CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 gennaio 2019, n. 1499
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Tentativo di repechage – Assunzione di altro dipendente – Preteso intento ritorsivo – Accertamento
Rilevato
1. che la Corte di appello di Ancona, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di A. S. intesa all’annullamento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole in data 25.1.2010 dalla datrice di lavoro A & T Servizi assicurativi e turistici s.r.l.;
1.1. che il rigetto dell’impugnativa di licenziamento è stata fondata sulla prova della effettiva dismissione delle attività del settore banco e biglietteria aerea alle quali era addetta la dipendente, ulteriormente evidenziandosi che la proposta di trasformazione del rapporto da full time in part time, formulata poco prima della intimazione del licenziamento e dalla S. rifiutata, costituiva prova del tentativo di <<repechage>> posto in essere dalla datrice di lavoro; la assunzione di altra dipendente, risalente al gennaio 2011, dopo un anno dal licenziamento della S. non era avvenuta in sostituzione di quest’ultima ma di altra dipendente cessata dal servizio il 31.12.2010;
2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A. S. sulla base di quattro motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso illustrato con memoria depositata ai sensi dell’art.380 – bis. l.cod. proc. civ.;
Considerato
1. che con il primo motivo di ricorso si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti; premesso che l’attività del settore banco e della biglietteria aerea per il pubblico non era mai stata dismessa si rappresenta che per tali incombenze era stata assunta altra dipendente, P. Z., la quale era stata adibita a mansioni in precedenza svolte dalla S.; tale circostanza era stata ammessa nella propria memoria dalla stessa società e confermata dalle deposizioni testimoniali;
2. che con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 5 Legge 15/07/1966 n. 604. Si assume che costituiva onere della società dimostrare che la persona successivamente assunta, peraltro illegittimamente, allo scopo di esautorare la ricorrente, fosse parimenti soggetta alla riduzione dell’orario di lavoro di cui alla proposta formulata dalla società alla S. poco prima del recesso datoriale; la assenza di tale prova avrebbe confermato la natura strumentale della proposta formulata al solo fine di indurre la lavoratrice a lasciare il posto di lavoro o a ridurre, per la parte aziendale, le conseguenze negative in caso di annullamento del provvedimento espulsivo;
3. che con il terzo motivo di ricorso si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla volontà ripetutamente espressa dalla società datrice di addivenire al licenziamento della ricorrente, atteggiamento rivelatore di un intento ritorsivo nei confronti della stessa;
4. che con il quarto motivo di ricorso si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, prospettato in relazione alla mancata valutazione delle condotte discriminatorie poste in essere dalla Direzione aziendale nei confronti della S. e della loro correlazione con il provvedimento espulsivo; si richiamano a tal fine alcune circostanze fattuali emerse dalla prova orale che si asseriscono sintomatiche di un atteggiamento ingiustificatamente ostile della parte datoriale e come tale idoneo a ledere la personalità morale della lavoratrice. In particolare, ci si sofferma sul ruolo di coordinatore svolto dalla dipendente licenziata e sul progressivo esautoramento della stessa;
5. che il primo motivo di ricorso è inammissibile. Si premette che secondo quanto chiarito da questa Corte (Cass. Sez. Un. 07/04/2014 n. 8053) il controllo previsto dal n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ., nel testo attualmente vigente, applicabile ratione temporis, concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In conseguenza, la parte ricorrente sarà tenuta ad indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni .di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso.
5.1. La sentenza impugnata ha accertato, all’esito di puntuale disamina delle emergenze in atti, la effettiva soppressione del posto di lavoro al quale era addetta la S. evidenziando, tra l’altro, che il servizio di diretta emissione dei biglietti aerei era stato dismesso; ha precisato, quanto alla Z., assunta nel gennaio 2011, decorso un anno dal licenziamento in oggetto, che la assunzione non era avvenuta in sostituzione della S. bensì a seguito della cessazione (alla data 31.12.2010) del rapporto di lavoro di altra dipendente. Tale accertamento non risulta inficiato dalle deduzioni della odierna ricorrente la quale, pur formalmente prospettando omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, si duole in realtà dell’apprezzamento del materiale probatorio e della mancata valutazione delle ammissioni formulate nella memoria di costituzione di controparte. L’omesso esame non potrebbe, infatti, prospettarsi con riferimento alla vicenda relativa alla asserita sostituzione della S. con la dipendente Z., assunta dopo circa un anno dal licenziamento della prima, posto che la relativa questione è stata espressamente affrontata e disattesa dalla Corte di merito (v. sentenza d appello, pag. 7); quanto poi alle pretese ammissioni formulate dalla società nella memoria di costituzione di primo grado, rimane assorbente la considerazione che la relativa evocazione non è avvenuta nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366 comma 1 n. 6 cod. proc. civ. essendo affidata alla riproduzione di una unica frase contenuta nel detto scritto difensivo, intrinsecamente inidonea, in quanto estrapolata dal contesto argomentativo di riferimento ed in specie del collegamento con le conclusioni spiegate dalla società, a esprimere la posizione difensiva della A.&T. Servizi assicurativi e turistici s.r.l.;
6. che il secondo motivo di ricorso è Inammissibile in quanto muove da un presupposto – sostituzione della S. da parte della Z. – escluso dalla sentenza impugnata con accertamento non inficiato dalle censure articolate con il motivo precedente. Tanto è sufficiente a determinare già in astratto la irrilevanza, sotto il profilo prospettato, della eventuale mancata proposta anche alla dipendente Z. di trasformazione dell’orario in part time, a suo tempo formulata alla S.;
7. che il terzo motivo di ricorso è inammissibile. La sentenza impugnata, nello storico di lite, ha precisato che il giudice di prime cure aveva respinto la domanda principale di nullità del licenziamento per motivo illecito non risulta né è allegato che tale capo sia stato impugnato, di talché deve ritenersi esulare dall’ambito devoluto al giudice di appello la verifica del motivo illecito determinante, al quale è riconducibile la questione del preteso intento ritorsivo ispiratore del recesso datoriale. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, qualora una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa, (v. tra le altre, Cass. 28/01/2013 n. 1435; Cass. 28/07/2008 n. 20518; Cass. 20/10/2006 n. 22540);
8. che sulla base delle medesime considerazioni ora sviluppate deve affermarsi la inammissibilità del quarto motivo posto che parte ricorrente non ha allegato di avere ritualmente introdotto la questione del carattere discriminatorio del licenziamento e di averla ritualmente riproposta in seconde cure né risultando la relativa devoluzione al giudice di secondo grado dalla sentenza di appello che non affronta specificamente tale questione limitandosi a dare atto del rigetto della domanda di nullità del licenziamento;
9. che a tanto consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna alle spese della parte ricorrente;
10 che sussistono i presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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