CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 maggio 2018, n. 13947
Imposte ipotecaria e catastale – Registrazione dell’atto di compravendita – Immobile strumentale
Svolgimento del processo
L’agenzia delle entrate con avviso di liquidazione di imposte ed irrogazione di sanzioni liquidava a carico del notaio rogante D. C. e di A. s.r.l. l’importo dì €79.664,00 quale differenza delle imposte ipotecaria e catastale, in relazione alla registrazione dell’atto di compravendita del 24.5.2007, con il quale la società G. s.p.a vendeva alla società di leasing San Paolo Leasing s.p.a. e Italease Network s.p.a. porzioni del complesso immobiliare sito nel Comune di Bellinzago Lombardo s.r.l. al fine di concederlo in locazione finanziaria alla società Arcadia s.r.l. ; l’ufficio riteneva che l’atto di trasferimento dovesse scontare le imposte ipocatastali in misura proporzionale trattandosi di immobile strumentale.
La CTP rigettava il ricorso.
I contribuenti impugnavano la decisione.
La CTR con sentenza n.59/50/10 depositata il 30.4.2010 rigettava il ricorso sul presupposto che dall’atto di compravendita si evinceva che Arcadia s.r.l. avesse scelto l’immobile, quale bene strumentale, in quanto rispondente alle proprie necessità e che lo stesso fosse ultimato in considerazione del riferimento, nell’atto stesso, alle licenze e alle autorizzazioni necessarie allo svolgimento dell’attività stessa.
Per la cassazione della sentenza i contribuenti hanno proposto ricorso affidato a due mezzi.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
Ragioni della decisione
1 Con il primo motivo i ricorrenti deducono omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 n.5 c.p.c; la CTR avrebbe dato rilievo solo alla intenzione di Arcadia s.r.l. di servirsi della porzione immobiliare oggetto dell’atto come immobile strumentale, dando rilevanza solo all’aspetto intenzionale della parte e non invece allo stato reale dell’immobile, non ancora ultimato per come emergente dall’atto di compravendita.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione dell’art. 1-bis della tariffa allegata al D.Lgs n.347/90 dell’art.10, comma 1, del D.Lgs n. 347/90 e dell’art.10 comma 1 n.ri 8 bis e 8 ter, DPR 633/72 in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c.
3.La prima censura è infondata.
Le censure motivazionali non conferiscono al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda, bensì la sola facoltà di controllare – sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale – le argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui “spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex multis, Cass. n. 742/2015).
Di conseguenza, il preteso vizio di motivazione “può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione” (ex multis, Cass. n. 8718/2005). Inoltre, l’omissione o insufficienza della motivazione resta integrata solo a fronte di una totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero di una palese illogicità del tessuto argomentativo, ma non anche per eventuali divergenze valutative sul significato attribuito dal giudice agli elementi delibati, non essendo il giudizio per cassazione un terzo grado di merito (Cass. S.U. n. 24148/2013; Cass. n. 12779/2015 e n. 12799/2014).
Le censure, così come formulate, si risolvono nella mera prospettazione di un possibile significato alternativo delle disposizioni negoziali, diverso da quello accolto dalla Corte territoriale, che è inidoneo ad inficiare la corretta applicazione dei criteri ermeneutici utilizzati dal Giudice di merito, atteso che “l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che privilegiata l’altra” (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 02/05/2006; id. Sez. 2, Sentenza n. 3644 del 16/02/2007; Sentenza n. 4178 del 22/02/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 12/07/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009; Sentenza n. 19044 del 03/09/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 25/09/2012; id. Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014). In definitiva il ricorrente si limita a lamentarsi della sua soccombenza.
3. Il rigetto del primo motivo di ricorso, comporta l’assorbimento del trattamento del secondo.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi €5.600,00 oltre alle spese prenotate a debito.
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