CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 604 del 15 gennaio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – LICENZIAMENTO – DIPENDENTE COMUNALE – VIOLAZIONE DEI DOVERI DI LEALTA’ E CORRETTEZZA – FALSE DICHIARAZIONI – ILLECITO DISCIPLINARE – RAGIONE DI SPECIALITA’
E’ legittimo l’addebito disciplinare, ossia il licenziamento, di un lavoratore del settore del pubblico impiego, il quale ha presentato attestazioni false (nel caso di specie, si trattava una dichiarazione autocertificativa dell’inesistenza di situazioni di incompatibilità) producendo certificati negativi del casellario giudiziale e dei carichi pendenti. Contrariamente il Sindaco aveva acquisito un certificato attestante una condanna penale definitiva per furto e resistenza a pubblico ufficiale, ciò a dimostrazione della fondatezza dell’addebito disciplinare.
—-
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 6 giugno 2014 la Corte d’appello di Napoli confermava la decisione, emessa dal Tribunale, di rigetto della domanda proposta da A.P. contro il Comune di Arzano ed intesa all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimato il 28 luglio 2011 ed alla condanna del Comune alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno.
La Corte notava che il P., già dipendente del Comune, aveva superato un concorso per titoli ed esami per la copertura di un posto di “specialista di vigilanza” ed aveva corrisposto alla richiesta di una dichiarazione autocertificativa dell’inesistenza di situazioni di incompatibilità producendo certificati negativi del casellario giudiziale e dei carichi pendenti, rilasciati dalla Procura della repubblica presso il Tribunale di Napoli. Stipulato il nuovo contratto di lavoro, il Sindaco aveva acquisito un certificato attestante una condanna penale definitiva. Iniziato un procedimento disciplinare per dichiarazioni omissive, violazione dei doveri di lealtà e correttezza, nonché presentazione di certificato falso, il P. era stato condannato al licenziamento senza preavviso sulla base dell’art. 55 quater, comma 1, lett. D, d. lgs. n. 165 del 2001; della delibera comunale n. 144/04, attributiva del potere discrezionale di ammettere in servizio i condannati con sentenza definitiva; del regolamento della polizia municipale approvato con delibera di giunta n.1550/84 e ponente, per la nomina ad ufficiale dei vigili urbani, il requisito dell’incensurata condotta morale e civile, nonché quello dell’assenza di condanne per delitti.
La Corte d’appello negava che il testo unico per gli enti locali approvato con d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, invocato dal P., avesse alcun carattere di specialità e di prevalenza sul testo unico del pubblico impiego approvato con d.lgs. n. 165 del 2000 (ndr d.lgs. n. 165 del 2001), anzi, l’art. 88 dello stesso t.u.e.l. rinviava al d.lgs. n. 29 del 1993 sul pubblico impiego e successive modificazioni, fra le quali quelle del d.lgs. n.165 del 2001. Tanto meno avevano il carattere di specialità, e di applicabilità alla fattispecie concreta, gli artt. 58 e 59 t.u.e.l., che si riferivano a cariche elettive e politiche, o il successivo art. 94, che riguardava la sospensione dei dipendenti delle amministrazioni locali, e non il diniego di assunzione al lavoro.
Il certificato del casellario giudiziale acquisito d’ufficio, a differenza di quello prodotto dal P., attestava una condanna definitiva per furto e resistenza a pubblico ufficiale, ciò che dimostrava la fondatezza dell’addebito disciplinare.
Contro questa sentenza ricorre per cassazione il P. mentre il Comune di Arzano resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 58, 59, 94 d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, che riguarda lo stato giuridico dei dipendenti comunali, prevede un numero chiuso di illeciti disciplinari e, per ragione di specialità, rende inapplicabile l’art. 55 quater d.lgs. 165 del 2001, comminante il licenziamento del pubblico impiegato per falsità documentale o dichiarativa. In particolare l’art. 94 d.lgs. del 2000 cit. estenderebbe le cause di non candidabilità a consigliere comunale all’assunzione dei dipendenti ed escluderebbe così l’operatività, negli enti locali, delle norme generali sul pubblico impiego.
Il motivo non è fondato. Il rapporto di specialità fra le norme suddette, negato dalla sentenza impugnata, è postulato e non dimostrato dal ricorrente, mentre l’art. 94 cit. concerne solo la misura della sospensione e non la fattispecie d’illecito disciplinare, come quella qui in questione.
Col secondo motivo il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ossia sul non avere egli reso alcuna dichiarazione e sulla produzione, da parte sua, edi un certificato autenticato ed effettivamente rilasciato dalla Procura della Repubblica di Napoli, “ancorché” non riportante la condanna penale subita”. Non è vero che la sentenza impugnata non sia motivata su questi punti, che anzi proprio la produzione di un certificato non veridico per omissione è dalla Corte di merito riconosciuto come causa della sanzione disciplinare. Rigettato il ricorso, le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in euro cento/00, oltre ad euro tremilacinquecento per compenso professionale, più accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 quater d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dell’art. 13 cit.