CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 4350 del 2 febbraio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – RESPONSABILE IL DATORE DI LAVORO – OMISSIONE DELLE ATTREZZATURE PER LO SVOLGIMENTO IN SICUREZZA DEI LAVORI IN ALTEZZA
Vi è la responsabilità del datore di lavoro per colpa consistita in negligenza, imprudenza e nell’inosservanza della normativa in materia di infortuni sul lavoro, ed in particolare degli artt. 111 e 113 del d.lgs. 81/2008, in quanto non ha predisposto idonee attrezzature per lo svolgimento in sicurezza di lavori ad altezza superiore a m. 2.0, presso il cantiere per costruzione di una villetta, allestendo una scala a pioli, non adeguatamente ancorata; per questo motivo ha cagionato all’impiegato come muratore per il compimento dei predetti lavori edilizi, lesioni gravi consistite nella frattura del femore sinistro, determinata dalla caduta da una altezza di circa 3,6 metri dal descritto ponteggio.
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RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Palermo, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente, R.S.G., con sentenza del 17.6.2015, confermava la sentenza del Tribunale di Palermo, emessa in data 13.1.2014, con condanna al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Il Tribunale in composizione monocratica di Palermo, giudicava in primo grado R.S.G. per i seguenti reati:
a) reato di cui all’art. 590 c.p., comma 3, per avere in qualita’ di datore di lavoro, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e nell’inosservanza della normativa in materia di infortuni sul lavoro, ed in particolare del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 111 e 113, (indicati al capo successivo) non predisponeva idonee attrezzature per lo svolgimento in sicurezza di lavori ad altezza superiore a m. 2.00, presso il cantiere per costruzione di una villetta in (OMISSIS), allestendo una scala a pioli, non adeguatamente ancorata, poneva in essere un antecedente causale necessario, idoneo a cagionare a C.G., impiegato come muratore per il compimento dei predetti lavori edilizi, lesioni gravi consistite nella frattura del femore sinistro compiutamente indicata nei referti medici in atti), determinata dalla caduta da una altezza di circa 3,6 metri dal descritto ponteggio.
b) reato di cui all’art. 159, comma 2, in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 111, perche’, nelle circostanze e nella qualita’ indicata al capo a) non predisponeva le attrezzature di lavoro piu’ idonee per l’esecuzione di lavori edilizi all’altezza di circa mt. 3,00,
c) reato di cui all’art. 159, comma 2, in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 113, perche’, nelle circostanze e nella qualita’ indicata al capo che precede, per l’esecuzione di lavori edilizi all’altezza di circa mt. 3,00, predisponeva una scala a pioli non adeguatamente assicurata o trattenuta per evitare pericolo di sbandamento. Fatti commessi in (OMISSIS).
L’imputato veniva dichiarato responsabile del reato di cui al capo a) e condannato alla pena di mesi 3 e giorni 20 di reclusione ed Euro 700,00 di multa, oltre al pagamento delle spese del giudizio, con pena sospesa nei termini e alle condizioni di legge.
Il Tribunale dichiarava non doversi procedere per i reati di cui ai capi b) e c) perche’ estinti per sopravvenuta prescrizione.
2. Avverso il provvedimento della Corte di Appello ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, R.S.G., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att., c.p.p., comma 1:
a. Mancanza e contraddittorieta’ della motivazione quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti di processo e specificamente indicati nei motivi di gravame, ex art. 606 c.p.p., lett. e), per travisamento delle risultanze probatorie.
Il ricorrente deduce l’esistenza di una contraddittorieta’ processuale, ossia un contrasto tra gli atti processuali e la motivazione della sentenza impugnata.
La sentenza impugnata non avrebbe rispettato le risultanze processuali, distorcendo i risultati probatori acquisiti, con evidente travisamento delle risultanze processuali.
La corte di appello pur dando atto che il tribunale avesse dato conto dell’incertezza della prova all’esito della prova testimoniale e dell’escussione della persona offesa, riterrebbe provata, al di la’ di ogni ragionevole dubbio, la responsabilita’ penale dell’imputato.
Errata, sarebbe, la decisione laddove si afferma che il comportamento negligente della p.o., non escluderebbe la responsabilita’ del datore di lavoro, stante l’insufficienza delle cautele che, se adottate, avrebbero neutralizzato il rischio derivante dal comportamento imprudente.
La Corte territoriale avrebbe omesso di valutare le dichiarazioni rese dalla persona offesa, dalle quali si evincerebbe, a seguito di esplicita richiesta del giudice, l’esistenza del ponteggio e di tutte le cautele necessarie per la sicurezza dei lavoratori.
Il ricorrente riporta le dichiarazioni della persona offesa, dalle quali si evincerebbe che la causa dell’incidente sarebbe stata determinata da un accidente costituito dall’oscillazione di una lastra di marmo, che avrebbe colpito il lavoratore facendogli perdere l’equilibrio.
L’esistenza del ponteggio, sarebbe, inoltre, dimostrata dalle immagini fotografiche.
La stessa Corte distrettuale prima affermerebbe l’esistenza del ponteggio per poi negarla.
Contraddittoria sarebbe anche la motivazione della sentenza sulla validita’ della delega di funzioni. Riconosce, infatti, la carica di direttore dei lavori e responsabile della sicurezza dell’ing. P., ma ritiene di affermare la penale responsabilita’ dell’imputato.
Il ricorrente ribadisce che la forma scritta richiesta ai fini della validita’ della delega, sarebbe necessaria ad probationem e non ad substantiam.
b. Mancanza della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato, ex art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione alla concessione delle attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis c.p..
La sentenza avrebbe omesso di motivare sul diniego delle attenuanti generiche, pur in presenza di espressa richiesta del ricorrente, limitandosi a ritenere equa la pena inflitta.
Chiede, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata con le consequenziali statuizioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Fondato e’ il solo secondo motivo di ricorso, derivandone che la sentenza impugnata va annullata limitatamente al punto concernente la concessione delle circostanze attenuanti generiche, con rinvio su tale punto alla Corte d’Appello di Palermo, dovendosi rigettare il ricorso nel resto.
2. Infondato e’ il primo motivo di ricorso, afferente la responsabilita’ dell’imputato, con il quale il ricorrente deduce l’esistenza di una contraddittorieta’ processuale, ossia un contrasto tra gli atti processuali e la motivazione della sentenza impugnata.
La sentenza impugnata non avrebbe rispettato le risultanze processuali, distorcendo i risultati probatori acquisiti, con evidente travisamento delle risultanze processuali.
Orbene, appare di tutta evidenza che si introducono in questo giudizio elementi di fatto, tesi ad una rivalutazione del compendio probatorio, che non possono trovare ingresso in questa sede.
Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimita’ sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicita’ della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999, Spina, rv. 214794).
Piu’ di recente e’ stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimita’ sulla motivazione non attiene ne’ alla ricostruzione dei fatti ne’ all’apprezzamento del giudice di merito, ma e’ circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorieta’ della motivazione o di illogicita’ evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, B. e altri, rv. 255542).
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c’e’, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilita’ di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E cio’ anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46.
Il giudice di legittimita’ non puo’ procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il ricorrente non puo’, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicita’ e, in concreto, da cosa tale illogicita’ vada desunta.
Com’e’ stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica “rispetto a se’ stessa”, cioe’ rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione puo’ risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purche’ specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.
Avere introdotto la possibilita’ di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo” costituisce invero il riconoscimento normativo della possibilita’ di dedurre in sede di legittimita’ il cosiddetto “travisamento della prova” che e’ quel vizio in forza del quale il giudice di legittimita’, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto e’ stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all’interno della decisione.
In altri termini, vi sara’ stato “travisamento della prova” qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realta’ non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia e’ risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell’imputato). Oppure dovra’ essere valutato se c’erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma occorrera’ ancora ribadirlo non spetta comunque a questa Corte Suprema “rivalutare” il modo con cui quello specifico mezzo di prova e’ stato apprezzato dal giudice di merito, giacche’ attraverso la verifica del travisamento della prova.
Per esserci stato “travisamento della prova” occorre che sia stata inserita nel processo un’informazione rilevante che invece non esiste nel processo oppure si sia omesso di valutare una prova decisiva ai fini della pronunzia.
In tal caso, pero’, al fine di consentire di verificare la correttezza della motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l’atto che contiene la prova travisata o omessa.
Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere carattere di decisivita’. Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimita’ una rivalutazione complessiva delle prove che, come piu’ volte detto, sconfinerebbe nel merito.
3. Se questa, dunque, e’ la prospettiva ermeneutica cui e’ tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Palermo alcuna illogicita’ che ne vulneri la tenuta complessiva. Il ricorrente non contesta il travisamento di una specifica prova, ma sollecita a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali non consentito in questa sede di legittimita’.
I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica hanno, infatti, dato conto che nessun elemento di certezza sia stato raggiunto se non quello che il C. non era stato messo nelle condizioni di lavorare in sicurezza aggiungendo che, se fosse stato vero che era stato montato il ponteggio, allora questo – evidentemente – non era idoneo alla lavorazione da farsi per la collocazione della lastra, perche’ troppo basso e, comunque, non protetto da tavole fermapiede per impedire la caduta nel vuoto.
Nella motivazione della sentenza impugnata si evidenzia anche come la scala messa a disposizione dal lavoratore per la collocazione della lastra di marmo non era idonea ad essere utilizzata per quel tipo di lavorazione.
Mancava, dunque, la predisposizione dell’impalcatura intorno al balcone, che consentisse la collocazione della lastra per la sicurezza del C., impalcatura che, se fosse stata predisposta, avrebbe consentito al Catalano di cadere sul ponteggio e non a terra.
Corretta in punto di diritto e’ l’affermazione che gli obblighi gravanti sul R., quale datore di lavoro, erano quelli previsti dalle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare, dal richiamato del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 111, e che non puo’ avere pregio richiamare una condotta estemporanea del lavoratore, che avrebbe agito di propria iniziativa – secondo la versione del Ca. – salendo su una scala per stendere la colla, dopo essere salito sul piano di calpestio dal ponteggio montato a ridosso del balcone, cosi’ trovandosi ad un’altezza tale da non avere ragione per usare la scala, poiche’ avrebbe potuto arrivarci usando le braccia.
La Corte territoriale ha dato conto, sul punto, che tale e’ la versione fornita da Ca.Ma., genero dell’imputato, che era stato da lui assegnato all’organizzazione del lavoro degli operai nel cantiere e che aveva, egli stesso, manovrato la gru per sollevare la lastra di marmo. Se si ammettesse – ma cosi’ non e’ per i giudici del merito – che il C. aveva agito di propria iniziativa, ponendo in essere la manovra imprudente, allora si dovrebbe affermare che il Ca. avrebbe, comunque, dovuto, tempestivamente, intervenire e impedire la detta manovra.
Conferente appare il richiamo al precedente di questa Corte di legittimita’ di cui alla sentenza 7364/2015 ove si e’ ribadito che il comportamento negligente del lavoratore, che abbia dato occasione all’evento, non vale ad escludere la responsabilita’ del datore di lavoro, quando il sinistro sia, comunque, da ricondurre all’insufficienza di quelle cautele, che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente.
La coerente motivazione della Corte palermitana prosegue rilevando che nemmeno puo’ richiamarsi la presenza, regolare, anche se non quotidiana, del P. nel cantiere, quale coordinatore dei lavori e responsabile della sicurezza – neppure presente in loco il giorno del fatto – in quanto non e’ dato ravvisare negli atti processuali – ne’ e’ stata indicata nell’atto di appello e nella memoria difensiva – la sussistenza di una effettiva delega all’ing. P., da parte del R., di funzioni, tale da sollevare da ogni responsabilita’ il datore di lavoro.
Anche in questo caso il giudice del gravame del merito fa buon governo del costante dictum delle Sezioni Unite di questa Corte Suprema (sent. n. 38343 del 2014) – che va qui ribadito- secondo cui, in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega del D.Lgs. n. 81 del 2008, ex art. 16, riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, si a espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalita’ ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa.
Del resto, viene ricordato in sentenza come il P. abbia riferito che di quelle lavorazioni ne avevano da fare trentasei, tante quante erano i balconi, e che quella manovra era la prima.
I giudici del gravame del merito danno atto che il teste non e’ apparso credibile – a proposito dell’uso della scala che il C. avrebbe fatto – posto che, trattandosi di una lavorazione da ripetere e, quindi, gia’ sperimentata, il metodo da usarsi per sostenere la colla e guidare l’appoggio della lastra sarebbe dovuto essere gia’ chiaro per l’operaio addetto alla lavorazione. A tale proposito, infatti, come ha detto il P., la collocazione della lastra era stata definita nei giorni precedenti e, trattandosi di una fase delicata, era stato convenuto che vi lavorassero almeno due operai.
La logica conclusione cui perviene la sentenza impugnata e’ nel senso di ritenere assai poco credibile che il C. abbia utilizzato una scala per ben posizionare la lastra di marmo, scegliendone una a caso, di propria iniziativa. Cio’ in quanto alla collocazione della lastra erano stati impegnati – oltre al C. – anche il capo cantiere, genero del R., Ca.Ma., intento al momento della caduta a manovrare la “gruetta” secondo il racconto dello stesso Ca.. Ne consegue che, oltre all’assenza della delega vi sono espressi richiami alla qualifica e al dovere del R. in materia di prevenzione della sicurezza dei lavoratori, in quanto viene rilevato essere agli atti la relazione tecnica per la messa in sicurezza del cantiere – prodotta all’udienza del 29.11.2012 – redatta dall’ing. P. su espresso incarico del R..
Viene anche evidenziato come, in altro atto (il sopralluogo della dott.ssa Ro., in data 22.2.2008) espressamente, l’imputato veniva indicato come “responsabile del servizio di prevenzione e protezione”.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere e’ inammissibile perche’ trasformerebbe questa Corte di legittimita’ nell’ennesimo giudice del fatto.
4. Fondato, come dianzi anticipato, e’ invece il motivo di doglianza riguardante l’assoluta assenza di motivazione circa la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Nell’atto di appello del 16.6.2014 a firma dell’Avv. Tommaso De Lisi vi e’ un secondo motivo (“eccessivo rigore del trattamento sanzionatorio e mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche”), con una richiesta di rivalutazione del diniego fondata sulla ampia collaborazione prestata dall’imputato e sul consenso all’esame, oltre che sulla mancata motivazione del diniego da parte del giudice di primo grado.
Su tale motivo di appello, tuttavia i giudici del gravame del merito non spendono neanche un rigo (si legge solo in sentenza che “anche la pena inflitta e’ equa e si profila adeguata al caso concreto, avuto riguardo ai criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p., tra i quali va evidenziata la personalita’ del soggetto per come si evince dal precedente relativo al reato di falsita’ materiale e per come si evince dalle modalita’ della condotta, essendosi mostrato l’imputato insofferente all’adozione delle cautele idonee a scongiurare il pericolo relativo alla sicurezza dei lavoratori nel suo cantiere”).
S’impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente a tale punto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente la concessione delle attenuanti generiche e rinvia su tale punto alla Corte d’Appello di Palermo.
Rigetta il ricorso nel resto.
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