CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 giugno 2018, n. 14377
Rapporto di lavoro – Demansionamento – Mansioni meno valorizzanti – Danno da lesione alla professionalità – Risarcimento
Fatti di causa
1. Con la sentenza n. 299/2010 il Tribunale di Massa accoglieva la domanda proposta da R. S. avverso Poste Italiane riconoscendo l’avvenuto demansionamento da quinto a quarto livello prima e da livello C a livello D poi e condannando il datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive per euro 349,35 oltre successive differenze fino alla reintegrazione al corretto inquadramento nonché al risarcimento del danno in misura di euro 20.000,00 per danno biologico ed euro 10.000,00 per danno morale.
2. La Corte di appello di Genova, in parziale riforma della sentenza impugnata, decidendo sugli appelli proposti da entrambe le parti rideterminava le somme dovute dalle Poste a favore del R. in euro 8.711,63 a titolo di danno alla salute ed euro 34.000,00 a titolo di danno da lesione alla professionalità e confermava nel resto. A fondamento della propria decisione la Corte territoriale ha ritenuto che correttamente il Giudice di prime cure avesse ravvisato un demansionamento; il CCNL del 1994 consentiva una fungibilità verticale (anche al ribasso) per chi svolgeva le mansioni del R., ma l’art. 47 del detto CCNL, nel regolare la frase transitoria, la prevedeva solo all’interno di determinati raggruppamenti per cui il R. poteva come assistente disegnatore essere destinato alle qualifiche tecniche oppure come operatore specializzato alle posizioni superiori di revisore o dirigente di esercizio, ma la norma non consentiva di tramutare un assistente tecnico- disegnatore o un operatore specializzato in un portalettere. Anche il CCNL del 2001 non consentiva di passare dalla categoria V (qualifica spettante al R. in relazione all’originaria assunzione) alla IV categoria (portalettere). Ancora alla luce del CCNL del 2003, posto che il R. operava quale portalettere senior ( da oltre tre anni), non poteva essere inserito al livello D. Le mansioni della categoria cui il R. aveva in quel momento diritto di svolgere si potevano ritrovare anche nel livello D come disciplinato dalla contrattazione del 2003, ma il R. era già stato demansionato dal 1997 e quindi inquadrato nella categoria D proprio in virtù del detto demansionamento.In ogni caso se ciò non fosse avvenuto ed il R. avesse per dieci anni svolto le mansioni di smistatore (affidate nel 1994) avrebbe potuto essere inquadrato nel 2003 addirittura in mansioni superiori a quelle del livello V. La domanda di mobilità volontaria del lavoratore non indicava alcun consenso all’attribuzione di una categoria inferiore, né i testi avevano con chiarezza confermata la circostanza.; peraltro i patti in deroga all’art. 2103 cod. civ. sono nulli salvo che per evitare un licenziamento. Per la Corte territoriale sussisteva quindi il diritto all’attribuzione di mansioni corrispondenti al livello rivendicato ed alla condanna delle differenze retributive. La Corte territoriale, in ordine al risarcimento del danno alla salute, riteneva tale domanda fondata e proposta in primo grado e la liquidava alla luce dei parametri fissati dalle cosiddette tabelle del Tribunale di Milano (comprensivi del danno alla salute sia come pregiudizio biologico sia come pregiudizio morale) nella somma di euro 14.832,00; a tale danno doveva aggiungersi il danno alla professionalità posto il prolungato demansionamento e l’adibizione a mansioni meno valorizzanti (indicate specificamente a pag. 13 della sentenza impugnata) con la connessa perdita di specifiche professionalità acquisite. La liquidazione di tale danno poteva determinarsi in via equitativa ed andava stabilita in due mensilità per ogni anno di dequalificazione (dei 13 sofferti) e così complessivamente nella somma di euro 34.000,00. Doveva sottrarsi quanto percepito dall’INAIL in via previdenziale in relazione al danno alla salute per la sola menomazione psico-fisica in sé considerata . Conclusivamente in parziale riforma della sentenza venivano liquidate le somme pari ad euro 8.711,63 per danno alla salute ed euro 34.000,00 per lesione della professionalità.
3. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la società Poste italiane con due motivi; resiste controparte con controricorso corredato da memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cod. civ. e degli artt. 1362 e 1367 cod. civ, e dei contratti ed accordi collettivi in particolare degli artt. 41,46 e 47 del CCNL 94, dell’ art. 5 del CCNL 2001 e dell’art. 21 CCNL del 2003 e dei relativi allegati. La contrattazione collettiva del 2001 e del 2003 ed anche quella precedente del 94 prevedeva una fungibilità orizzontale e verticale ascendente di tutte le figure professionali. L’inquadramento del R. nel 2003 era quindi corretto nel livello D.
2. Il motivo appare infondato. La Corte territoriale ha infatti osservato che il R. pacificamente, almeno dal 1997, al momento del trasferimento a Massa Carrara fu impiegato con mansioni di portalettere mentre in precedenza era un assistente tecnico – disegnatore ed il CCNL del 94 non consentiva, alla sua disposizione transitoria ( art. 47), tale passaggio ammettendo solo la fungibilità verticale solo all’interno di determinati raggruppamenti e quindi come assistente disegnatore con riferimento alle qualifiche tecniche oppure come operaio specializzato alle posizioni superiori di revisore o dirigente di esercizio. Tale spècifico accertamento da parte della Corte di appello non è stato minimamente esaminato nel motivo che afferma, in linea generale, la piena fungibilità delle mansioni in specifico negata dai Giudici di appello – come detto- sulla base di disposizioni contrattuali la cui interpretazione non viene contrastata con specifiche argomentazioni in realtà, ma solo ignorata. Analogo discorso va fatto per il CCNL del 2001 che secondo la Corte territoriale prevedeva la completa surrogabilità verticale ma con esclusione del passaggio dalla categoria VI e V (quest’ultima ascrivibile al R. in virtù dell’originaria assunzione) alla IV (propria del portalettere), contratto comunque entrato in vigore a distanza di almeno 4 anni dall’originaria dequalificazione, come rilevato dalla Corte di appello specificamente riguardo il CCNL del 2003, entrato in vigore a distanza temporale ancora più vistosamente distante dall’adibizione a mansioni dequalificanti.
3. Con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. civ. proc. in relazione agli artt. 2103, 2089, 2043, 2697 e 2727 cod. civ., nonché l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata. Occorreva la deduzione e la prova di un effettivo danno alla professionalità.
4. Il motivo appare infondato posto che non si ricostruisce il contenuto del ricorso in primo grado sicché da questo punto di vista il motivo è generico ed inoltre la Corte di appello ha positivamente verificato che la domanda era stata specificamente proposta e che sul, punto era state fornite le allegazioni di cui alle pagine XLV e ss. che il motivo non esamina. Su questa base è stata correttamente liquidato il danno in via equitativa alla luce di specifici elementi di cui alle pagg. 13 e 14 della sentenza impugnata che hanno ricostruito in dettaglio il vulnus arrecato alla professionalità del ricorrente nei 13 anni di demansionamento ( il quantum peraltro non è stato contestato).
5. Va pertanto rigettato il ricorso: le spese di lite- liquidate come al dispositivo- seguono la soccombenza.
6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 4.500,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge da distrarsi in favore del procuratore di parte resistente, Avv.to G. S., antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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