CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 20077 depositata il 13 luglio 2023
Tributi – Diniego rimborso IVA – Fatture di acquisto – Competenza trimestrale – Diritto a detrazione – Soggetto passivo – Rigetto
Rilevato che
– la società contribuente ricorreva avverso il diniego di rimborso iva per l’anno 2009 con il quale non veniva riconosciuto il diritto alla restituzione del tributo relativo al terzo trimestre 2009 per alcune fatture di acquisto; in particolare era escluso il diritto alla restituzione dell’iva relativa ad una fattura emessa il 25 giugno 2009 (quindi antecedentemente al terzo trimestre 2009) ma ricevuta e registrata dalla contribuente dopo il 1 luglio 2009, ossia all’interno del trimestre per il quale era attivata la procedura di rimborso ex d.p.r. n. 633 del 1972, art. 38bis;
– la CTP accoglieva parzialmente il ricorso;
– appellava l’Ufficio;
– con la pronuncia gravata la CTR ha confermato la sentenza impugnata ritenendo che non è rinvenibile alcuna norma che disponga, come l’Ufficio sostiene, in merito al concetto di competenza trimestrale, con ciò non essendo nel presente caso preclusa la possibilità di rimborso infrannuale, non limitata alle sole fatture che risultino sia emesse sia registrate dal cessionario nel trimestre per cui si chiede il rimborso;
– ricorre a questa Corte l’Amministrazione finanziaria con atto affidato a un solo motivo; resiste con controricorso la società contribuente, che ha anche depositato memoria illustrativa delle proprie difese.
Considerato che
– l’unico mezzo di impugnazione dedotto si incentra sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 30 c. 3 lett. c) e del D.P.R. n. 633 del 1972, 38 bis c. 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere il giudice dell’appello erroneamente considerato ai fini della richiesta del rimborso infrannuale la fattura di cui ha la narrativa, che invece di concorrere alla formazione del credito oggetto di rimborso nel corso del periodo d’imposta andava computata unicamente in sede di richiesta di rimborso annuale, vale a dire all’atto di presentazione della dichiarazione annuale iva, al termine del periodo di imposta;
– il motivo è infondato;
– la disposizione della quale va fatta applicazione, pacificamente, è il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38bis che nel testo in vigore dal 01/07/2009 con effetto dal 01/01/1998, come modificato dal d.l. n. 78 del 1/07/2009, all’art. 10 prevede che “i rimborsi previsti nell’art. 30 sono eseguiti, su richiesta fatta in sede di dichiarazione annuale, entro tre mesi dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione prestando, contestualmente all’esecuzione del rimborso e per una durata pari a tre anni dallo stesso, ovvero, se inferiore, al periodo mancante al termine di decadenza dell’accertamento, cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, al valore di borsa, ovvero fideiussione rilasciata da un’azienda o istituto di credito, comprese le casse rurali e artigiane indicate nel comma 1 dell’art. 38, o da una impresa commerciale che a giudizio dell’Amministrazione finanziaria offra adeguate garanzie di solvibilità o mediante polizza fideiussoria rilasciata da un istituto o impresa di assicurazione”. Rileva in particolare nel presente giudizio il comma 3 secondo il quale “il contribuente può ottenere il rimborso in relazione a periodi inferiori all’anno, prestando le garanzie indicate nel comma precedente, nelle ipotesi di cui alle lettere a), b) ed e) del comma 3 dell’art. 30, nonché nelle ipotesi di cui alla lettera c) del medesimo comma 3 quando effettua acquisti ed importazioni di beni ammortizzabili per un ammontare superiore ai due terzi dell’ammontare complessivo degli acquisti e delle importazioni di beni e servizi imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto”;
– la suddetta previsione, dunque, indica e disciplina, in termini chiari, una modalità di rimborso ulteriore rispetto a quello che può esser oggetto di impulso in sede di dichiarazione, tanto che secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 5, sentenza 26513 del 17/12/2014) proprio ai sensi del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38bis, nel testo introdotto dal d.l. 27 aprile 1990, n. 90, convertito con l. 26 giugno 1990, n. 165, i rimborsi dell’eccedenza IVA sono eseguiti, su richiesta del contribuente, entro tre mesi dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione annuale, sicché da tale ulteriore scadenza decorre la prescrizione decennale del diritto al rimborso;
– si tratta quindi di una via procedimentale autonoma e alternativa rispetto a quella ordinaria: quest’ultima prende il via con la presentazione della dichiarazione annuale, quella in trattazione può esser intrapresa nel corso dei singoli trimestri;
– va peraltro evidenziato che la disposizione in esame, oltre al requisito relativo all’acquisto dei beni ivi specificato, non contiene alcuna indicazione in ordine alla ripartizione – per così dire – pro rata temporis delle operazioni di fatturazione, delle quali richiede unicamente l’esistenza ai fini della sussistenza del diritto al rimborso;
– la normativa dell’Unione, sul punto, prevede che a norma dell’art. 183 della direttiva iva, “qualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite. Tuttavia, gli Stati membri possono rifiutare il rimborso o il riporto se l’eccedenza è insignificante”.
– il rimborso è dunque parte integrante del sistema dell’iva, ed è volto a esonerare interamente l’imprenditore dal peso economico dell’imposta dovuta o assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Gli Stati membri dispongono di un certo margine di discrezionalità nella determinazione delle modalità di applicazione dell’art. 183. Occorre, tuttavia, che non sia leso il principio della neutralità fiscale; si deve quindi consentire al soggetto passivo di recuperare la totalità del credito risultante dall’eccedenza cui egli ha diritto, di modo che il rimborso va eseguito entro un termine ragionevole e, comunque, il sistema di rimborso adottato non deve esporre il soggetto passivo a rischio finanziario alcuno (CGUE, r.g. n. 13108/18 causa C-107/10, E.M.I. 3, punto 33; causa C-487/20, P.O. SRL, punto 25);
– in una prospettiva più generale, del resto, la giurisprudenza costante della Corte unionale ha affermato che il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori l’IVA dovuta o assolta a monte per i beni acquistati e per i servizi ricevuti costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA: il diritto a detrazione previsto dagli artt. 167 e seguenti della direttiva 2006/112 costituisce parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni nel caso in cui i requisiti o le condizioni tanto sostanziali quanto formali a cui tale diritto è subordinato siano rispettati dai soggetti passivi che intendano esercitarlo (CGUE, sentenza dell’11 novembre 2011, F. C-281/20, EU:C:2021:910, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).
– sebbene, conformemente all’art. 273, comma 1, della direttiva 2006/112, gli Stati membri possano stabilire altri obblighi rispetto a quelli previsti da tale direttiva, che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni, tuttavia, le misure adottate dagli Stati membri non devono eccedere quanto necessario per conseguire tali obiettivi. Esse non possono quindi essere utilizzate in maniera tale da mettere sistematicamente in discussione il diritto alla detrazione dell’IVA e, pertanto, la neutralità dell’IVA (CGUE, sentenza dell’11 novembre 2011, F. C-281/20, EU:C:2021:910, punto 32 e giurisprudenza ivi citata);
– in tal senso, il principio fondamentale di neutralità dell’IVA esige che la detrazione di tale imposta assolta a monte sia accordata se le condizioni sostanziali sono soddisfatte, anche se taluni requisiti formali sono stati omessi dai soggetti passivi (CGUE, sentenza dell’11 novembre 2011, F. C-281/20, EU:C:2021:910, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).
– per quanto riguarda le condizioni sostanziali, dall’art. 168, lettera a), della direttiva 2006/112 risulta che, per poter beneficiare di tale diritto, occorre che l’interessato sia un “soggetto passivo”, ai sensi di tale direttiva e che, a monte, i beni o i servizi indicati a fondamento del diritto a detrazione siano ceduti o forniti da un altro soggetto passivo e, a valle, tali beni o servizi siano utilizzati dal soggetto passivo ai fini di sue operazioni soggette ad imposta;
– quanto alle modalità di esercizio del diritto a detrazione dell’IVA, assimilabili a condizioni di natura formale, l’art. 178, lettera a), di detta direttiva prevede che il soggetto passivo debba essere in possesso di una fattura redatta in conformità agli art. da 220 a 236 e agli art. da 238 a 240 della direttiva stessa (CGUE, sentenza dell’11 novembre 2011, F. C-281/20, EU:C:2021:910, punto 26 e giurisprudenza ivi citata; in termini anche CGUE, sent. dicembre 2021, nella causa C-154/20, K.P. s. r. o. contro O.);
– orbene, soffermandosi su quest’ultima considerazione, che particolarmente qui interessa, ritiene il Collegio che l’interpretazione della ricorrente Agenzia delle Entrate, secondo la quale l’iva portata da fatture emesse al di fuori del trimestre ancorché registrate dal contribuente nel trimestre per il quale si chiede il rimborso ex art. 38 bis sopracitato non possa includersi nell’iva chiesta a rimborso infrannuale, non sia condivisibile e, anzi, sia in potenziale frizione con gli anzidetti principi;
– essa, in primo luogo, non trova alcun fondamento normativo nel testo dell’art. 38 bis richiamato in esordio;
– tale previsione non introduce alcuna ulteriore indicazione o limitazione quanto alla rilevanza delle operazioni nel trimestre, né ulteriori requisiti temporali in ordine alle operazioni contabili da effettuarsi per dar rilevanza agli acquisti portanti l’iva oggetto di rimborso;
– è ben vero che la legge parla di “acquisti effettuati” nel trimestre; ma tale locuzione non chiarisce se si debba fare riferimento al momento dell’acquisto (dei beni ammortizzabili) ovvero a quello di registrazione delle operazioni d’acquisto;
– tale tesi, inoltre, ha l’effetto di precludere la via (alternativa e non subordinata a quella ordinaria) del rimborso trimestrale al contribuente che, non per sua colpa, non sia ancora in possesso della fattura, unico documento legittimante la restituzione dell’iva, pur avendo questi diligentemente, all’atto della sua ricezione della fattura stessa, provveduto nei termini alla registrazione contabile;
– la prospettazione, quindi, finisce per realizzare una deroga al principio che collega il diritto alla detrazione – o, nella specie, al rimborso – al possesso della fattura senza alcuna ragionevole giustificazione, ma in forza unicamente della circostanza, di puro fatto, consistente nello iato temporale – nel caso per certo non addebitabile al contribuente – tra l’emissione della fattura e la sua ricezione in capo al contribuente;
– del tutto coerentemente, questa Corte ha dato sempre rilievo proprio al momento in cui la fattura entra nella disponibilità del contribuente (ed è quindi annotata nelle scritture contabili) anche ad altri fini, poiché prima del verificarsi di tale circostanza questi è del tutto ignaro dell’esistenza del proprio diritto alla detrazione o al rimborso, e pertanto non può a questi rimproverarsi alcunché, tantomeno addossargli la conseguenza della perdita o della compressione del diritto alla detrazione o al rimborso;
– in argomento, si è infatti ritenuto (così si veda Cass., sez. 5, sentenza n. 10103 del 28/05/2020) che laddove il cedente provveda alla sua regolarizzazione in un momento successivo rispetto alla cessione dei beni, emettendo fattura e versando all’Erario l’importo dovuto, in difetto del rischio di evasione fiscale il correlato termine di decadenza per rimborso decorre – secondo l’interpretazione dell’art. 178 dir. 2006/112/CE datane dalla giurisprudenza unionale conforme al principio di effettività (CGUE 21 marzo 2018, V.; Id. 15 settembre 2016, S.) – solo a partire dal momento in cui il cessionario è venuto in possesso delle fatture, essendo stato, in precedenza, oggettivamente impossibilitato ad esercitare il diritto alla detrazione proprio in ragione dell’indisponibilità materiale dei documenti e dell’ignoranza in ordine alla debenza dell’IVA;
– in materia d’iva, quindi, la possibilità di richiedere il rimborso – che, al pari dell’esercizio del diritto di detrazione – garantisce la neutralità del tributo si fonda sul possesso della fattura, possesso che viene confermato con la sua dovuta registrazione nelle scritture contabili;
– non ha poi rilievo la deduzione, allegata dall’Ufficio, dell’asserita assenza di pregiudizio per il contribuente che potrebbe pur sempre esercitare il diritto di rimborso in sede di dichiarazione annuale, trattandosi di mera circostanza di fatto, in sé ininfluente;
– per contro, la sussistenza della differenza tra rimborsi annuali e infrannuali quanto al requisito consistente nell’acquisto di beni ammortizzabili nel periodo per un ammontare superiore ai due terzi degli acquisti imponibili a fini iva non depone a favore della tesi di parte ricorrente;
– la previsione è infatti introdotta non come limite/condizione per l’accesso al rimborso, come si adombra in ricorso, ma come facoltà per il contribuente, che abbia versato Iva per tali acquisti, di ottenere più rapidamente la restituzione del tributo in una fase in cui egli compie operazioni di investimento nella struttura produttiva (con l’acquisto di beni di cui si è detto) e nel quale, dunque, va limitato quanto più possibile lo svantaggio finanziario consistente nei tempi più lunghi (annuali e non infrannuali) di rimborso dell’Iva;
– in ultimo, merita di essere sottolineato che la questione di diritto posta in questa sede deve ritenersi superata dall’introduzione dell’obbligo di fattura elettronica generalizzato previsto dalla legge di bilancio 2018 (L. 2015 del 2017) all’art. 9 commi 909, 916, 917: tale meccanismo di emissione e ricezione delle fatture prevede, infatti, che il documento contabile in oggetto vada necessariamente redatto dall’emittente (cedente dei beni o prestatore dei servizi) utilizzando un pc, un tablet o uno smartphone e debba essere trasmessa elettronicamente al cliente tramite il c.d. Sistema di Interscambio (SdI) dell’Agenzia delle Entrate;
– il sistema di interscambio verifica se la fattura contiene almeno i dati obbligatori ai fini fiscali (d.p.r. n. 633 del 1972, art. 21 ovvero 21-bis nonché l’indirizzo telematico (c.d. “codice destinatario” ovvero indirizzo PEC) al quale il cliente desidera che venga recapitata la fattura; controlla che la partita Iva del cedente/prestatore) e la partita Iva ovvero il codice fiscale del cliente (cessionario/committente) siano esistenti e in caso di esito positivo dei controlli precedenti, il Sistema di Interscambio consegna in modo sicuro la fattura al destinatario comunicando, con una “ricevuta di recapito”, a chi ha trasmesso la fattura la data e l’ora di consegna del documento;
– tale sistema, dunque, annulla in sostanza, salvo intervalli di tempo irrilevanti, lo iato temporale tra l’emissione e la ricezione del documento, ponendo il ricevente nella condizione di perfezionare quasi immediatamente rispetto all’emissione la prescritta registrazione della fattura emessa pochi secondi prima;
– conclusivamente, quindi, il ricorso è rigettato;
– ritiene infine la Corte opportuno enunciare il seguente principio di diritto:
– “ai fini del rimborso infrannuale IVA di cui al d.p.r. n. 633 del 1972, art. 38bis comma 2 a favore del cessionario, per la determinazione degli importi dell’iva per acquisti o importazioni di beni ammortizzabili effettuati nel trimestre ha rilievo, ai fini dell’imputazione nel periodo rilevante per la richiesta di rimborso, la sola data in cui il cessionario è venuto in possesso della fattura ed ha, quindi, provveduto alle conseguenti registrazioni contabili“;
– sussistono giuste ragioni per disporre – data la novità della questione – la compensazione delle spese di lite tra le parti;
– non vi sono i requisiti processuali per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato in quanto parte soccombente è Amministrazione pubblica difesa dall’avvocatura dello Stato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese.