CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 settembre 2018, n. 21687
Tributi – Redditi di impresa – Inattendibilità delle scritture contabili – Accertamento analitico-induttivo – Determinazione della percentuale di ricarico da parte dell’ufficio – Onere di prova contraria a carico del contribuente
Rilevato che
– in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento di maggiori redditi d’impresa ai fini IVA, IRAP ed IRES, per l’anno d’imposta 2010, conseguente anche al disconoscimento di costi ritenuti indeducibili in quanto non inerenti, la M. s.r.l., in liquidazione, propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui replica l’intimata con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la CTR, rigettata l’eccezione di inammissibilità, per specificità dei motivi, dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, l’accoglieva ritenendo legittimo l’accertamento analitico – induttivo espletato nel caso di specie dall’amministrazione finanziaria sussistendo il presupposto di inattendibilità delle scritture contabili, di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, e corretta la percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio nella misura del 63 per cento, non avendo la società contribuente fornito alcuna prova idonea a giustificare la minore percentuale applicata;
– alla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
– il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.
Considerato che
– va preliminarmente rilevata l’infondatezza della censura sollevata dalla controricorrente, di inammissibilità del ricorso per inesistenza della notifica dello stesso, in quanto effettuata con consegna a mani all’Ufficio locale periferico; invero, dalla documentazione in atti risulta che il ricorso è stato notificato, peraltro tempestivamente, anche a mezzo posta, all’Agenzia delle entrate (individuato nel suo ufficio centrale) e la nullità della stessa (Cass., Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016, Rv. 640603-01) conseguente alla irrituale notifica effettuata presso l’Avvocatura Generale dello Stato deve ritenersi sanata ex art. 156 cod. proc. civ. con la tempestiva costituzione in giudizio dell’Agenzia intimata (in termini già Cass., Sez. 5, Sentenza n. 1548 del 05/02/2002, Rv. 552084-01);
– venendo, quindi, ai motivi di ricorso, con la prima censura del primo plurimo motivo di ricorso viene dedotta la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione, mancando dei requisiti previsti dall’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, e con una seconda censura, la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. con riferimento al motivo di ricorso con cui aveva dedotto la nullità dell’avviso di accertamento per carenza del “requisito dirigenziale” in capo al soggetto che l’aveva sottoscritto;
– la prima censura è infondata in quanto nella sentenza impugnata sono rinvenibili tutti i requisiti previsti dal citato art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, in particolare l’esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione assunta; invero, secondo l’insegnamento di questa Corte, «ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass. n. 1756 del 2006, n. 16736 del 2007, n. 9105 del 2017); ipotesi, queste, che non sono ravvisabili nel caso in esame, in cui la CTR ha esposto in motivazione una chiara ratio deciderteli, spiegando le ragioni di condivisione degli esiti degli accertamenti fiscali (in punto di indeducibilità dei costi, di irregolarità nella redazione dei modelli INTRASAT, di frequente ed ingiustificato ricorso alle vendite a stock, di mancata esibizione di una dettagliata documentazione dei capi inventariati e stoccati, di individuazione della percentuale di ricarico da applicare) che giustificavano sia il ricorso all’accertamento analitico – induttivo, che i suoi esiti;
– è, invece, inammissibile la seconda delle censure prospettate in quanto nuova, non risultando dal contenuto della sentenza né dal motivo di ricorso, che sul punto è carente di autosufficienza, che la questione sia stata prospettata come motivo di impugnazione dell’atto impositivo;
– il secondo motivo di ricorso, con cui viene dedotta la nullità della sentenza per carenza di valido dispositivo, in violazione dell’art. 156 cod. proc. civ., è palesemente infondato e va rigettato;
– al riguardo va preliminarmente ribadito il principio secondo cui «la portata precettiva di una sentenza va individuata con riferimento non solo al dispositivo, ma anche alla motivazione» (cfr., ex multis, Cass. n. 13441 del 2007) e che «la portata di una pronuncia giurisdizionale va individuata tenendo conto non soltanto delle statuizioni finali contenute nella parte dispositiva, ma anche delle enunciazioni riportate nella motivazione, la quale, nelle decisioni di accertamento e di condanna, incide sul momento precettivo della pronuncia tanto da considerarsi integrativa del dispositivo stesso, supplendo, eventualmente, alle lacune di questo in quanto rivelatrice dell’effettiva volontà del giudice» (cfr. Cass. n. 1079 del 2016), con la conseguenza che «sussiste contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la nullità della sentenza, solo quando il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale e, conseguentemente, del diritto o bene riconosciuto» (cfr., ex aliis, Cass. n. 26077 del 2015; v. anche Cass. n. 24600 del 2017);
– nel caso di specie deve escludersi la nullità della sentenza essendo il suo dispositivo – del seguente testuale tenore: «la Commissione accoglie l’appello e condanna la società contribuente al pagamento delle spese di giudizio […]» – assolutamente idoneo a rendere palese, alla stregua di quanto esposto in motivazione (dove si afferma espressamente la «legittimità dell’accertamento operato dall’Ufficio» – sentenza, pag. 4), l’integrale riforma della decisione di primo grado, la cui espressa indicazione nel dispositivo, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, non è affatto necessaria;
– con il terzo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omessa valutazione di fatti decisivi per il giudizio «evidenziati dalla parte ricorrente in sede di controdeduzioni in appello»; lamenta, inoltre, che la CTR nulla aveva statuito «sulle sanzioni comminate per presunte violazioni nella redazione degli elenchi intrasat»;
– con il quarto motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ., per avere la CTR omesso di considerare «le risultanze probatorie depositate agli atti dei due precedenti gradi di giudizio»;
– i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili per diverse convergenti ragioni; innanzitutto, perché attraverso il generico riferimento alle argomentazioni svolte nelle controdeduzioni depositate in grado di appello ed ai documenti depositati in giudizio, che secondo la prospettazione di parte la CTR avrebbe omesso di esaminare e valutare, la ricorrente sollecita una complessiva rivalutazione delle risultanze processuali, non consentita dal novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (cfr., ex multis, Cass. n. 9097 del 2017, n. 29404 del 2017); inoltre, nel terzo motivo la ricorrente non ha indicato i fatti decisivi pretermessi dalla CTR e, in palese violazione del principio di autosufficienza, la ricorrente ha del tutto trascurato di riprodurre nel ricorso il contenuto dei documenti depositati nel giudizio e non valutati dai giudici di appello, cui ha fatto riferimento nel quarto motivo, in tal modo impedendo a questa Corte – che, in ragione del vizio dedotto, non ha accesso agli atti del giudizio di merito – il vaglio di fondatezza delle censure;
– inammissibile è il terzo motivo anche là dove la ricorrente lamenta che la CTR non aveva adottato alcuna statuizione «sulle sanzioni comminate per presunte violazioni nella redazione degli elenchi intrastat»; invero, anche a voler prescindere dall’erronea sussunzione del vizio, erroneamente dedotto come vizio motivazionale anziché come error in procedendo ex art. 112 cod. proc. civ., la ricorrente omette del tutto di riprodurre il contenuto della domanda avanzata sul punto nel giudizio di merito, né offre alcuna altra specifica indicazione per la esatta individuazione della stessa;
– conclusivamente, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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