CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 giugno 2018, n. 14136
Lavoro – Cessione del ramo d’azienda – Illegittimità – Risarcimento del danno – Spettanze retributive
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato l’opposizione di T.I. s.p.a. avverso il decreto ingiuntivo che aveva condannato la società al pagamento a R.G. delle spettanze retributive per il periodo dal dicembre 2009 all’aprile 2010. Tale pagamento era dovuto ad avviso della Corte territoriale in quanto con sentenza del 2009 il Tribunale di Napoli aveva disposto il ripristino del rapporto di lavoro con T. a seguito della ritenuta illegittimità della cessione da T. S.p.A a T.N. Logistics Italia S.p.A del ramo d’azienda cui il G. era addetto, ripristino cui T. non aveva ottemperato, sicché la somma spettava al lavoratore a titolo di risarcimento del danno per le somme non versate dal cedente per il mese richiesto. Né ad avviso del Collegio di merito potevano essere detratte le retribuzioni nel frattempo percepite da T.N. Logistic Italia s.p.a., che si sottrarrebbero alla compensatio lucri cum damno considerata la diversità dei soggetti obbligati e che, con l’annullamento della cessione, perderebbero il titolo giustificativo e dovrebbero essere restituite alla TNT.
2. T.I. S.p.A. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a due motivi, ed ha depositato anche memoria ex art. 380 bis comma 2 c.p.c.;
3. R.G. è rimasto intimato.
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso è prospettata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1206, 1208 e 1217 cc. e si censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto valida la messa in mora T. La ricorrente evidenzia come, ai fini della valida messa in mora del creditore, sia necessario che il soggetto abbia l’effettiva disponibilità della prestazione offerta, mentre il lavoratore, nel caso di specie, nel periodo dedotto in giudizio prestava la propria attività lavorativa presso la cessionaria del ramo d’azienda T.N. Logistics Italia S.p.A., ricevendone regolare retribuzione.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1223, 1256, 1453 e 1463 cod. civ. ad attinge la sentenza là dove, nonostante abbia affermato la natura risarcitoria del credito azionato in causa, ha ritenuto che non fosse applicabile il principio della compensatio lucri cum damno e, in particolare, la detrazione dell’aliunde perceptum. La ricorrente sottolinea che, essendo il rapporto lavorativo continuato con la cessionaria, con il conseguente godimento della retribuzione, al lavoratore non sarebbe derivato alcun danno, in applicazione delle norme codicistiche sull’illecito contrattuale (art. 1218 c. c. e ss.).
3. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, impongono di tenere conto del recente arresto n. 2990 del 7/2/2018 delle Sezioni Unite di questa Corte che – esaminando la questione di particolare importanza relativa alla natura retributiva o risarcitoria delle somme spettanti al lavoratore il quale, dopo l’accertamento giudiziale di un’illecita interposizione di manodopera, offerte le proprie energie lavorative, non sia stato riammesso in servizio – hanno operato una rimeditazione del principio, che pareva consolidato nell’elaborazione di questa Corte, secondo il quale il contratto di lavoro è un contratto a prestazioni corrispettive in cui l’erogazione del trattamento economico, in mancanza di lavoro, costituisce un’eccezione, sicché in difetto di un’espressa previsione di legge o di contratto la mancanza della prestazione lavorativa esclude il diritto alla retribuzione, ma determina a carico del datore di lavoro che ne è responsabile l’obbligo di risarcire i danni, eventualmente commisurati alle mancate retribuzioni. Principio che era ritenuto operante anche nel caso di dichiarazione di nullità della cessione di ramo d’azienda, risolta con l’affermazione secondo la quale l’obbligazione del cedente, il quale non provveda al ripristino del rapporto di lavoro, deve essere qualificata come risarcimento del danno, con la conseguente detraibilità del cosiddetto aliunde perceptum (v. Cass. N. 19740/2008 e, più di recente, Cass. 18955/2014 e Cass. 24817/2016).
4. Le Sezioni Unite hanno infatti opinato per una soluzione ritenuta rispettosa degli artt. 3, 36 e 41 Cost., sotto il profilo dell’ effettività della tutela giurisdizionale e della piena attuazione dei diritti del lavorator e, affermando che il datore di lavoro il quale, nonostante la sentenza che accerta il vincolo giuridico, non ricostituisca il rapporto di lavoro senza alcun giustificato motivo, dovrà sopportare il peso economico delle retribuzioni, pur senza ricevere la prestazione lavorativa offerta dal lavoratore.
5. La soluzione adottata dal Supremo Collegio è trasponibile alla questione affrontata in causa, atteso che sotto il profilo della conformazione del sinallagma funzionale il caso ivi esaminato è identico a quello della cessione di ramo d’azienda in cui sia stata dichiarata la nullità della cessione o la sua inefficacia nei confronti del lavoratore.
In tal modo, la sentenza risolve anche i dubbi di legittimità costituzionale della diversa soluzione prospettati dalla Corte d’appello di Roma nell’ordinanza di rimessione alla Consulta del 2 ottobre 2017.
6. Dalla ritenuta spettanza delle retribuzioni per il periodo successivo alla realizzata illegittima cessione del ramo d’azienda non deriva tuttavia la conseguenza della possibilità di cumulare due retribuzioni (quella dovuta dal cedente e quella percepita dal cessionario).
E difatti, le Sezioni Unite hanno applicato al caso esaminato di interposizione fittizia di manodopera nell’appalto di servizi il disposto dell’art. 27 comma 2 del d.lgs n. 276 del 2003 dettato in tema di somministrazione irregolare e richiamato dal comma 3 bis dell’art. 29 che disciplina l’appalto illecito, secondo cui “tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata”.
Nell’effettuare tale richiamo, hanno ricondotto l’art. 27 cit. ai principi del diritto comune, ed in particolare alla disciplina dettata dagli artt. 1180, 1 comma c.c. e 2036, comma 3, c.c. che regolano l’ adempimento del terzo e l’indebito soggettivo. Tale soluzione manifesta e ribadisce la portata dell’efficacia satisfattiva del pagamento del terzo, già applicata dalla giurisprudenza di questa Corte anche al versamento dei contributi previdenziali effettuato dal datore di lavoro apparente nell’interposizione illecita disciplinata dalla legge L. n. 1369 del 1960, (v. Cass. n. 20 del 4/01/2016, Cass. n. 17516 del 03/09/2015) precisandosi anche, in tali casi, che non sussiste errore scusabile sull’ altruità del debito idoneo a determinare la ripetizione ex art. 2036 I c. c.c. (Cass. n. 12509 del 07/07/2004, Cass. n. 23844 del 15/11/2011).
Resta così confermato che l’obbligazione rimane unica e non si duplica, anche se venga adempiuta da un soggetto diverso dal vero debitore.
7. Con riguardo alla fattispecie in rassegna, questa Corte ha già chiarito (v. Cass. n. 18955 del 09/09/2014 ) che nella cessione del ramo d’azienda si ha la sostituzione del cessionario al cedente nel rapporto giuridico, il quale rimane – di regola e salvo eccezione la cui prova dev’essere fornita dalla parte interessata – eguale nei suoi elementi oggettivi. Applicando dunque i principi sopra esposti, ne deriva che, una ed una sola essendo la prestazione lavorativa che il lavoratore svolge nel ramo (illegittimamente) ceduto, il pagamento della relativa retribuzione da parte del cessionario costituisce un pagamento consapevolmente effettuato da un soggetto che non è il vero creditore della prestazione, e dunque un adempimento del terzo, cui consegue la liberazione del vero obbligato, in applicazione del medesimo principio generale previsto dall’art. 1180 c.c., comma 1, c.c. Con la conseguenza che il lavoratore non potrà ottenere dal cedente la medesima retribuzione già corrispostagli dal cessionario, ma solo le differenze rispetto a quanto avrebbe percepito alle dipendenze del primo.
8. La soluzione adottata dalla Corte territoriale non risulta dunque nel caso corretta e conforme a diritto ed il ricorso, manifestamente fondato nei termini sopra esposti, va accolto con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.
9. Segue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che dovrà decidere la causa applicando il principio di diritto sopra affermato e provvedere anche alla regolamentazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolamentazione delle spese, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.
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