CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 novembre 2018, n. 29421
Rapporto di lavoro – Violazione dei doveri di diligenza nell’esecuzione della prestazione lavorativa – Onere della prova – Responsabilità dell’autista – CCNL
Premesso
che con sentenza n. 479/2013, depositata il 23 maggio 2013, la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Ferrara aveva, da un lato, respinto la domanda proposta da F.P., in qualità di titolare e legale rappresentante dell’impresa individuale Autotrasporti P., nei confronti di C.R., diretta a ottenere, a titolo risarcitorio, il pagamento della somma che l’impresa aveva dovuto versare ad un’azienda cliente quale controvalore di bancali che non risultavano resi a seguito di trasporti dal medesimo effettuati; dall’altro, aveva (in parte) accolto la domanda per il pagamento di differenze retributive svolta dal lavoratore in via riconvenzionale;
– che la Corte di appello ha osservato come il datore di lavoro, cui incombeva il relativo onere, non avesse dato prova della violazione dei doveri di diligenza nell’esecuzione della prestazione lavorativa, da parte del proprio dipendente, e del nesso di causalità fra tale violazione e l’ammanco dei bancali; ha rilevato inoltre, quanto alla pronuncia di condanna per differenze retributive, come i conteggi prodotti a tal fine fossero stati redatti sulla base dei dati riportati nelle buste paghe, e cioè sulla base di dati provenienti dall’azienda, e come l’affermazione datoriale di avere provveduto al saldo del credito dovesse ritenersi indimostrata, non essendo ammissibile né sufficiente la testimonianza acquisita in punto di avvenuto pagamento;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il P., affidandosi a due motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso;
Rilevato
che con il primo motivo il ricorrente denuncia il vizio di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. con riferimento alle “norme di diritto in materia risarcitoria” e alle “norme di diritto nella individuazione della responsabilità” per l’ammanco dei bancali, nonché il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censurando la sentenza di appello per avere erroneamente attribuito per intero l’onere della prova al datore di lavoro, senza valutare le disposizioni del C.C.N.L. di settore in materia di responsabilità dell’autista anche per il materiale e per le merci ricevute in consegna, ed inoltre per avere ritenuto che tale onere non fosse stato assolto, nonostante le contrarie evidenze documentali;
– che, con il secondo, il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento alla valutazione dei conteggi depositati dal lavoratore, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la Corte di appello ritenuto dimostrata la sussistenza del credito per differenze retributive, sebbene il lavoratore non avesse provato alcuno degli elementi posti alla base del conteggio allegato e le risultanze istruttorie dimostrassero in ogni caso l’avvenuto saldo delle sue residue spettanze;
Osservato
che il primo motivo è da ritenersi improcedibile, nel profilo relativo alla falsa applicazione dell’art. 28 C.C.N.L. di settore (norma che fonderebbe una presunzione di responsabilità dell’autista per la custodia del materiale e delle merci ricevute in consegna, escluse le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore), poiché il ricorrente, nell’inosservanza dell’art. 369 n. 4 cod. proc. civ., non ha depositato copia del contratto collettivo, su cui il motivo si fonda, né ha comunque specificamente indicato i dati necessari al reperimento del documento nei fascicoli dei gradi di merito (Sez. U n. 22726/2011);
– che il motivo risulta poi inammissibile, là dove è dedotto il vizio di cui all’art. 360 n. 5, in quanto esso, dolendosi il ricorrente di una motivazione insufficiente e contraddittoria, non si conforma ai modello del nuovo vizio motivazionale, quale risultante dalle modifiche introdotte nel 2012, a fronte di sentenza di secondo grado depositata in epoca successiva all’entrata in vigore della riforma;
– che, come ripetutamente precisato da questa Corte (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 9253/2017), l’art. 360 n. 5, nella riformulazione conseguente a tali modifiche, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
– che, in realtà, con il motivo in esame il ricorrente diserta il terreno della critica di ordine motivazionale per proporre a questa Corte una nuova lettura e valutazione del materiale probatorio, diversa da quella posta a fondamento della decisione impugnata, e cioè l’esercizio di un’attività che è estranea alle funzioni da essa ricoperte nell’ordinamento e che è invece propria del giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (cfr., fra le molte conformi, Cass. n. 25608/2013);
– che anche il secondo motivo non può trovare accoglimento, per le stesse considerazioni sopra svolte;
Ritenuto
conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;
– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
– che deve essere infine disattesa l’istanza di condanna per lite temeraria, non essendovi prova e neppure deduzione di un qualsiasi danno per il controricorrente né ricorrendo i presupposti della responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, 3 comma, cod. proc. civ. (Sez. U n. 9912/2018)
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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