CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza n. 149 depositata il 18 luglio 2023

Straniero – Immigrazione – Emersione di rapporti di lavoro – Previsione che la relativa istanza può essere presentata dai datori di lavoro stranieri in possesso del titolo di soggiorno previsto dall’art. 9 del decreto legislativo n. 286 del 1998, invece che dai datori di lavoro stranieri regolarmente soggiornanti in Italia

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza del 15 settembre 2022 (reg. ord. n. 152 del 2022), il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sezione seconda, ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 1, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, nella parte in cui prevede che la domanda per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o stranieri possa essere presentata solo da datori di lavoro stranieri in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, invece che da datori di lavoro stranieri regolarmente soggiornanti in Italia.

2. – Il giudice rimettente riferisce di essere investito del ricorso proposto da F. B. per l’annullamento del provvedimento con cui la Prefettura di Genova – Sportello unico per l’immigrazione ha rigettato la domanda di emersione, presentata in suo favore ai sensi dell’art. 103, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, perché il richiedente non era titolare di permesso di soggiorno di lungo periodo.

Il TAR Liguria, in sede cautelare, ha sospeso l’efficacia del provvedimento impugnato «in via provvisoria e temporanea, riservando la decisione sull’istanza della parte […] alla ripresa del giudizio cautelare dopo l’incidente di legittimità costituzionale».

3. – Con riferimento alla rilevanza della questione, il rimettente osserva che il procedimento delineato dalla norma censurata, pur essendo attivabile solamente dal datore di lavoro, è destinato a produrre effetti nella sfera giuridica del lavoratore straniero, con la conseguenza che questi ha interesse ad impugnare il suo esito negativo.

Nella specie, la domanda di emersione è stata rigettata perché presentata da un datore di lavoro che, pur in possesso di un permesso di soggiorno per motivi familiari, era privo del permesso di soggiorno di lunga durata. Dalla fondatezza della questione sollevata deriverebbe, quindi, l’accoglimento dell’unico motivo di ricorso dedotto nel giudizio a quo ritenuto meritevole di positiva considerazione.

4. – Con riferimento alla non manifesta infondatezza, ad avviso del TAR Liguria, l’art. 103, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, nella parte in cui limita la possibilità di attivare la procedura da esso prevista ai «datori di lavoro stranieri in possesso del titolo di soggiorno previsto dall’articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni», sarebbe in contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost., in quanto determinerebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra lavoratori che, «a parità di requisiti “sostanziali”», verrebbero ammessi o meno alla procedura di emersione, a seconda del titolo di soggiorno del loro datore di lavoro.

La previsione di un requisito più stringente rispetto a quello previsto, in via generale, dagli artt. 5-bis e 22 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), che consentono a qualsiasi «datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia» di instaurare un rapporto di lavoro subordinato, a tempo determinato o indeterminato, con uno straniero residente all’estero e di stipulare il relativo contratto di soggiorno, inoltre, renderebbe «meno agevole il raggiungimento dello scopo, dichiaratamente perseguito dalla norma, di “favorire” l’emersione del lavoro irregolare e la stipulazione di contratti di impiego nei settori indicati».

5. – Nel giudizio è intervenuto, con atto depositato il 14 gennaio 2023, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

6. – Ad avviso della difesa statale, non sarebbe ravvisabile alcuna lesione dell’art. 3 Cost., in quanto la procedura di emersione del lavoro irregolare prevista dal censurato art. 103 avrebbe carattere eccezionale e quindi, rispetto ad essa, non potrebbe essere assunta a tertium comparationis la disciplina ordinaria dettata dal d.lgs. n. 286 del 1998.

Quest’ultima è, infatti, finalizzata a consentire l’instaurazione di un regolare rapporto di lavoro, mentre l’art. 103 del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, ha introdotto una procedura straordinaria di «regolarizzazione del lavoro sommerso (riservata ad alcuni specifici ambiti lavorativi e condizionata dall’emergenza sanitaria in essere)».

Peraltro, «la previsione della titolarità, in capo al datore di lavoro, del permesso di soggiorno di lungo periodo» apparirebbe giustificata dall’esigenza di valorizzare «la stabilità della [sua] presenza nel territorio nazionale», che costituirebbe «garanzia essenziale» dell’instaurazione di «un solido e duraturo rapporto lavorativo».

7. – In data 17 maggio 2023, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha depositato una memoria, eccependo l’inammissibilità della questione sollevata, atteso il «cospicuo tasso di manipolatività» della pronuncia richiesta, che implicherebbe un «allargamento (non costituzionalmente obbligato) della platea dei datori di lavoro abilitati a presentare la domanda di emersione». Nel merito, la difesa statale ha insistito per la non fondatezza della questione.

Considerato in diritto

1. – Con ordinanza del 15 settembre 2022 (reg. ord. n. 152 del 2022), il TAR Liguria, sezione seconda, dubita, in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, nella parte in cui prevede che la domanda per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o stranieri possa essere presentata solo da datori di lavoro stranieri in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, invece che da datori di lavoro stranieri regolarmente soggiornanti in Italia.

1.2. – Il giudice a quo espone di essere investito del ricorso proposto da F. B. per l’annullamento del provvedimento con cui la Prefettura di Genova – Sportello unico per l’immigrazione ha rigettato la domanda di emersione, presentata in suo favore ai sensi dell’art. 103, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, perché il richiedente non era titolare di permesso di soggiorno di lungo periodo.

1.3. – Ad avviso del giudice rimettente, la norma censurata, nel limitare la possibilità di attivare la procedura di regolarizzazione da essa prevista ai datori di lavoro stranieri in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, invece di consentirla a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, contrasterebbe con l’art. 3, primo comma, Cost.. Questa limitazione, infatti, determinerebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra lavoratori che, «a parità di requisiti “sostanziali”», verrebbero ammessi o meno alla procedura di emersione, a seconda del titolo di soggiorno del loro datore di lavoro.

In particolare, la previsione di un requisito più stringente rispetto a quello previsto, in via generale, dagli artt. 5-bis e 22 del d.lgs. n. 286 del 1998 (cosiddetto t.u. immigrazione), che consentono a qualsiasi «datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia» di instaurare un rapporto di lavoro subordinato, a tempo determinato o indeterminato, con uno straniero residente all’estero e di stipulare il relativo contratto di soggiorno. Inoltre, sarebbe irragionevole in quanto detta disciplina renderebbe «meno agevole il raggiungimento dello scopo, dichiaratamente perseguito dalla norma, di “favorire” l’emersione del lavoro irregolare e la stipulazione di contratti d’impiego nei settori indicati».

2. – Nel giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito l’inammissibilità della questione, atteso il «cospicuo tasso di manipolatività» della pronuncia richiesta, che implicherebbe un «allargamento (non costituzionalmente obbligato) della platea dei datori di lavoro abilitati a presentare la domanda di emersione».

L’eccezione non è fondata, in quanto questa Corte è chiamata a rimuovere la denunciata lesione dell’art. 3, primo comma, Cost. con una pronuncia che elimini il requisito di accesso alla procedura di emersione richiesto dalla norma censurata, qualora ritenuto irragionevole rispetto agli obiettivi dalla stessa perseguiti.

3. – Nel merito, la questione è fondata.

3.1.- La questione di legittimità costituzionale sollevata dall’ordinanza di rimessione riguarda la prima delle due procedure di regolarizzazione previste dall’art. 103 del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, la quale consente ai datori di lavoro di presentare domanda «per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o cittadini stranieri», soggiornanti in Italia prima dell’8 marzo 2020 e che non abbiano lasciato il territorio nazionale dopo quella data (comma 1).

L’accesso a questa forma di regolarizzazione è consentito, in favore di lavoratori italiani o stranieri, ai datori di lavoro che siano «italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero [ai] datori di lavoro stranieri in possesso del titolo di soggiorno previsto dall’articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni», ossia del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Si tratta del titolo di soggiorno concesso in forza del citato art. 9, solamente qualora ricorra una serie di presupposti e, in particolare, il «possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità», la «disponibilità di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale», un «alloggio idoneo» (comma 1), il «superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana» (comma 2-bis). Il permesso è a tempo indeterminato (comma 2) e fra le cause della sua revoca non è prevista la perdita dei requisiti di cui sopra (cioè, del reddito e dell’alloggio idoneo) (sentenze n. 34 e n. 19 del 2022).

3.2. – Va premesso che la disciplina dettata, in via ordinaria, dal citato d.lgs. n. 286 del 1998 per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno per ragioni di lavoro, invece, consente di instaurare un rapporto di lavoro subordinato con uno straniero a qualunque «datore di lavoro […] straniero regolarmente soggiornante in Italia» (art. 22, comma 2), per quanto sia indubbia la specialità dei procedimenti per la legalizzazione del lavoro irregolare degli stranieri (da ultimo, sentenza n. 88 del 2023; in tal senso, anche sentenza n. 172 del 2012).

3.3. – La norma censurata risulta a questa Corte manifestamente irragionevole, in quanto stabilisce un requisito di accesso alla procedura di emersione degli stranieri dal lavoro irregolare eccessivamente restrittivo.

L’emersione del lavoro svolto “in nero” – che nel caso di cittadini stranieri si intreccia alla regolarizzazione della loro presenza in Italia – persegue uno scopo socialmente apprezzabile, a tutela, oltre che delle parti del singolo rapporto di lavoro, dell’interesse pubblico generale, in particolare della regolarità e trasparenza del mercato del lavoro (in tal senso, seppur con riferimento al generale fenomeno del lavoro “nero” o “sommerso”, sentenza n. 173 del 2020).

La norma censurata, al contrario, richiedendo al datore di lavoro che non sia cittadino italiano o di uno Stato dell’Unione europea il permesso di soggiorno di lungo periodo, restringe eccessivamente, in modo non ragionevole, l’ambito dei soggetti che possono presentare istanza per «dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare» con cittadini italiani o stranieri, ostacolando così la realizzazione degli obiettivi perseguiti dallo stesso legislatore, ossia la più ampia emersione del lavoro “nero”. Peraltro, la condizione dell’essere «regolarmente soggiornante in Italia» si cumula con altri requisiti, oggettivi e soggettivi, richiesti nella stessa legge per accedere alla procedura di regolarizzazione, al fine di prevenire eventuali elusioni del sistema di emersione del lavoro irregolare.

3.4. – Il requisito del possesso del permesso di soggiorno di lunga durata è arbitrario e irragionevole anche in considerazione delle specifiche finalità che la procedura di emersione del 2020 era destinata a soddisfare. Lo stesso art. 103, infatti, nell’incipit del comma 1, individua dette finalità nell’esigenza di «garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza sanitaria connessa alla calamità derivante dalla diffusione del contagio del contagio da COVID-19 e favorire l’emersione di rapporti di lavoro irregolari».

Anche dai lavori preparatori emerge che la ratio delle procedure di regolarizzazione in esame andava ravvisata nella necessità di rendere più efficaci le azioni di contenimento e contrasto alla diffusione del COVID-19, salvaguardando la salute pubblica e, contemporaneamente, sostenendo le famiglie e i settori produttivi gravemente colpiti dalla carenza di lavoratori disponibili a causa dell’emergenza pandemica.

3.5. – In conclusione, la norma censurata, riducendo eccessivamente la “platea” dei datori di lavori abilitati ad attivare la procedura di emersione prevista dal censurato art. 103, comma 1, compromette la realizzazione degli obiettivi dalla stessa perseguiti, attinenti tanto alla tutela del singolo lavoratore quanto alla funzionalità del mercato del lavoro in un contesto d’inedita difficoltà. Questa contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la norma censurata lede, dunque, il principio di ragionevolezza (sentenze n. 186 del 2020 e n. 86 del 2017).

4. – Per le ragioni sopra esposte, va dichiarata, in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost., l’illegittimità costituzionale dell’art. 103, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, nella parte in cui prevede che la domanda per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o stranieri possa essere presentata solo da datori di lavoro stranieri in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, invece che da datori di lavoro stranieri regolarmente soggiornanti in Italia.

P.Q.M.

Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 103, comma 1, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, nella parte in cui prevede che la domanda per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o stranieri possa essere presentata solo da datori di lavoro stranieri in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, invece che da datori di lavoro stranieri regolarmente soggiornanti in Italia.