CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 1336 depositata il 12 gennaio 2024
Lavoro – Licenziamento orale – Vincolo di subordinazione – Collaborazione occasionale senza vincolo di dipendenza – Risoluzione del rapporto ascrivibile alla volontà datoriale – Prova – Rigetto
Fatti di causa
La Corte d’appello di Napoli con la sentenza in atti ha accolto il reclamo proposto da D.D. ed in riforma dell’impugnata sentenza ha accertato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato come cuoco pizzaiolo e dichiarato inefficace il licenziamento orale intimatogli in data 27/11/2012 condannando T.P., titolare della P.S. di T.P. e D.V., a reintegrarlo nel posto di lavoro occupato al momento del licenziamento, nonché al pagamento delle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento orale alla reintegra, oltre accessori e spese, detratta la somma di € 22.799,579 percepita aliunde.
Contro la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione T.P. e D.V., mentre D.D. è rimasto intimato. I ricorrenti hanno depositato memoria. La Corte ha riservato la motivazione all’esito della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso viene dedotto il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c., perché la Corte d’appello, diversamente da quanto ritenuto nelle precedenti fasi del c.d. rito Fornero, non ha correttamente accertato che il ricorrente D. non aveva adempiuto all’onere della prova in ordine all’elemento essenziale e determinante del lavoro subordinato, rappresentato dal vincolo di subordinazione, nonché in ordine all’esistenza di un licenziamento orale addotto.
Secondo i ricorrenti dalle dichiarazioni dei testi escussi non emergeva la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato ma soltanto una collaborazione occasionale senza vincolo di dipendenza. Inoltre, anche in ordine alla circostanza dell’interruzione del rapporto, dall’istruttoria non era emersa la prova che il rapporto fosse cessato per il recesso del datore di lavoro, ossia in seguito a licenziamento orale, visto che nessun teste aveva assistito al licenziamento o riferito di averlo appreso da altri.
1.1.- Il motivo è inammissibile posto che in realtà non deduce nessun omesso esame di un fatto decisivo e si limita a pretendere – in relazione alle due questioni centrali dell’esistenza della subordinazione e dell’oralità del licenziamento – una rilettura delle fonti di prova testimoniali acquisite nel giudizio; fonti che sono state materialmente spillate al ricorso per sollecitare un nuovo esame da parte di questa Corte di cassazione che non è però abilitata dall’ordinamento a compiere questa operazione valutativa, in relazione ad entrambe le questioni prospettate.
In ogni caso va osservato che la Corte d’appello, lungi dal sottrarsi alla stessa indagine in ordine all’onere della prova, ha fatto una specifica disamina delle testimonianze assunte nel giudizio in base alle quali ha dedotto che D., prima di essere licenziato, era presente tutti i giorni nella pizzeria con mansioni di cuoco e svolgeva la sua attività lavorativa quotidianamente essendo inserito nell’organizzazione aziendale, venendo eterodiretto; e ciò ha fatto in conformità ai principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass. nn. 16013/2022, 9251/2010, 23846/ 2017).
2.- Il secondo motivo deduce violazione ed errata applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. non avendo riscontro normativo la tesi secondo cui il lavoratore può limitarsi ad una mera allegazione della circostanza dell’intervenuto licenziamento obbligando il datore di lavoro a fornire la dimostrazione che l’estinzione del rapporto di durata sia dovuta ad altra causa; posto che la mera cessazione definitiva dell’esecuzione della prestazione derivante dal rapporto di lavoro non sarebbe di per sé sola circostanza idonea a fornire la prova del licenziamento trattandosi di circostanza di fatto di significato polivalente, secondo quanto affermato dalla sentenza Cass. n. 3822/2019.
2.1. Il motivo è infondato. Va premesso che la violazione dell’art. 2697 c.c. si può configurare solo se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova attribuendo l’onus probandi ad una parte diversa da quella che ne è onerata, secondo le regole della scomposizione della fattispecie basandosi sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezione; mentre nel caso di specie la Corte d’appello non ha deciso la causa sulla scorta della regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., avendo bensì accertato l’intimazione del licenziamento da parte del datore e non ha quindi invertito alcun onere della prova in materia di licenziamento orale.
La Corte territoriale, infatti, all’esito di un accertamento in fatto insindacabile in questa sede, ha ritenuto provata l’intimazione di un licenziamento orale da parte del datore di lavoro, in tal modo accertando la volontà datoriale di porre fine al rapporto. La Corte ha infatti rilevato che il lavoratore ha provato di essere stato estromesso dal rapporto di lavoro dal suo datore T.P. attraverso l’informatore Montella, il quale ha riferito di aver incontrato il D.il quale gli aveva riferito di essere stato licenziato; ed attraverso il teste P.D.M. il quale ha riferito che il rapporto di lavoro di D. è cessato alla fine di novembre 2012 per motivi economici poiché la società non poteva mantenere due pizzaioli ed egli aveva preso il posto del sig. D..
Pertanto essendosi certamente interrotto il rapporto di lavoro in mancanza di un licenziamento scritto, posto che la controparte ha persino negato che esistesse un rapporto di lavoro – e dunque che fosse tenuto ad intimarlo – gli elementi di prova citati, raccolti in giudizio, possono essere valutati unitariamente come idonei elementi presuntivi dell’esistenza della fattispecie allegata, anche nel rispetto della esigenza di una valutazione particolarmente rigorosa del materiale probatorio che è connaturata alla fattispecie.
Conseguentemente la pronuncia in esame risulta pure conforme all’orientamento giurisprudenziale richiamato in ricorso in forza del quale “Il lavoratore che impugni il licenziamento allegandone l’intimazione senza l’osservanza della forma scritta ha l’onere di provare, quale fatto costitutivo della domanda, che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale, seppure manifestata con comportamenti concludenti, non essendo sufficiente la prova della mera cessazione dell’esecuzione della prestazione lavorativa; nell’ipotesi in cui il datore eccepisca che il rapporto si è risolto per le dimissioni del lavoratore e all’esito dell’istruttoria – da condurre anche tramite i poteri officiosi ex art. 421 c.p.c. – perduri l’incertezza probatoria, la domanda del lavoratore andrà respinta in applicazione della regola residuale desumibile dall’art. 2697 c.c.” (Cass. 08 febbraio 2019 n. 3822).
3. In conclusione, sulla scorta delle premesse, il ricorso deve essere respinto. Nulla deve disporsi in relazione alle spese del giudizio non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.