili.
Costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilita’ amministrativa tributaria, una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ossia l’insicurezza ed equivocita’ del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione (cfr Cass. Ord. n. 4394 del 24 febbraio 2014, Cass. Sent. n. 3113 del 12 febbraio 2014).
Nella fattispecie la CTR ha rilevato, disattendendo il motivo di impugnazione, come “la lettura dell’atto negoziale fornisce elementi adeguati e sufficientemente chiari per qualificare l’atto come cessione di azienda”.
Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, non puo’ determinare dubbi interpretativi sui casi in cui si configura cessione di azienda, trattandosi di formulazione chiara, non rilevando l’incertezza che deriva da condizioni soggettive del contribuente, ma solo quello che ha rilevanza oggetti va, dovendosi escludere l’errore dovuto ad interpretazione errata della normativa o la diversa interpretazione dei fatti di causa.
10. Anche l’ultimo motivo del ricorso R.G. 23405/13 con cui si deduce l’erronea applicazione dell’istituto della continuazione in luogo di quello del cumulo giuridico va disatteso.
La ricorrente contesta che le violazioni riscontrate (cessione del magazzino e indennita’ di spoliazione) siano state commesse in progressione, ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2, rilevando trattarsi di entita’ del tutto autonome e distinte. Ai fini dell’applicazione dell’istituto della continuazione, regolato dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 12, non e’ richiesta una situazione di incertezza normativa, mentre il fatto che si tratti di diverse violazioni, della stessa indole, commesse in periodi di imposta diversi, non solo non impedisce, ma rappresenta il paradigma legale della fattispecie (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15554 del 02/07/2009) La CTR ha rilevato, al riguardo, che “sussistono.. A presupposti per l’applicazione dell’istituto della continuazione, attesa la connessione oggettiva e funzionale tra le due violazioni, entrambe finalizzate all’evasione dell’imposta dovuta con riferimento all’avvenuta cessione del ramo d’azienda” ritenendo, quindi, con valutazione logica, come le condotte, sia pure diverse ed autonome, siano accomunata dalla stessa indole per essere finalizzate all’evasione d’imposta in relazione alla accertata cessione del ramo d’azienda.
Va, conseguentemente, rigettato il ricorso della societa’ O-I Europe s a r.l., avverso la sentenza n. 30/44/13 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, accolto il terzo e quarto motivo, assorbiti gli altri, del ricorso dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 117/44/12 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., rigettato l’originario ricorso introduttivo della societa’ O-I Manufacturing s.p.a., Sussistono giuste ragioni,desunte anche dalla diversa valutazione dei primi giudici, dalla particolarita’ delle questioni trattate, per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimita’ relative al ricorso avverso la sentenza n. 30/44/13 della Commissione Tributaria Regionale della Campania e le spese dell’intero giudizio in relazione al giudizio originariamente instaurato davanti alla CTP di Milano dalla societa’ O-I Manufacturing s.p.a..
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi.
– Rigetta il ricorso della societa’ O-I Europe s a r.l., avverso la sentenza n. 30/44/13 della Commissione Tributaria Regionale della Campania.
– Accoglie il terzo e quarto motivo, assorbiti gli altri, del ricorso dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 117/44/12 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., rigetta l’originario ricorso introduttivo della societa’ O-I Manufacturing s.p.a..
– Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimita’ relative al ricorso della societa’ O-I Europe s a r.l., avverso la sentenza n. 30/44/13 della Commissione Tributaria Regionale della Campania e le spese dell’intero giudizio in relazione al giudizio originariamente instaurato davanti alla CTP di Milano dalla societa’ O-I Manufacturing s.p.a..
– Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente societa’ O-I Europe s a r.l., avverso la sentenza n. 30/44/13 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma I-bis dello stesso art. 13.
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