CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 agosto 2021, n. 22871
Infortunio sul lavoro – Riconoscimento dell’indennizzabilità dei danni permanenti – Prova dell’occasione di lavoro – Nesso causale tra rischio lavorativo ed evento lesivo
Rilevato che
1. la Corte di Appello di Potenza, con sentenza n. 171 del 2015, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta dall’attuale ricorrente per il riconoscimento dell’indennizzabilità dei danni permanenti derivati dall’infortunio occorso nello svolgimento dell’attività lavorativa;
2. per la Corte di merito l’episodio sincopale occorso al lavoratore, in azienda, in procinto di iniziare il turno di lavoro, non era collegato a rischio lavorativo, né il lavoratore aveva allegato, in primo grado, l’esistenza di un antecedente lavorativo che avesse contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, per cui il contesto costituiva mera occasione, non causa o concausa dell’evento lesivo, e neppure momento di esposizione a rischio patogeno; la storia clinica del lavoratore deponeva per un’eziologia extraprofessionale soprattutto in considerazione dello stato di riposo in cui egli si trovava (in attesa dell’inizio del turno lavorativo), dell’assenza di segnalazioni al medico competente o di rischi e di cambio di mansioni o di assenze per malattia durante il rapporto; inoltre, era del tutto mancata l’indicazione delle mansioni cui era addetto (il mutamento di mansioni seguito all’evento era conseguenza della limitazione funzionale dell’arto superiore, non delle patologie ipertensiva, cardiopatica, diabetica); in conclusione, non vi era prova dell’occasione di lavoro (la sussistenza di un rischio lavorativo causa della noxa patogena) in carenza di allegazione, anche in termini probabilistici, del nesso causale tra rischio lavorativo ed evento lesivo;
3. avverso tale sentenza C.C. ha proposto ricorso affidato a due motivi, al quale ha opposto difese l’INAIL, con controricorso;
Considerato che
4. con i motivi di ricorso si deduce nullità della sentenza e violazione dell’art. 2 d.P.R. n.1124 del 1965, per avere escluso l’indennizzabilità dell’infortunio perché derivante da svenimento e/o sincope, e si assume che nella specie sussisteva sia il nesso causale, tra l’evento e le patologie accertate (lussazione epifisi omerale destra), sia la causa violenta, per lo sforzo lavorativo costante e giornaliero, non potendo escludersi, a priori, che lo svenimento fosse stato causato dal logorio lavorativo (primo motivo); nullità della sentenza e omesso esame di un fatto decisivo, in relazione agli artt. 131, 132, 161 cod.proc.civ., per avere la Corte di merito disatteso le diverse conclusioni dell’ausiliare officiato nel giudizio di primo grado, senza motivare sulla richiesta di rinnovo della consulenza tecnica, conseguendone la nullità della sentenza (secondo motivo);
Il ricorso è da rigettare;
vale premettere che secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte (cfr., per tutte, Cass. 26 maggio 2006 n. 12559 e numerose successive conformi), la nozione legale di causa violenta lavorativa comprende qualsiasi fattore presente nell’ambiente di lavoro in maniera esclusiva o in misura significativamente diversa che nell’ambiente esterno, il quale, agendo in maniera concentrata o lenta, provochi (nel primo caso) un infortunio sul lavoro o (nel secondo) una malattia professionale (v., fra tante, Cass. n. 8301 del 2019);
tanto vale anche quando, nell’ambiente di lavoro, il lavoratore sia in attesa o in procinto di iniziare il turno lavorativo, rilevando esclusivamente l’occasione di lavoro quale criterio di collegamento con l’attività lavorativa che, come chiarito da Cass., Sez. Un. n. 17685 del 2015, giustifica la tutela differenziata, costituzionalmente garantita, rispetto ad altri eventi dannosi, evolutasi in senso estensivo, fino a ricomprendere tutte le attività prodromiche e strumentali all’esecuzione della prestazione lavorativa e tutte le condizioni, comprese quelle ambientali e socio – economiche, in cui l’attività lavorativa si svolge e nelle quali è insito un rischio di danno per il lavoratore, indipendentemente dal fatto che tale danno provenga dall’apparato produttivo o dipenda da terzi o da fatti e situazioni proprie del lavoratore (col solo limite, in quest’ultimo caso, del c.d. rischio elettivo); le censure, tuttavia, non incrinano la sentenza impugnata, incentrata sulla carenza di allegazione, anche in termini probabilistici, del nesso causale tra rischio lavorativo ed evento lesivo e su plurimi profili alla stregua dei quali la corte territoriale ha affermato l’origine extralavorativa;
9. le diffuse argomentazioni svolte con il ricorso all’esame, in linea generale, sull’evoluzione giurisprudenziale della causa violenta, difettano di specificità e introducono, per la prima volta in sede di legittimità, profili di fatto, relativi ad un costante sforzo lavorativo giornaliero, che si connotano di novità senza peraltro allegare e specificare, in alcun modo, quali fossero state le mansioni svolte, come del resto già rimarcato anche dalla Corte territoriale;
10. in altre parole, la censura illustrata con il primo mezzo, ad onta della rubrica evocativa della violazione di legge non si colloca affatto nel paradigma della violazione di legge, risolvendosi nella richiesta di accertamento della sussistenza della causa violenta, tipico giudizio di fatto che compete esclusivamente al giudice del merito;
11. il secondo motivo non presenta alcuno dei requisiti richiesti dal novellato art. 360 comma 1, n. 5, cod.proc.civ., come interpretato da Cass. Sez. Un. n. 8053 del 2014 (e numerose successive conformi), finendo con il lamentare non l’omesso esame di un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), cioè un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria), bensì l’omessa considerazione delle conclusioni rassegnate dal consulente nominato in primo grado;
12. il controllo della motivazione è ora confinato, sub specie nullitatis, in relazione dell’art. 360, n. 4 cod.proc.civ., il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132, n. 4, cod.proc.civ., non ravvisabile affatto nella sentenza impugnata che ha motivato in ordine agli oneri di allegazione e prova non assolti dal lavoratore;
13. segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo;
14. ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13,co. 1, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi dell’art. 13,co. 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13,co. 1, se dovuto.
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