Corte di Cassazione, ordinanza n. 20029 depositata il 13 luglio 2023
rimborso accisa provinciale energia elettrica- legittimazione
Rilevato che:
1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, veniva respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Novara n. 57/1/2016 la quale a sua volta aveva accolto il ricorso proposto dalla società P. S.p.a. avverso il diniego di rimborso dell’addizionale provinciale sull’energia elettrica versata nel periodo febbraio 2010-dicembre 2011 per un valore complessivo di Euro 256,00.
2. In particolare la società operava nello stabilimento di Cameri ove utilizzava energia elettrica, in regime di autoproduzione, per la produzione di principi attivi per l’industria farmaceutica e corrispondeva l’importo suddetto a titolo di addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica utilizzata nel processo Dal momento che l’art.6 del d.l. n.511/88 e successive modifiche, il quale aveva istituito tale accisa, veniva abrogato dall’art.18 comma 5 del d.lgs. n.68/11 a decorrere dall’anno 2012 con riferimento alle regioni a statuto ordinario, la società presentava domanda di rimborso, denegato dall’Amministrazione finanziaria.
3. Il giudice d’appello, come già il giudice di prime cure, riconosceva il diritto al rimborso alla contribuente, ponendo a fondamento della decisione, oltre all’abrogazione espressa dell’art.6 citato, anche l’incompatibilità della normativa istitutiva dell’addizionale con il diritto comunitario, in particolare l’art.1 2 della direttiva CE 2008/118, per assenza di “finalità specifiche” dell’addizionale suddetta.
4. Contro tale decisione l’Agenzia propone ricorso, affidato a due motivi, cui replica la contribuente con controricorso, illustrato con memoria.
Considerato che:
5. Con il primo motivo di ricorso – ai sensi dell’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ. – la sentenza impugnata è censurata dall’Agenzia per violazione e falsa applicazione dell’art.6 del d.l. n.511/88 per aver il giudice d’appello mancato di riconoscere l’esistenza di “finalità specifiche” dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica istituita dalla previsione di legge suddetta.
Il secondo motivo della ricorrente – in relazione all’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ. – prospetta anche la violazione e falsa applicazione dell’art.1 par.2 della direttiva CE 2008/118, nella parte in cui la CTR ne ha riconosciuto la natura self-executing.
7. I motivi sono connessi, vanno trattati congiuntamente e sono infondati.
7.1 La Corte non ignora che l’addizionale provinciale di cui all’art. 6, co. 2, del d.l. n. 511/88 è stata abrogata nelle regioni a statuto ordinario dal d.l. n. 16 del 2012 e, anche con riferimento alle regioni a statuto speciale, è stata interessata da alcune decisioni relative alla compatibilità con la direttiva CE 118/2008, interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in primo luogo con la sentenza del 5 marzo 2015 nella causa C-553/13, Statoil, e con la sentenza del 25 luglio 2018 nella causa C-103/17, Messer.
7.2 Nella prima delle due sentenze, la Corte di Giustizia UE ha preso in esame un tributo istituito dall’Estonia, un’imposta sulle vendite, ed ha concluso, all’esito dell’iter argomentativo, con il principio secondo cui la mera finalità di cassa, posta alla base di un’imposta, non possa mai integrare il requisito della “finalità specifica” voluta dalla lettera della norma di diritto derivato.
7.3 Con la successiva citata sentenza, la Corte del Lussemburgo ha sancito la conformità di un tributo istituito dalla Francia con la direttiva 2008/118/CE, sulla considerazione che tale tributo si risolveva in un’imposizione il cui gettito veniva devoluto al finanziamento di attività di carattere ambientale e di sostenibilità, con la conseguenza che, in quel caso, poteva ritenersi sussistere la finalità specifica voluta dalla direttiva citata.
7.4 Siffatta impostazione è stata condivisa dalla Corte di Cassazione, la quale, a più riprese (Cass. nn. 15198/2019, n. 15199/2019, n. 10690/2020, 16142/2020, n. 22343/2020, n. 10111/2020; n. 31616/2022) ha affermato che l’addizionale provinciale, istituita con lo scopo di incrementare le entrate degli Enti territoriali, confligge con il diritto unionale, in quanto carente di quella “finalità specifica”, così come interpretata dalla Corte di Giustizia.
In particolare, in Cass. Sent. n. 22343/20, è stato espresso il seguente principio di diritto: «l’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica di cui all’art. 6 del d.l. n. 511 del 1988, nella sua versione, applicabile ratione temporis, successiva alle modifiche introdotte dall’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 26 del 2007, va disapplicata per contrasto con l’art. 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE, per come interpretato dalla Corte di Giustizia U.E. con le sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13, e 25 luglio 2018, in causa C-103/17».
8. Quanto ai soggetti passivi e al meccanismo di rimborso, va rammentato che gli obbligati al pagamento dell’accisa sull’energia elettrica sono, tra gli altri, «i soggetti che procedono alla fatturazione dell’energia elettrica ai consumatori finali, di seguito indicati come venditori» (art. 53, comma 1, lett. a), mentre «i crediti vantati dai soggetti passivi dell’accisa verso i cessionari dei prodotti per i quali i soggetti stessi hanno assolto tale tributo possono essere addebitati a titolo di rivalsa» (art. 16, comma 3).
Inoltre, ai sensi dell’art. 14, «l’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata», ma il rimborso deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento e, qualora al termine di un procedimento giurisdizionale il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme (Cass. Civ. sez. trib., 23 ottobre 2019, n. 27099).
9. Il diritto al rimborso è, dunque, regolato, in via generale, dall’art. 14 TUA, mentre il l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, comma 1, conv. con modif. in L. 27 novembre 1982, n. 873, è applicabile unicamente quando i tributi riscossi non rilevano per l’ordinamento comunitario. Il primo soggetto passivo del rapporto tributario è il fornitore di energia, tenuto verso il fisco al pagamento dell’accisa ovvero della relativa addizionale.
Su tale quadro normativo si è innestata la giurisprudenza della Corte di Cassazione la quale, con riferimento al gas metano (sentenza S.U. 25 maggio 2019, n. 11987), ha affermato che il rapporto tributario inerente al pagamento dell’imposta si svolge solo tra la Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente il gas metano ai consumatori e ad esso è del tutto estraneo l’utente consumatore”, sicché “il solo soggetto obbligato verso l’amministrazione finanziaria è l’ente comunale che immette in consumo il gas e riscuote l’accisa inglobata nel prezzo (è una peculiarità che non incide sulla natura del tributo che resta distinto dal prezzo del gas).
9.1 Uno schema del tutto analogo è seguito per il versamento delle imposte addizionali di cui al d.l. n. 511 del 1988, art. 6, comma 3, secondo cui dette imposte sono dovute, dai soggetti obbligati di cui all’art. 53 TUA (società fornitrici), al momento della fornitura dell’energia elettrica ai consumatori finali e che le addizionali sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell’accisa sull’energia elettrica (Cass. 29980/2019).
L’imposta è perciò dovuta dai soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori, sicché soggetto passivo dell’imposta è il fornitore del prodotto; quanto all’utilizzatore finale, l’onere corrispondente all’imposta è su di lui traslato in virtù e nell’ambito di un fenomeno meramente economico.
10. Ne deriva che il rapporto tributario inerente al pagamento dell’imposta si svolge soltanto tra l’Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente i prodotti, essendo ad esso estraneo l’utente consumatore.
La Sezione, nella sentenza da ultimo citata ha perciò affermato che: «Le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui all’art. 6, comma 3, del d.l. n. 511 del 1988 (nel testo applicabile ratione temporis) sono dovute, al pari delle accise, dal fornitore al momento della fornitura dell’energia elettrica al consumatore finale e, nel caso di pagamento indebito, unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 504 del 1995 e dell’art. 29, comma 2, della I. n. 428 del 1990 è il fornitore».
Inoltre, «Il consumatore finale dell’energia elettrica, a cui sono state addebitate le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui all’art. 6, comma 3, del d.l. n. 511 del 1988 (nel testo applicabile ratione temporis) da parte del fornitore, può agire nei confronti di quest’ultimo con l’ordinaria azione di ripetizione di indebito e, solo nel caso in cui tale azione si riveli impossibile o eccessivamente difficile con riferimento alla situazione in cui si trova il fornitore, può eccezionalmente chiedere il rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, nel rispetto del principio unionale di effettività e previa allegazione e dimostrazione delle circostanze di fatto che giustificano tale legittimazione straordinaria».
11. Alla luce di quanto precede, premesso che nella fattispecie non è in dubbio la sussistenza della legittimazione della contribuente, la quale non è mera consumatrice finale ma anche autoproduttrice dell’energia, i motivi sono destituiti di fondamento, dal momento che l’esistenza di “finalità specifiche” dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica è stata espressamente esclusa dai menzionati interventi del legislatore e della Corte di giustizia e la CTR si è pienamente attenuta ai citati principi giurisprudenziali, sia del giudice del Lussemburgo che della Corte di Cassazione di cui si è dato conto.
12. In conclusione il ricorso dev’essere rigettato e le spese di lite seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, in presenza di soccombenza della parte ammessa alla prenota- zione a debito, non sussistono i presupposti per il versamento dell’ul- teriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 5.500,00 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.