CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 ottobre 2022, n. 29526
Rapporto di lavoro – Mancato riconoscimento del superiore inquadramento – Falsa denuncia presentata nei confronti del datore – Condotta atta ad arrecare grave nocumento morale e materiale – Licenziamento – Legittimità
Rilevato che
con la sentenza impugnata è stata confermata la pronuncia del Tribunale di Monza con la quale era stata rigettata l’azione promossa da A. K. nei confronti della “S. s.r.l.” volta al conseguimento della declaratoria di illegittimità del licenziamento – con conseguente ordine di reintegrazione e statuizione di condanna risarcitoria – intimato con lettera del 18 ottobre 2014, per avere il lavoratore presentato una denunzia-querela a carico del legale rappresentante della società, comportante, tra l’altro, grave nocumento alla società stessa;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A. K., affidato a quattro motivi;
la “S. s.r.l.” ha resistito con controricorso;
il P.G. non ha formulato richieste.
Considerato che
con il primo motivo il ricorrente – denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della I. n. 300 del 1970, 1 e 3 della I. n. 604 del 1966, 1175 c.c., 1375 c.c., 2697 c.c., 2909 c.c., 115 c.p.c., 116 c.p.c. e 649 c.p.p., nonché omessa, insufficiente ed erronea motivazione su un punto decisivo per la controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c. – si duole che il giudice del reclamo abbia omesso di considerare che la società, a fronte di un’unica condotta, aveva proceduto ad una duplicazione (nelle date del 29 luglio 2014 e 29 settembre 2014) della contestazione disciplinare, in tal modo violando, con l’intimazione del licenziamento all’esito della seconda contestazione – con la quale era stato addebitato al lavoratore di aver presentato una falsa denuncia, astrattamente costituente fattispecie di reato ex art. 638 c.p., in danno dei signori L. V. e L. G., con conseguente grave nocumento morale e materiale per la società ex art. 54, comma 1, del ccnI applicabile -, il principio generale del “ne bis in idem” e del giudicato; infatti, a seguito della prima contestazione – con la quale era stato addebitato al lavoratore di aver presentato una denuncia querela nei confronti di due dipendenti senza aver informato preventivamente la società del motivo della denuncia, nonché di aver minacciato l’azienda e L. V. ritenendoli responsabili di qualsiasi problema legato ai fatti di cui alla predetta denuncia – la società avrebbe consumato il proprio potere disciplinare, avendo archiviato la prima contestazione in riferimento alla mancata informativa alla società, essendosi riservata di avviare diverso procedimento disciplinare quanto alla fondatezza della denuncia ed avendo irrogato una sanzione conservativa quanto all’episodio della minaccia;
con il secondo motivo – denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della I. n. 300 del 1970, 1 e 3 della I. n. 604 del 1966, 2697 c.c., 115 c.p.c., 116 c.p.c. e 52 del ccnI “Gomma Plastica Industria”, nonché omessa, insufficiente ed erronea motivazione su un punto decisivo per la controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c. – lamenta che il predetto giudice abbia ritenuto non tardiva la contestazione disciplinare del 29 settembre 2014, avendo individuato, ai fini della tempestività, il momento in cui la società aveva avuto consapevolezza non del contenuto della denuncia querela, bensì della falsità (peraltro mai dichiarata ed accertata da nessuno) dei fatti denunciati;
con il terzo motivo – denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 7 della I. n. 300 del 1970, 54 (ex 55) del ccnl “Gomma Plastica Industria”, 1 e 3 della I. n. 604 del 1966, 2697 c.c., 115 c.p.c. e 116 c.p.c., nonché omessa, insufficiente ed erronea motivazione su un punto decisivo per la controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c. – si duole che la Corte territoriale abbia disapplicato il principio di diritto secondo cui non è integrata la giusta causa o il giustificato motivo soggettivo di licenziamento nell’ipotesi in cui il lavoratore denunci all’autorità giudiziaria fatti di reato commessi dal datore, a meno che non risulti il carattere calunnioso della querela;
con il quarto motivo – denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della I. n. 300 del 1970, 1 e 3 della I. n. 604 del 1966, 2106 c.c., 2697 c.c., 115 c.p.c., 116 c.p.c., 53 e 54 del ccnI “Gomma Plastica Industria”, nonché omessa, insufficiente ed erronea motivazione su un punto decisivo per la controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c. – lamenta che la predetta Corte abbia, da un lato, ritenuto sussistente il “grave danno morale” per la società in conseguenza di una denuncia ritenuta erroneamente falsa (in difetto di un reato di calunnia) ed in assenza della prova di qualsivoglia danno morale o materiale mai neppure specificato, quantificato e rivendicato, e, dall’altro, disapplicato il citato art. 53 del ccnl, che prevede l’irrogazione di una sanzione conservativa a carico di chi, tra l’altro, commetta mancanze recanti pregiudizio, tra l’altro, “alla morale”.
Ritenuto che
il primo motivo è inammissibile, poiché, da un lato, non sono neppure indicati i canoni interpretativi nel caso non considerati o violati dal giudice di merito nella valutazione delle due contestazioni disciplinari – non potendo la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione fornita dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata -, ritenute, all’esito di un giudizio di fatto, non sovrapponili, in quanto aventi ad oggetto condotte distinte (coincidendo la seconda, come meglio si vedrà, con la affermazione, contenuta nella denuncia, che il V. fosse a conoscenza del fatto che, all’interno della ditta, lavorassero persone in possesso di documenti di soggiorno con foto appartenenti, invece, a lavoratori non titolari di permesso);
dall’altro, l’esame del dedotto vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., è nel caso in radice precluso per via dell’operatività della cd. “doppia conforme”, in difetto di dimostrazione, ad opera del ricorrente, che le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello siano state tra loro diverse (cfr., sul punto, Cass. 22/12/2016, n. 26774; in senso conforme v., di recente, Cass. 15/03/2022, n. 8320));
il secondo motivo è del pari inammissibile, poiché è riservata al giudice di merito la valutazione degli elementi di fatto ai fini della formulazione del giudizio inerente alla tempestività o meno della formulazione degli addebiti (cfr., tra le altre, Cass. 8/03/2010, n. 5546, ove è affermato che «la valutazione della tempestività della contestazione costituisce giudizio di merito»), la cui sindacabilità in sede di legittimità è nel caso – per come sopra visto – impedita in radice dalla sussistenza della cd. “doppia conforme”;
il terzo motivo va disatteso, perché il giudice del gravame ha supportato le proprie conclusioni uniformandosi proprio all’orientamento (richiamato in ricorso) di cui è espressione Cass. 26/09/2017, n. 22375 (ove, tra l’altro, in motivazione, si legge che «l’esercizio del potere di denuncia, riconosciuto dall’art. 333 c.p.p., non può essere fonte di responsabilità, se non qualora il privato faccia ricorso ai pubblici poteri in maniera strumentale e distorta, ossia agendo nella piena consapevolezza della insussistenza dell’illecito o della estraneità allo stesso dell’incolpato»), avuto riguardo al tenore degli addebiti – “id est”: presentazione di falsa denuncia astrattamente costituente fattispecie di reato ex art. 368 c.p. e, comunque, “condotta atta ad arrecare grave nocumento morale e materiale” alla società ai sensi e per gli effetti dell’art. 54 ccnl -, nonché ad un particolare passaggio della denuncia – “id est”: “So che all’interno della ditta lavorano delle persone con documenti di soggiorno falsi ovvero il permesso è regolare ma la foto ivi impressa è del lavoratore non titolare del permesso (…)”. I fatti sopra descritti sarebbero stati noti al signor L. V. giacché in denuncia si legge: “Sono certo che il V. L. sia a conoscenza di questo ed è anche probabile che abbia o stia cercando di sanare questa situazione in virtù del fatto che mi ha esortato lui stesso a fare denuncia”» -; in particolare, il predetto giudice ha accertato – con giudizio che sfugge al sindacato di legittimità -, da un lato, che L. V. non era a conoscenza delle denunciate falsità concernenti i lavoratori, e, dall’altro, che il ricorrente era da tempo al corrente dei fatti, ma aveva presentato la denuncia solo allorquando gli era stata ribadita l’infondatezza di alcune sue rivendicazioni in termini di inquadramento; sicché «Dalla concatenazione logica e cronologica dei fatti emerge in maniera chiara che la denuncia querela sia stata presentata non per rimuovere una situazione di illegalità o per tutelare i diritti del querelante ma con la volontà di danneggiare il datore di lavoro per vendicarsi del mancato riconoscimento delle proprie rivendicazioni»;
il quarto motivo è infine da disattendere, poiché il giudice del reclamo (tenuto conto, in particolare, del seguente passaggio motivazionale: «Tale condotta, che ha comportato comunque l’apertura di un procedimento penale a carico di L. V. quale legale rappresentante della S. srl, che ha comportato un accesso dei Carabinieri presso la sede della società con l’acquisizione di diversi documenti e l’escussione di diversi dipendenti, ha indubbiamente arrecato un grave danno morale alla società incolpata di aver assunto consapevolmente, ed in maniera illegale, delle persone extracomunitarie introdottesi clandestinamente nel territorio italiano e che utilizzavano generalità e permessi di soggiorno falsi») ha identificato il “grave nocumento morale”, di cui alla disposizione collettiva di riferimento – la cui errata interpretazione ad opera del predetto giudice non è stata fatta oggetto di valida censura -, nell’apertura di un procedimento penale concernente un fatto di consistente gravità denunciato dal ricorrente – ossia che il legale rappresentante della società fosse a conoscenza delle descritte irregolarità afferenti alle posizioni di determinati lavoratori -, poi smentito in sede di istruttoria; ed un tale giudizio di sussunzione del fatto non può dirsi sfornito di ragionevolezza, in quanto si rivela, avuto riguardo alla ravvisata volontà del ricorrente di danneggiare il datore di lavoro per vendicarsi del mancato riconoscimento delle proprie rivendicazioni, coerente con gli “standards”, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr., in tema, Cass. 20/05/2019, n. 13534); né l’applicabilità dell’art. 54 del ccnl può ovviamente ritenersi, come ipotizzato in ricorso – per effetto di una enfatizzazione dell’uso del termine “danno” presente nella sentenza, il quale va ovviamente letto, nel suo significato tecnico, alla stregua del predetto articolo -, subordinata alla quantificazione di un danno morale, facendo la norma collettiva riferimento semplicemente ad un “nocumento”, ossia ad un mero (nonché grave) pregiudizio;
le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 4.000,00 per compensi e in euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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